La Dna: “Criptovalute paradiso finanziario per le attività criminali”

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Riciclare denaro sporco, evadere le tasse o finanziare un'organizzazione terroristica restando anonimi non è mai stato così facile. Grazie alle monete virtuali chiunque può compiere attività illecite  sapendo che è assai difficile poi essere rintracciato. In una terra di nessuno dove gli scambi non presidiati avvengono superando i confini degli Stati diversi e la stessa persona può avere più portafogli contemporaneamente. Soldi fuori dalla portata della legge, per le difficoltà legate all’identificazione degli utenti e all’acquisizione delle prove dei movimenti di criptovalute. Nella sua relazione annuale la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna) descrive così una situazione senza precedenti: “Un paradiso finanziario virtuale”. E diventa l’apertura del principale giornale economico nazionale, Il Sole 24 Ore.

Moneta vituale, mercato criminale

Le attività criminali che destano maggior preoccupazione tra gli uomini del Procuratore nazionale antimafie e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho sono tre. Le organizzazioni mafiose possono ripulire e riciclare grandi cifre di denaro sporco, frutto di affari illeciti, separando e suddividendo le somme da recuperare, servendosi persone diverse o sfruttando più di una moneta virtuale. La persona comune che smette di pagare le tasse o fattura in nero e muove nel deep web il suo denaro. Oppure affiliati e simpatizzati che sostengono le attività di gruppi terroristici tramite donazioni che nel darknet – il lato oscuro di Internet – fanno propaganda tramite video e documenti. L’Uif, Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, ha registrato un aumento del 140% delle segnalazioni di operazioni sospette (s.o.s.) in un altro, tra il 2017 e il 2018. Gli s.o.s. da 208 sono schizzati a 449. In sei anni, tra il primo gennaio 2013 e il 31 gennaio 2018, l’Uif ha ricevuto in totale 898 s.o.s., 15 i casi sospetti di finanziamento al terrorismo. Oltre a queste attività, ci si sente così “al sicuro” dagli investigatori che grazie alla valuta virtuale fiorisce il mercato di materiale pedopornografico.

Un sistema decentralizzato

È tutto transfrontaliero e transnazionale nel mondo digitale, senza regole e leggi che valgano ovunque. Per cui è facile mettersi al riparo dalle forze di polizia, fare in modo che non si possa risalire agli autori degli scambi e ai movimenti di denaro. “Il sistema delle criptovalute ha natura decentralizzata, ogni computer ha eguale accesso alle risorse comuni. Le transazioni possono avvenire non soltanto tra soggetti residenti in Stati diversi, ma anche essere riconducibili a più account in realtà riferibili sempre alla medesima persona” , scrive Il Sole riportando la relazione del sostituto procuratore Francesco Polino. Tutto questo praticamente senza alcun controllo. E per scegliere come e dove c’è l’imbarazzo della scelta. Ancora Polino, citato dal quotidiano di Confindustria: “Esistono sempre più espedienti capaci di assicurare un maggior grado di anonimato”. L’analisi della Dna riportata dal Sole spiega quali sono le modalità per effettuare transazioni senza essere presidiati, come l’uso di “piattaforme di commercio online tra privati”, il deep web o, ancora, “piattaforme web gestite da terzi che operano come intermediari”.

Ostacoli alle indagini

Anonimato degli utenti, sistema decentrato e impossibilità di tracciare il “contante” sono le difese che appannano la lente dell’investigatore. “Innegabile potenzialità dissimulatoria”, la definisce la Direzione antimafia. Che complica a dismisura la possibilità di acquisire prove. È difficile trovare il reato e il profitto che ne è derivato, identificare gli indagati, ricostruire i movimenti di denaro virtuale e poter concretamente sequestrare il profitto illecito insieme ai portafogli virtuali degli utenti. Il vertice della Dna De Raho ha quindi riunito intorno a un tavolo l’Uif, Dogane, la Direzione investigativa antimafia, la Polizia postale, il Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (Scico) e il Nucleo polizia valutaria della Guardia di Finanza. L’obiettivo è trovare le tecniche investigative “poter tracciare sul sistema Blockchain le singole transazioni e l’identità degli utilizzatori”, riporta sempre Il Sole.

Cos’è la moneta virtuale?

Si tratta di denaro virtuale, inesistente in forma fisica. Secondo la definizione che ne dà la sezione online “Argomenti” del ilsole24.it, è prodotto e usato per via telematica da un rete “peer to peer” o P2P. Ne esistono oltre 2000 nel mondo, ma la più famosa è “Bitcoin”. Non si tratta di moneta legale né va scambiata con la moneta elettronica – che sarebbe la nostra carta prepagata – e non c’è nessuna banca che ne determini il valore. Le criptovalute seguono solo le leggi mercato della domanda e dell’offerta. Un database distribuito – scrive Il Sole  – traccia le transazioni e grazie alla crittografia gestisce gli aspetti come generazione di nuova moneta e attribuzione di proprietà.