A FORZA DI LITIGARE CI LASCERANNO… LE PEN

Quando il papà pronunciò per la prima volta la frase sulle camere a gas (“Non ho studiato in special modo la questione ma credo che si tratti di un dettaglio della storia della Seconda guerra mondiale”) lei aveva appena compiuto 19 anni. Troppo giovane per opporsi a questa linea, ancora lontana dall’agone politico internazionale per poterne studiare gli effetti. Marine Le Pen adorava il padre; d’altronde Jean Marie era un uomo coerente, forte. Lui era un “pupillo della Nazione”, dopo che suo padre Jean, pescatore e consigliere comunale del paesino bretone di Sainte-Trinité-sur-Mer, morì in mare con il suo peschereccio sopra una mina. Orfano, fu adottato dallo Stato. Jean Marie ha sempre amato le provocazioni, sono state il suo tratto distintivo fin dalla gioventù: a 16 anni, arruolato nel primo battaglione paracadutisti, scrisse su Caravelle, il giornale del corpo di spedizione francese: “La Francia è governata da pederasti come Sartre, Camus, Mauriac”.

A 27 anni, Le Pen è il più giovane deputato francese. Con un genitore così, era impossibile non restare affascinata. E quando la linea politica di Jean-Marie si schiera all’estrema destra, Marine è lì che muove i primi passi. Jean Marie alza sempre i toni: quel che fa allibire tanti, gli conferisce invece un’aura di forza e determinazione verso i suoi elettori, creando consenso.

Nel 1972 il movimento neofascista “Ordre nouveau” decide di perseguire attraverso il gioco democratico i suoi scopi di ristabilimento del patriottismo e della “gerarchia di valori”, e fa nascere il Front National, alla cui testa viene chiamato Jean-Marie Le Pen. Marine cresce dunque nell’alveo della destra estrema, dei concetti netti, delle parole forti. E anche lei non si è mai negata posizioni ad effetto. Ma si è formata – anche politicamente – mentre l’Europa si stava costituendo, ed è un’interfaccia della quale non si può non tener conto; non necessariamente per aderirvi, ma anche per farla diventare un “nemico” concreto e non permeare la propria azione politica di sola nostalgia.

Al congresso di Tours del novembre 2011 il patriarca cede le redini alla figlia, che comincia subito la trasformazione del Front National da movimento anti-sistema a partito che ambisce a governare la Francia. Via i legami troppo visibili con skinhead, nostalgici del nazifascismo, e invece attenzione alle classi popolari. Un atteggiamento che paga in termini elettorali: Marine Le Pen si candida alle presidenziali francesi del 22 aprile 2012. Al primo turno ottiene il 17,9 per cento dei consensi, classificandosi al terzo posto, dopo il socialista Hollande e il presidente uscente Sarkozy. Si pone più avanti del padre, ma senza rinnegare i toni forti come cifra comunicativa del partito.

Proprio in quell’anno, infatti, la stessa Marine viene indagata dalla procura di Lione di incitazione all’odio, alla discriminazione o alla violenza nei confronti di un gruppo di persone a motivo della loro appartenenza a una religione. Le sue posizioni nette però pagano ancora una volta: dopo il grande successo alle Elezioni europee del 2014 (primo partito in Francia), nel marzo 2015 guida il Front National al 25,19% alle elezioni dipartimentali mentre i moderati di Nicolas Sarkozy prendono il 29,4% e i socialisti e i loro alleati raccolgono il 21,8%: è il miglior risultato di sempre alle elezioni locali. Poi un crollo inaspettato: al secondo turno non riesce ad ottenere neanche un dipartimento.

Forse è arrivato il momento di ammorbidire i toni, per non essere relegata ai margini della vita politica della Francia e dell’Unione. Ecco dunque che le dichiarazioni del padre sulle camere a gas, esattamente le stesse di quando era ragazza, le tornano utili adesso per smarcarsi dal ruolo massimalista che ha contraddistinto Il FN. Inizia così la guerra familiare, come in una soap opera degli anni in cui lei stessa è cresciuta, ad uso e consumo dei media. La presidente, in diretta al tg delle 20 di TF1, ha annunciato la procedura disciplinare nei confronti del padre e fondatore del partito dopo le sue ripetute provocazioni di stile xenofobo e antisemita; nell’ultima della serie, intervistato dal periodico di estrema destra Rivarol, aveva difeso il maresciallo Petain, capo della Francia collaborazionista con i nazisti. Lui replica gelido: “Non riesco a capire le cause delle sue azioni, le tappe della sua evoluzione. La signora Le Pen sta provocando l’esplosione, aveva la possibilità di avere risultati vincenti e si crea da sola un’enorme difficoltà con il fondatore del suo partito che, in più, è anche suo padre”.

Intanto, secondo quanto scrive Le Monde, il FN è finito sotto accusa per finanziamento illecito e la stessa Marine Le Pen è sotto inchiesta insieme a due stretti collaboratori e dirigenti del partito. “Il carattere chiaramente inverosimile dell’ultima offensiva giudiziaria dimostra che essa è esclusivamente di natura politica”, ha twittato la presidente.

L’appuntamento per decidere la sorte dell’86enne Jean-Marie Le Pen è fissato per la riunione dell’ufficio esecutivo il 17 aprile. Attorno al tavolo, oltre al padre e alla figlia, saranno presenti i cinque vicepresidenti del Front, il tesoriere e il segretario generale. Resta un dubbio: che questa pubblica litigata familiare possa invece essere concordata, per recuperare sia i voti degli estremisti che dei moderati. Ma è un gioco pericoloso: l’identità – in particolare in una nazione come la Francia – è un tratto fortemente caratterizzante. Non riconoscersi più in una linea potrebbe essere pericoloso sotto il profilo elettorale. D’altro canto le posizioni integraliste potrebbero aver raggiunto il loro massimo limite di espansione, e dunque o si salta l’ostacolo o si torna indietro come in un’inevitabile risacca di voti. Qualunque scelta si faccia, il rischio di ulteriori delusioni nelle urne è altissimo. E chissà se – visto il ritorno in campo di Sarkozy – questa saga familiare non sia all’ultimo capitolo. A forza di litigare, il Fronte National rischia di lasciarci… le Pen.