Doggy bag: evitare gli sprechi, aiutare l’ambiente e risparmiare

Tutte le iniziative volte a ridurre davvero gli sprechi alimentari, senza barriere ideologiche, sono necessarie; nascono da una formazione specifica individuale e costruiscono una nuova coscienza sociale

Foto di Anna Hill su Unsplash (1)

La “doggy bag” (la traduzione letterale è “borsa per cani”) è il contenitore che i ristoratori, oggi, in molti Paesi, consegnano ai clienti, per portare gli avanzi o, per meglio dire, il non consumato, a casa al fine di non sprecarlo. Nonostante sia una tendenza nota da alcuni anni, il suo limite è di non aver avuto sufficiente divulgazione. È stato, comunque, uno dei temi della scorsa “Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare” (5 febbraio 2024).

L’usanza della “doggy bag” ha avuto un’accelerazione e un interessamento particolare, a livello legislativo, di recente, tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. Le iniziative parlamentari, non ancora concluse, sono giunte dalla Lega, dal Partito Democratico e da Forza Italia, segno che la preoccupazione è bipartisan e coinvolge tutti. Il 19 dicembre 2023, infatti, è stato avanzato un disegno di legge al Senato da 13 senatori del Gruppo Lega Salvini Premier – Partito Sardo d’Azione, su “Misure per sensibilizzare i consumatori all’adozione di condotte virtuose orientate alla riduzione dello spreco alimentare”.

Il 9 gennaio 2024, per iniziativa di 20 deputati del Partito Democratico, è stata avanzata la proposta di legge su “Disposizioni per la riduzione degli sprechi nel settore della ristorazione attraverso il reimpiego delle eccedenze alimentari nonché incentivi fiscali per la riconversione degli scarti agroalimentari”. La proposta di legge, sull’“Introduzione dell’obbligo di consentire l’asporto di cibi e bevande non consumati dal cliente negli esercizi di ristorazione”, è stata presentata da 17 deputati di Forza Italia l’11 gennaio 2024. Tale proposta si fonda sull’obbligo e sulle sanzioni, per chi non ottempera, da 25€ a 125€.

Si è molto dibattuto, tra ristoranti e clienti, sulla questione dell’obbligo. Anche i titoli di alcuni articoli giornalistici hanno puntato, a effetto, su tale vincolo così liberticida. Passare da una pratica, quasi assente nei locali di oggi, al dovere assoluto di domani, pena una multa, ha drizzato le orecchie di molti. In realtà, occorre precisare che nell’ultima proposta di legge, per obbligo non si intende la costrizione del cliente a portar via ciò che lascia nel piatto, pena la sanzione. L’imposizione riguarda i ristoratori, che devono espressamente indicare la disponibilità del locale e fornire, obbligatoriamente, in caso di richiesta del cliente, l’apposito contenitore (pena la multa).

Al momento, in Italia, vige la legge del 19 agosto 2016, n. 166 “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”, che ha promosso la pratica di gestione delle eccedenze alimentari. L’opinione dei ristoratori, benché favorevole a iniziative di contenimento dello spreco, non è unanime: una parte esprime perplessità riguardo l’aspetto dell’obbligo e i maggiori costi legati alla fornitura dei contenitori.

Alla base del problema, al di là della norma sanzionatoria, occorre, tuttavia, un’idonea formazione sull’alimentazione, sin dall’età scolare, in grado di condurre a un rapporto equilibrato con il cibo, sulla provenienza, sui costi, sulle caratteristiche della lavorazione e del trasporto. Un’informazione a tutto tondo sulla nutrizione è in grado di evitare gli sprechi già a monte, in quanto il consumatore e il cliente del ristorante tenderanno a un uso moderato, graduale e in linea con il proprio reale appetito.

Nel Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata internazionale della consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari, del 29 settembre scorso, il Papa ha ricordato “Come porre fine alla perdita e allo spreco di cibo? Per raggiungere questo nobile obiettivo è necessario investire risorse finanziarie, unire volontà, passare dalle mere dichiarazioni a una presa di decisioni lungimiranti e incisive. Ma soprattutto è imprescindibile rafforzare in noi la convinzione che il cibo gettato via è un affronto ai poveri. È il senso della giustizia verso i bisognosi a dover spingere tutti e ognuno a un categorico cambiamento di mentalità e di condotta. Ciò sta divenendo sempre più urgente, poiché bisogna riconoscere, e vorrei sottolinearlo, che il cibo che buttiamo nella spazzatura lo strappiamo ingiustamente dalle mani di quanti ne sono privi. Di quanti hanno diritto al pane quotidiano in virtù della loro inviolabile dignità umana”.

Antonio Picasso, giornalista e scrittore, è l’autore del volume “Il grande banchetto” (sottotitolo “La geopolitica del cibo, il futuro dell’alimentazione)”, pubblicato da “Paesi Edizioni” nel settembre scorso. Parte dell’estratto recita “La sostenibilità alimentare è un fattore geopolitico. L’industria dell’agrifood – altamente impattante sull’ambiente – pesa sugli assetti economici (filiere globali delle materie prime) e sugli equilibri tra i blocchi (Occidente contro Oriente, Nord contro Sud del mondo). È oggetto di spregiudicate speculazioni finanziarie in cui il divario tra ricchi e poveri è molto più evidente che in altri contesti”. Il rapporto visibile al link https://www.sprecozero.it/wp-content/uploads/2024/02/WWI24_5feb_Presentazione_Web.pdf, pubblicato il 5 febbraio 2024, offre numerosi dati sullo spreco alimentare da parte degli italiani. Nella statistica, si evince un valore dello spreco lungo la filiera, nel 2023, pari a 13,155 miliardi di euro. Lo spreco individuale degli “ultimi 7 giorni” è stato stimato in 566,3 grammi, più di mezzo chilo a settimana. I numeri indicano quanto sia pesante tale flagello nel Belpaese.

La FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), il 24 gennaio scorso, ha pubblicato, al link  https://www.fipe.it/wp-content/uploads/2024/01/2024-01-24CS-FIPE_Comieco_Rimpiattino.pdf, i risultati dell’indagine sull’utilizzo della doggy bag al ristorante. Tra i dati, si legge “Solo il 15,5% degli italiani porta a casa il cibo non consumato durante un pranzo o una cena al ristorante, eppure la quasi totalità dei ristoratori (91,8%) è attrezzata per consentirlo. […] Segnali di cambiamento, questi, ancora troppo timidi in un’epoca in cui l’attenzione agli sprechi, soprattutto alimentari, è sempre più alta e il 36% della spesa delle famiglie per prodotti alimentari transita fuori casa. Secondo un ristoratore su due, il basso numero di richieste può essere spiegato da un certo imbarazzo del cliente a richiedere di portare via gli avanzi. Ma anche la scomodità (19,5%) e l’indifferenza (18,3%) sono tra le ragioni alla base della riluttanza dei consumatori ad avanzare una tale richiesta. Ma la percezione dei consumatori sembra essere più che positiva. Il 74% degli italiani si dice a favore della possibilità di portare a casa il cibo che non è riuscito a consumare. Anzi, per il 22% di essi è addirittura una variabile importante nella scelta del ristorante. […] Nell’occasione FIPE e Comieco hanno rinnovato la collaborazione che nel 2019 ha lanciato il progetto ‘Rimpiattino’, la versione italiana della ‘doggy bag’: dall’inizio della partnership, sono stati 24.000 i ‘Rimpiattini’ distribuiti tra 875 ristoranti di 22 città italiane”.

La bassa adesione è gravata da una ritrosia culturale e mentale ma il trend è in aumento e trova sempre più sostenitori, al punto che sarà pratica diffusa. Ci si imbarazzerà, forse, del contrario: del lasciare cibo, consumato a metà, in tavola. La sensibilità intorno al problema è sicuramente cresciuta e si presta maggiore attenzione, anche per questioni economiche, a livello domestico, per ridurre gli sperperi di cibo. La situazione cambia quando ci si pone dinanzi agli altri, ai ristoratori, in cui si prova vergogna nel chiedere l’apposito contenitore.

L’approvazione dell’uso della doggy bag è molto condivisa nelle intenzioni, per rispetto dei meno fortunati e dell’ambiente, ma poco tradotta nei fatti. La locuzione “borsa per cani” non agevola l’imbarazzo che si prova nel chiedere il contenitore: il riferimento diretto al concetto di avanzo e scarto è più diretto, in chiave negativa. Sebbene l’attuale ritrosia a portar via gli avanzi, è plausibile che, pian piano, possa divenire un’abitudine praticata da molti, quindi non fonte di vergogna. A pesare è anche l’origine: nel passato, chi aveva particolare bisogno di portare a casa il cibo avanzato, nelle (poche) occasioni in cui si recava al ristorante, a volte utilizzava la scusa del cane affamato a cui portare i residui.

Una veste particolarmente curata, nei colori e nelle forme delle scatoline, potrebbe “nobilitare” il gesto e renderlo più accattivante. Almeno in questa sua fase pionieristica, la pratica deve sfruttare alcune strategie, quasi “commerciali” e catturare l’interesse di esercenti e clienti. In una fase successiva, di fronte a una naturale espansione del fenomeno, informazione e strategie potrebbero essere meno necessarie.

Qualcuno storcerà il naso davanti a questa abitudine, già obbligatoria in Inghilterra, Francia e Spagna. In ogni caso, rappresenterà un’ulteriore sensibilizzazione al giusto rapporto con le risorse disponibili, a evitare gli sprechi e ad apprezzare il valore del cibo, soprattutto in una fase, come quella contemporanea, dominata dal consumismo esasperato, celebrativo e noncurante delle mancanze dei meno abbienti.

La riduzione dello squilibrio tra eccedenze e carenze alimentari procede anche attraverso queste iniziative, utili nell’aspetto materiale e nel formare una coscienza sociale, più attenta, intenzionalmente, alle problematiche altrui.