“Gesù Cristo mi ha riscattato, mi ha rigenerato e ha fatto di me un uomo nuovo. Oggi posso dire che la morte non esiste, esiste la Vita”. Con questa granitica certezza proclamata pubblicamente più volte in diverse parti del mondo, José Agudo è morto lunedì 9 ottobre, all’età di 86 anni, a Madrid circondato dall’affetto della moglie Rosario, dei suoi quindici figli e numerosi nipoti, della sua comunità e sostenuto dalla preghiera dei fedeli del Cammino di tutto il mondo, che lo ricordano come il primo “fratello” del Cammino Neocatecumenale.
La storia di José si intreccia infatti con quella del Cammino stesso e del suo iniziatore Kiko Argüello. I due si conobbero a Madrid quando Kiko andò a vivere nelle baracche delle Palomeras Altas abitate da famiglie di zingari, “quinquis”, nomadi ed emarginati. Arrivato con l’idea di mettersi a servizio dei più poveri Kiko incontrò José, nomade e dedito alla raccolta e al commercio di ogni genere di merce. Lui e la moglie arrivarono a Madrid nel 1961 trovando una sistemazione in una delle grotte di Palomeras. Un’anno dopo arrivò anche Kiko. Il suo arrivo – ragazzo istruito, proveniente dalla borghesia, interessato alla Bibbia, così come alla musica e alla pittura – chiamò l’attenzione di molti abitanti della zona, che cominciarono a raccogliersi attorno a lui. Le lunghe chiacchierate e lo scambio di opinioni erano all’ordine del giorno. Ma quando Kiko iniziò a parlare di Dio gli interrogativi diventarono sempre più stringenti. Prima Josè, successivamente la moglie Rosario, divennero assidui frequentatori di quella prima comunità che si riuniva per ascoltare la Parola di Dio e celebrare l’Eucaristia.
L’incontro con Kiko è l’occasione per José e Rosario di cambiare vita. L’ascolto della Parola di Dio, la condivisione della propria vita con gli altri, la partecipazione all’Eucaristia sono il “tripode” che genera gradualmente il cambiamento. È la gestazione di una nuova creatura.
Josè stesso in una occasione racconta un episodio programmatico, ripreso dallo stesso Kiko nel suo libro Il Kerigma nelle baracche con i poveri (San Paolo 2013, pp. 46-47). Josè doveva incontrare un uomo per un regolamento di conti che si preannunciava estremamente violento. Tra i due non scorreva buon sangue, anzi, l’uomo aveva giurato vendetta contro José che in un precedente litigio aveva ferito alla testa la madre di quell’uomo. L’incontro non prometteva nulla di buono, e prima di andare Josè chiese un consiglio a Kiko il quale gli ricordò il Sermone della Montagna e l’amore al nemico. Kiko invitò José a confidare in Dio, a lasciare le armi e la violenza, assicurando le sue preghiere. «Mi presentai senza armi – racconta José – davanti a chi mi odiava, e sorprendentemente non successe nulla».
La comunità cristiana cresceva nelle baracche, attorno a Kiko si riuniva gente del tutto diversa, donne, uomini, giovani ed anziani. L’ascolto e l’accoglienza della predicazione trasformava le vite delle persone e José fu tra i primi testimoni oculari. Fu allo stesso tempo testimone dello sviluppo e dell’espansione del Cammino nelle parrocchie di Madrid, prima di passare a Roma e di estendersi in tutti il mondo. A questa missione di evangelizzazione contribuirono in prima persona José e Rosario assieme ai loro figli (uno di loro oggi presbitero diocesano in America).
La svolta definitiva avviene nel 1987. Dopo diversi anni di “cammino”, José e Rosario offrono la loro famiglia per l’evangelizzazione. Vengono inviati da papa Giovanni Paolo II e destinati come famiglia in missione (una delle prime famiglie a vivere questa esperienza) ai “pueblos jovenes” di Perú zona periferica di Lima sconvolta dalla miseria e dalla violenza. Un ritorno alle origini ma con un cuore nuovo e una nuova missione. Qui José e Rosario diventano ancora padri (tra i loro quindici figli, due sono stati adottati in Perù), pastori di un gregge smarrito, catechisti, ma soprattutto servi dei più poveri. “La nostra missione è stare qui. E se possibile annunciare Gesù Cristo”. Chi ha conosciuto José lo ricorda per la sua austerità e discrezione, un carattere duro ma introverso.
La sua vita fu sconvolta e trasformata dall’incontro con Kiko ma soprattutto dall’incontro con Cristo avvenuto all’interno di quella esperienza – allora precaria e rudimentale – di comunità cristiana illuminata dalla Parola, sostenuta dai sacramenti e vissuta nella comunione fraterna. Un incontro che diede un nuovo senso alla sua vita terrena aprendo lo sguardo sul cielo che ora lo accoglie per l’incontro definitivo con colui che lo ha chiamato.