Turchia: ad Ankara la “marcia della giustizia” dopo l’arresto di un deputato del Chp

Centinaia di persone sono scese in piazza ad Ankara per partecipare alla “marcia per la giustizia“. La mobilitazione è stata organizzata dopo l’arresto di Enis Berberoglu, primo deputato del partito di opposizione Chp a finire in carcere, condannato a 25 anni “rivelazione di segreto di Stato” nel processo sulla fuga di notizie relativa al passaggio di armi in Siria su tir dei servizi segreti turchi nel 2014, reso pubblico da un’inchiesta del quotidiano Cumhuriyet. La marcia è stata annunciata dal leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu  per chiedere che in Turchia tornino “la democrazia e la giustizia“.

Intanto, nonostante 9 mesi di denunce giunte fino al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro una detenzione in “violazione dell’immunità diplomatica“, la Turchia ha condannato a 7 anni e 6 mesi il giudice dell’Onu Aydin Sefa Akay, decidendo però contestualmente di scarcerarlo con divieto di espatrio, in attesa del giudizio di appello. I magistrati di Ankara lo hanno ritenuto colpevole di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen.

Per l’accusa, la prova regina a suo carico – come per migliaia di altri imputati – è l’utilizzo di ByLock, la app di messaggistica per smartphone con cui, secondo gli investigatori, i golpisti si scambiavano informazioni criptate. Akay, 66 anni, era detenuto da fine settembre e ha sempre negato le accuse. Il giudice, con un passato anche da ambasciatore, è membro del Meccanismo residuale internazionale per i tribunali penali dell’Onu, che porta avanti le attività dei tribunali per i crimini di guerra in Ruanda ed ex Jugoslavia. Un organismo di fatto congelato dal suo arresto. A lanciare una campagna per la sua liberazione è stata anche la figlia, Meric, che vive a Milano. La sua liberazione era stata chiesta anche dall’Associazione italiana magistrati.

Dal fallito tentativo di colpo di stato del 15 luglio in Turchia, sono oltre 50 mila le persone arrestate – tra cui almeno 2.642 magistrati – e 150 mila quelle licenziate o sospese dalle pubbliche amministrazioni per sospetti legami con i “gulenisti“.