Rep. Centrafricana, la denuncia di Amnesty: “Criminali di guerra ancora impuniti”

Africa

Un sistema giudiziario interamente da rinnovare, quello della Repubblica Centrafricana. Secondo quanto dichiarato dall’organizzazione umanitaria “Amnesty international” nel rapporto intitolato “La lunga attesa per la giustizia”, sarebbero decine le persone sospettate di aver perpetrato crimini di guerra e, nondimeno, gravi abusi ai danni della popolazione civile, ancora a piede libero. Questo perché, come illustrato nel dossier, l’assenza di un adeguato sistema nazionale di giustizia e di un’apposita Corte penale speciale, impedisce l’applicazione di misure preventive e/o punitive nei confronti di tali soggetti i quali, di fatto, continuerebbero a circolare fra le stesse persone vittime delle loro violenze.

Una situazione già di per sé grave, particolarmente accentuata dal recente conflitto civile che ha interessato lo Stato dell’Africa subsahariana, combattuto tra le forze di coalizione del governo e la fazione ribelle dei Séléka. Tale contesa ha causato, dal 2012 a oggi, migliaia di perdite fra i civili, oltre che centinaia di migliaia di sfollati interni e rifugiati. Un quadro complessivo alquanto drammatico, che ha direttamente (e indirettamente) favorito il diffondersi di una sorta d’impunità coincisa, nel settembre scorso, con l’aumento degli atti di barbarie come, ad esempio, l’attacco dei combattenti ribelli ai danni del villaggio di Kaga-Bandoro, durante il quale sono rimaste uccise circa 37 persone.

Secondo Amnesty, l’intero apparato giudiziario del Paese, già debole prima del conflitto, avrebbe subito ulteriori danneggiamenti, a cominciare dalla distruzione degli archivi dei tribunali e dalla fuga del rispettivo personale. Di fatto, al di fuori della Capitale del Paese, Bangui, solo 8 prigioni su 35 sono in funzione, mentre i palazzi di giustizia attivi sono sensibilmente diminuiti. Nell’ambito del dossier, l’organizzazione ha specificato come l’impellente necessità di istituire una Corte speciale debba passare attraverso l’elargizione di ingenti (e urgenti) aiuti economici: secondo quanto riportato, nella Conferenza di Bruxelles svoltasi nel novembre scorso, è stato presentato un piano di ricostruzione dell’intero sistema di giustizia, per il quale è previsto un investimento pari a 105 milioni di dollari in cinque anni.

Grazie al supporto delle forze di peacekeeping dell’Onu, è stato finora possibile procedere all’arresto di 384 persone accusate di crimini collegati al conflitto, commessi nel periodo compreso tra il settembre 2014 e l’ottobre 2016. Ancora una volta, però, il malfunzionamento dell’organismo giudiziario, ha portato a diverse evasioni, senza contare che, il numero degli arrestati, non risultava essere che una piccola percentuale del numero complessivo di sospetti.

Qualche miglioramento, a quanto sembra, è stato registrato negli ultimi mesi, anche se la definitiva entrata in funzione della Corte speciale non è ancora avvenuta. Proprio su questo, perciò, si è orientato il rapporto dell’organizzazione, stilato al termine di un processo d’indagine messo in atto attraverso interviste e reportage fra esponenti della popolazione centrafricana, tra i quali ex funzionari di giustizia. Come spiegato da Ilaria Allegrozzi, ricercatrice di Amnesty international per l’Africa centrale, “la Corte è un organismo fondamentale per assicurare che le vittime di alcuni dei più gravi crimini commessi nella Repubblica Centrafricana ottengano giustizia. Per questo, dovrebbe ottenere il massimo sostegno possibile. Altrettanto indispensabile è lo sviluppo di un rigoroso programma di protezione per le vittime e i testimoni, in modo che possano prendere parte ai procedimenti giudiziari in condizioni di sicurezza”.