Vivere da cristiano in India: la testimonianza di don Giuseppe

"Vivere da cristiani in India non è facile": la testimonianza di don Jijo Varghese, chiamato don Giuseppe, sacerdote indiano della diocesi di Jaipur, nello Stato di Rajasthan

India

“Vivere da cristiani in India non è facile. Non tanto per la popolazione, che ha altri problemi a cui pensare, ma per l’indirizzo che il Governo centrale ha preso da una decina di anni a questa parte nei confronti delle minoranze religiose”. Lo racconta a In Terris don Jijo Varghese, chiamato amichevolmente don Giuseppe, sacerdote indiano della diocesi di Jaipur, nello Stato di Rajasthan. Don Giuseppe vive a Roma da alcuni anni per terminare gli studi teologici. In questi giorni si sta dedicando alle benedizioni delle famiglie, sfoggiando un italiano invidiabile.

Don Jijo Varghese, detto don Giuseppe

Don Giuseppe, il tuo cognome sembrerebbe italiano…
“E’ un puro caso, io sono nato e cresciuto ad Alappuzha, nello Stato del Kerala, nell’estremo Sud Ovest dell’India. Dopo essere divenuto sacerdote, sono stato inviato nello Stato del Rajasthan, nel Nord Ovest del Paese, a 2mila chilometri di distanza. Qui seguo una scuola con tanti bambini e ragazzi, molti dei quali non sono cristiani”.

Come è fatta l’India a livello amministrativo?
“L’India non ha le Regioni come l’Italia, ma è una confederazione di Stati – 28 Stati e 8 Territori in tutto – autonomi a livello legislativo e giudiziario. Ogni Stato ha le proprie leggi, le proprie tradizioni, così come costumi, cucina e… religioni diverse. A livello politico, l’India è la più popolosa democrazia nel mondo: una democrazia pluralista fondata sul multipartitismo”.

Come è divisa la popolazione?
“Con un miliardo e 400 milioni di abitanti, l’India è il secondo stato più popoloso al mondo. Con 3.287.263 km², l’India è inoltre il 7º Stato del mondo per superficie. E’ complesso parlare dell’India perché c’è una grandissima diversificazione tra uno Stato e l’altro, tra un gruppo etnico e l’altro, tra un livello sociale e l’altro. Ci sono gruppi e famiglie ricchissime ma una vasta parte della popolazione è poverissima. Ci sono due grandi gruppi religiosi: l’induismo e l’islam, ma anche il sikhismo, il cristianesimo e vari altri minori.

Qual è la religione più praticata?
“La popolazione indiana è a grande maggioranza di religione induista (80% circa). La seconda comunità religiosa della nazione è quella dei musulmani che sono circa il 15% della popolazione totale dell’India; è la terza comunità musulmana mondiale dopo l’Indonesia e il Pakistan. Sono presenti poi molte minoranze religiose: sikh 1,72%, buddisti 0,7% e poi giainisti e altre comunità religiose: religioni tradizionali tribali, bahai, ebrei e parsi.

Quanti sono i cristiani?
“I cristiani – cattolici e non – sono solo il 2,3% della popolazione. Siamo pochi e distribuiti in pochi Stati. Nel Kerala, da dove provengo, siamo il 20%. Ma nel Rajasthan siamo solo 4.000 in tutto… una piccola comunità ma molto attiva nel sociale”.

E’ stato difficile scegliere di diventare un sacerdote cattolico?
“No. Io provengo da una famiglia cristiana. In Kerala il cristianesimo è arrivato nel 33 d.C., grazie all’opera di evangelizzazione di san Tommaso, che in India è chiamato Mar Toma. Io sono cattolico ma non seguo il rito latino, bensì il rito siro-malabarese, un rito antichissimo proveniente dalla Siria. In Kerala la maggioranza induista convive pacificamente con le forti minoranze cristiane e musulmane, in un regime di prevalente tolleranza reciproca. Kerala, oltre ad essere uno Stato ricco grazie al commercio e al turismo, è anche quello con la percentuale più alta di alfabetizzazione: oltre il 90% della popolazione – uomini e donne – sono scolarizzati. Questo impedisce lo svilupparsi di posizioni radicali anti cristiane o contro le altre minoranze”.

Come vive la missione al Nord, in Rajasthan?
“Nel Rajasthan la situazione è del tutto diversa. Benché non sia tra gli Stati più poveri, ha una larghissima fetta di popolazione induista e pochissimi cristiani. E’ uno di quegli Stati che ha subito una certa radicalizzazione nel corso degli anni. Professare la propria fede qui è più complesso che al Sud”.

Cosa è cambiato il clima nei confronti dei cristiani negli anni?
“Da quando al potere è salito Narendra Modi, c’è stato un abbassamento della tolleranza verso i non induisti. Modi ha infatti pescato l’elettorato soprattutto negli Stati a forte maggioranza induista e tra quelli tribali, dove la popolazione è particolarmente povera e per larga parte analfabeta. Tra le masse ha richiamato l’idea di un’India solo induista, spesso paragonando gli islamici del vicino Pakistan ai terroristi. Il clima si è così inacerbito e le minoranze religiose corrono maggiori pericoli di ritorsione”.

Per esempio?
“Per esempio nello Stato del Rajasthan è vietato predicare il cristianesimo. Noi cattolici, insieme a tutti gli altri cristiani, abbiamo le nostre chiese dove possiamo pregare e dire Messa. Ma non possiamo in nessun modo cercare di convertire qualcun altro al cristianesimo. Pena: la prigione. In tanti Stati indiani, da quando Modi è al potere, l’evangelizzazione è vietata. Non al Sud, come nel Kerala. Ma in buona parte del Centro e del Nord dell’India la vita per i cristiani non è semplice. Puoi essere accusato falsamente di tentata conversione e passare dei guai. L’unica cosa che noi sacerdoti insieme ai fedeli possiamo fare, sono le opere di carità, come aiutare i poveri sulle orme di Madre Teresa di Calcutta. Che però se fosse ancora in vita oggi passerebbe dei guai…”.

Perché?
“Perché lei non era indiana, ma albanese. Ai suoi tempi, c’era maggior tolleranza verso i non indiani. Oggi gli stranieri che vengono in India per evangelizzare possono subire anche ritorsioni violente. La maggior parte dei missionari è stata espulsa. Chi è rimasto, può solo portare avanti le opere di carità ma senza parlare di Cristo ai non cristiani. Io ad esempio sono stato il vice-preside di una scuola privata con migliaia di allievi – bambini e ragazzi. La maggior parte di loro è di religione induista e proviene da famiglie ricche. Eppure, nonostante sia una scuola cristiana, io non posso parlare loro di resurrezione, perché è vietato. Questa è l’India oggi: un grande Stato con grandi potenzialità dove però le minoranze religiose non sono ovunque tutelate”.