Terrorismo, lo spettro che ritorna: perché l’Europa è in allerta

Gli eventi di Bruxelles hanno riportato sotto i riflettori il tema della minaccia terroristica. Gianandrea Gaiani (Analisi Difesa) a Interris.it: "La affrontiamo ma senza risolverla"

Minaccia terrorismo Europa
Foto di Hugo Delauney su Unsplash

È una radice locale che anima il conflitto in Medio Oriente. Legato all’iniziativa violenta di Hamas e alla conseguente risposta israeliana in direzione della Striscia di Gaza. La stessa organizzazione palestinese ha una connotazione territoriale, la cui azione è connessa in modo pressoché esclusivo ai territori che rivendica. Eppure, l’onda d’urto della guerra in corso rischia di propagarsi ben oltre i sottili confini dai quali si sono sprigionate. Travolgendo, ancora una volta, la stabilità internazionale, facendo vacillare vecchie e nuove alleanze e, soprattutto, compromettendo la garanzia di sicurezza interna in Stati forse lontani dal conflitto in sé ma, nondimeno, tirati per giacca dai loro stessi ricorsi storici. Quanto accaduto in Belgio, due giorni fa, ha posato sull’Europa i vecchi spettri del terrorismo, spingendola a chiedersi se l’instabilità esplosa in Medio Oriente possa esporre, di nuovo, al rischio di recrudescenze estremiste. O al terrorismo vero e proprio.

L’ombra

Una minaccia esistente, forse in misura differente tra un Paese e l’altro. Presente, sì, e non certo da un giorno. Ma comunque difficile da inquadrare, riconoscere, persino sospettare finché non si palesa in tutta la sua forza. Inducendo a dimenticare che, probabilmente, anche la precauzione può far molto, specie dove alcune problematiche risultino latenti. Perché i conflitti, le ascese o le discese di alcune Nazioni, gruppi o fazioni varie, sono la scintilla per una polvere da sparo dormiente. La quale – è il timore – rischia di innescarsi ancor prima che gli effettivi ruoli dei vari attori affacciati sullo scenario di guerra mediorientale siano ben definiti.

L’instabilità

Anche se, chiaramente, è anche il possibile allargamento a fare paura: “L’Iran lo minaccia – ha spiegato a Interris.it Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa e già inviato di guerra  – e se non cesserà l’attacco a Gaza c’è il rischio concreto che si aprano altri fronti, in Siria o in Libano, con Hezbollah. Soprattutto con questi ultimi ci sono state scaramucce ma anche la Siria è un fronte caldo, visti alcuni precedenti – come i recenti bombardamenti su Aleppo e Damasco – e vista anche la sua alleanza con l’Iran, oltre che con la Russia”. L’estensione del fronte è dunque un rischio esistente ma commisurato agli sviluppi del conflitto: “Se ci sarà un attacco a Israele di ampia portata dal Libano o dalla Siria, avverrà non prima che le truppe israeliane siano entrate in profondità a Gaza”.

Stop alla normalizzazione relazionale

L’instabilità stessa del Medio Oriente è un fronte aperto. Soprattutto perché, in questo momento, taglia fuori l’Occidente da possibili iniziative diplomatiche, o quantomeno di mediazione: “In questo momento – ha spiegato Gaiani – non abbiamo la capacità di mediare in questo conflitto e invece sarebbe importante. Perché questa guerra comincia con l’attacco di Hamas che ha un obiettivo, quello di provocare una violentissima risposta proprio sull’onda emotiva delle stragi di civili compiute in territorio israeliano. La risposta israeliana imporrà ai Paesi arabi che hanno riaperto le relazioni con Tel Aviv di raffreddarle e a quelle che stavano negoziando per normalizzarle, come l’Arabia Saudita, fermeranno le trattative”.

Tenere a distanza Israele e il mondo arabo, proprio nel momento in cui il contatto sembrava più vicino. E che, anzi, sarebbe stato “epocale ma che anche i governi arabi fanno fatica a giustificare davanti alla loro opinione pubblica nel momento in cui Gaza viene bombardata con 6 mila bombe in sei giorni”.

Il terrorismo in Europa

Ma se gli eventi sono l’innesco, la miccia è decisamente più lunga. E affonda la propria radice nel tessuto sociale del Vecchio Continente: “Se guardiamo alla minaccia terroristica, questa c’è sempre stata e si ravviva nel momento in cui c’è una causa che può essere cavalcata, come accaduto in passato. Le stagioni del terrorismo che abbiamo visto avrebbero dovuto insegnarci qualcosa”. Già dagli anni Novanta, ai tempi della minaccia del Gruppo islamico armato (Gia) algerino: “Da allora continuiamo a dare molta visibilità a questa minaccia quando si evidenzia ma poi la dimentichiamo. Continuiamo a parlare di radicalizzazione ma dovremmo interrogarci su quanto è stato fatto negli ultimi trent’anni, a cominciare dalla mancata rigidità laddove si erano manifestate ideologie estremiste e radicalizzate”.

E questo nonostante l’Italia abbia dimostrato, negli anni, una certa efficacia a livello di intelligence: “Qui abbiamo fatto un buon lavoro, visti i numeri ancora limitati. Ma in Germania, Svezia, Belgio, Francia, dove i numeri sono molto più alti, si è fatto troppo poco”.

Un’analisi sociale

Come spesso accade, la latenza della minaccia può essere letta, dall’alto, osservando alcuni spaccati sociali: “In Francia ad esempio – ha spiegato Gaiani – ben 15 mila soggetti sono stati indicati come pericolosi e radicalizzati: come si può controllarli tutti? Si continua a evidenziare gli stessi problemi ogni volta che scoppia un’ondata di azioni terroristiche, senza però risolverli. Senza contare che, in Francia, c’è il problema di interi quartieri che possono essere considerati letteralmente in mano alla sharia”.

Da riflessioni a problemi

Del resto, se è vero che Hamas rappresenta un gruppo localizzato, le ripercussioni delle proprie azioni sono giocoforza destinate al lungo raggio. Specie perché, come si era temuto già nelle ore successive all’offensiva, a pagarne lo scotto sono stati i civili. Inclusi i palestinesi: “Io ho visto diverse insurrezione islamiche, dalla Somalia fino all’Afghanistan. Tutti i movimenti insurrezionali si barricano in mezzo ai civili, la morte dei civili ostacola il loro nemico perché porta all’insurrezione dell’opinione pubblica”.

“I palestinesi di Gaza, in questo senso, sono ostaggio di Hamas. Anche per questo l’Egitto potrebbe aver frenato sull’accoglienza. Questa gente che vive sotto il tallone di Hamas dal 2007. E, siccome più della metà della popolazione di Gaza è composta da minori, questo significa più di un milione di ragazzi educati in scuole gestite da questo gruppo”. Quindi più vulnerabili a determinate ideologie. “Se queste riflessioni non vengono fatte a livello di sicurezza diventano potenziali problemi”.