Siria: il silenzio è calato, ma l’emergenza continua

Matteo Amigoni di Caritas Ambrosiana spiega ad Interris.it le condizioni in cui il popolo siriano è costretto a vivere dopo il terremoto del febbraio scorso

A destra Matteo Amigoni. Foto: Caritas Ambrosiana

Sono passati più di cinque mesi da quando un terremoto sconvolgente ha colpito la Turchia e la Siria, una regione di confine già profondamente complessa e martoriata da uno scontro geopolitico in atto da più di un decennio. L’area colpita ha un’estensione paragonabile a quella dell’intero Nord Italia e nonostante i morti siano stati più di 55 mila e malgrado alcuni milioni di persone siano ancora senza una casa, da qualche tempo i riflettori si sono spenti.

L’intervista

La Caritas non ha mai abbandonato gli abitanti di queste terre e con i suoi operatori in Italia e in loco, supporta l’azione della rete internazionale. Fin da subito in entrambi i Paesi la Caritas ha accolto nelle proprie strutture chiunque fosse senza un tetto e ha distribuito cibo, acqua, coperte e materassi. Interris.it ha intervistato Matteo Amigoni, responsabile del Medio Oriente, Nordafrica e Asia della Caritas Ambrosiana che ha spiegato la situazione attuale in Siria. 

Matteo, questo Paese da anni convive con un conflitto. Quanto il terremoto ha peggiorato la situazione?

“Il sisma ha colpito una popolazione duramente provata da 12 anni di guerra ancora in corso che nel tempo ha causato bisogni umanitari per 15,3 milioni di persone. I danni sono stati enormi, in particolare nei territori di Aleppo, Lattakia, Idlib e Hama. Più di 10 mila edifici, tra cui molte scuole, sono stati distrutti e circa altri 18 mila hanno subito danni non lievi o strutturali. Inoltre, c’è l’epidemia di colera che continua a destare preoccupazione, ma la risposta delle autorità e delle organizzazioni internazionali è resa più complicata dalle tensioni belliche, dato che la zona più colpita dal terremoto è proprio la parte del Paese dove è ancora in atto il conflitto armato”.

Di che cosa hanno bisogno queste persone?

“Il primo step è stato quello di portare acqua, cibo e coperte, il secondo invece di cercare di ridare un lavoro a chi l’ha perso. Per farlo Caritas offre dei microcrediti a fondo perduto che servono a ripartire con un’attività e ricreare da capo l’economia del Paese. Un terzo step altrettanto importante è quello di ricostruire il tessuto cittadino, ma si tratta di una fase che richiede molto tempo perché non è ancora semplice per esempio reperire tutti i materiali per la ricostruzione delle case”.

Perdere tutto traumatizza. Voi di Caritas come state vicino a queste persone?

“Molti di loro non hanno perso solo la casa e i loro effetti personali, ma anche un familiare o un amico. Il nostro compito è quello di aiutarli ad elaborare un lutto in una condizione di grande fragilità e vulnerabilità che sicuramente non facilita questo processo. Inoltre, molti di loro hanno subito dei danni fisici, come per esempio l’amputazione di un arto, e anche in questo caso il supporto psicologico è fondamentale per riacquistare un equilibrio personale e ricominciare la propria vita”.

Chi paga maggiormente le spese di questa situazione?

“Come sempre accade quando ci sono conflitti o calamità naturali le categorie che ne risentono di più sono le donne e i bambini e per questo sono anche i primi a ricevere gli aiuti umanitari. Noi di Caritas cerchiamo di non dimenticare nessuno e per questo agiamo con il costanTe obiettivo di raggiungere anche le zone più remote, come le aree rurali, dove i soccorsi arrivano con difficoltà e dove le condizioni sanitarie sono peggiori. Inoltre, come ho detto prima molte scuole sono state distrutte e per contrastare il fenomeno della dispersione scolastica abbiamo ricreato le scuole sotto le nostre tende, ma non può essere per sempre”.

Perché sulla Siria è calato il silenzio?

“All’inizio c’è l’attenzione mediatica, poi sembra che tutto vada nel dimenticatoio perché arriva un’altra emergenza o semplicemente perché le immagini non fanno più audience. Il dramma di queste popolazioni però rimane e noi continuiamo la nostra opera. Nonostante questo silenzio noi riceviamo degli aiuti, delle donazioni e questo significa che la gente è sensibile e non dimentica il fratello in difficoltà”.