L'Italia non è un paese per vecchi

Gli anziani non autosufficienti in Italia sono 218mila. Eppure le strutture per a terza età sono insufficienti, distribuite in maniera disuguale in Italia e soprattutto per il 70% fuorilegge secondo le ispezioni del Nas. Quanto basta, insomma, per reclamare un interessamento della Conferenza Stato-Regioni, consoderato che le questioni sanitarie la competenza è condivisa tra il ministero della Salute e gli assessorati regionali  

Violazioni amministrative

Nel 2050 ci saranno due milioni e mezzo di italiani in meno e le persone con più di 65 anni, oggi un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo (20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni). Le strutture residenziali socio-assistenziali e socio-sanitarie sono 12.828, ma un ospizio su tre non supera i controlli dei  Carabinieri dei Nas Il generale Adelmo Lusi indica alla Stampa quali sono le irregolarità più allarmanti che emergono quotidianamenente nelle ispezioni compiute in tutta Italia. “Le infrazioni più gravi sono quelle sanzionate penalmente e riguardano l’incolumità e il benessere degli assistiti- afferma-.Sono il 16% delle violazioni complessive rilevate dai Nas, il 25% di quelle penali contestate. Dalle violazioni amministrative emerge la carente gestione di una struttura. Sono condotte che portano a un minor livello di assistenza (numero insufficiente di operatori, assenza di qualifiche professionali) e a una minore qualità dei servizi (igiene di persona e ambienti, qualità del cibo) e che rendono peggiore la vita degli ospiti”.

Dietro gli illeciti

“La causa principale è la ricerca del profitto da parte del gestore di una struttura per far fruttare la retta riducendo i costi di conduzione, anche attraverso metodi illeciti- puntualizza il comandante dei Nas-. Dall’interno delle strutture arrivano poche segnalazioni a causa dell’omertà e dello stato di subordinazione degli operatori, oltreché dell’assoggettamento e del condizionamento degli anziani”. Denunce arrivano dai familiari più attenti, che accertano ripetuti episodi di inadeguata assistenza, spesso per le lamentele del loro parente. “Altre segnalazioni, anche anonime, ci giungono dal personale impiegato nelle strutture, una volta concluso il rapporto lavorativo – chirisce il generale -. Nel caso di centri totalmente abusivi, ci sono familiari che, pur a conoscenza della situazione di illegalità, preferiscono accettare quella collocazione per il loro anziano. Le motivazioni sono economiche (una retta inferiore) o la mancanza di alternative, come distanza da altre strutture o case di riposo piene”.

Le finte case famiglia

“Un fenomeno significativo investe le case famiglia, che non necessitano di autorizzazione regionale bensì del rilascio di un mero parere igienico da parte del comune- precisa Lusi al quotidiano diretto da Maurizio Molinari-. E ciò a causa del loro contesto pressoché domestico, con un numero massimo di 6 ospiti. A volte il ricorso a una casa famiglia serve ad aggirare i regolamenti che impongono requisiti più stringenti. E così accade che case famiglia, di fatto, vengano abusivamente adibite a case alloggio o case di riposo, con un numero di ospiti superiore al massimo consentito e con l’obiettivo di trarne lucro, trasformando “unità organizzative semplici” in autentiche attività assistenziali che richiederebbero requisiti di maggiore complessità”. In molti casi la chiusura di un’attività è determinata dal fatto che in strutture autorizzate a fornire solamente prestazioni a carattere assistenziale viene anche indebitamente garantita assistenza sanitaria, spesso da personale non specializzato, anche nei confronti di anziani affetti da patologie cronico-degenerative come Alzheimer, demenza senile, incapacità a deambulare e instabilità mentale. Da un punto di vista tecnico-normativo, queste strutture sono considerate cliniche socio-sanitarie abusive perché inadatte ad affrontare il piano terapeutico e a dare assistenza di livello superiore. I pazienti allettati richiedono un numero maggiore di addetti, tra cui anche infermieri. In questi casi è carente anche la strumentazione di supporto e cioè i materassi antidecubito e il sistema di alzata assistita per permettere all’anziano una pur minima capacità di movimentazione. Ancor più grave è la situazione delle case di riposo completamente abusive, dove l’attività viene svolta in totale assenza di qualsiasi controllo preventivo e ispettivo. Per quanto riguarda l’attività dei Nas, il fenomeno riguarda circa 15-30 episodi annui accertarti su 1.800-2.200 ispezioni.

Come contrastare il fenomeno

“Molto dipende dai familiari che si devono rivolgere a strutture riconosciute e per le quali esistono già buone referenze e abbiamo una esposizione pubblica, come siti Internet- evidenzia il generale alla Stampa-. Il ricorso a case di riposo anonime, prive di riferimenti all’esterno della struttura o che richiedano pagamenti in contanti o senza rilascio di attestazioni fiscali, alimenta un mercato sommerso di attività abusive che tende ad offrire mediamente uno scadente e poco professionale servizio di assistenza, peraltro non verificabile dagli organi di controllo in quanto assenti da qualsiasi censimento e elenco di strutture autorizzate”. Gli anziani assistiti nei presidi socio-assistenziali e socio-sanitari: 288mila.21 anziani su 1000 sono ospiti di strutture residenziali socio-assistenziali e socio- sanitarie. Due anziani su tre tra quelli assistiti nelle residenze ha più di 80 anni. Nel 70% dei casi i presidi sono gestiti da enti privati, soprattutto no profit (48%), il 13% da enti di natura religiosa, il 16% da enti pubblici. La tariffa media nelle residenze protette per anziani è di 90,46 euro. Il costo dell’assistenza agli anziani collocati nelle strutture residenziali è di poco più di 9 miliardi all'anno di cui il 50% circa a carico della sanità, mentre il restante 50% è in gran parte a carico delle famiglie.

Le vere esigenze

“La vera emergenza sono gli anziani non autosufficienti destinati a crescere. Già oggi sono 4 milioni le famiglie con un parente non autonomo a carico- commenta il Sole 24 Ore-.Abbiamo trascorso un anno a parlare di reddito di cittadinanza e di Quota 100. In nome di un'Italia ridotta in povertà e obbligata ai lavori forzati da una riforma previdenziale da demonizzare”. Le due misure simbolo del governo giallo-verde però si sono rivelate molto meno desiderate del previsto: i beneficiari del reddito saranno meno di un terzo delle famiglie potenzialmente interessate alla povertà (un po' più di 670mila nuclei familiari su 1,8 milioni e molti percepivano il vecchio Rei)  e quota 100 è arrivata a 150mila domande (di cui in media una su cinque non ricevibile) contro le 330mila attese. “Per non parlare degli esigui effetti sul turnover delle imprese, assai lontani da quel mitizzato 1-1: un lavoratore esce un giovane entra- puntualizza il giornale della Confindustria-.Non ci sono dati aggregati ma esempi locali: chi può investe in macchinari e assume (in proporzioni molto minori) personale più qualificato; i risultati più consistenti sono nel pubblico impiego, dove ad esempio, Quota 100 rischia di creare una voragine negli organici dei medici. Un'ulteriore controprova che le priorità per la politica economica sono altre. Gli investimenti innanzitutto”.

Le priorità del welfare

Ma anche per il welfare, precisa il Sole, le emergenze sono altre e sono tutte indicate nel ritratto che il Paese non vuole vedere: un'Italia di anziani, dove l'aumento della vita media non sempre si traduce nella realizzazione dell'eterna giovinezza, ma più prosaicamente nell'invecchiamento dei vecchi. In dieci anni l'Italia ha perso 1,2 milioni di giovani: a fine 2018 i cittadini dai 20 ai 34 anni di età erano 9,6 milioni pari al 16% della popolazione, nel 2008 erano il 19%. “Sempre nello stesso periodo sono aumentati gli anziani soli. Nel 2018 sono 1,2 milioni gli over 65 che si definiscono isolati e privi di amicizie e di reti al di fuori della famiglia. “In questo numero-gemello (1,2 milioni) e nella sua casualità statistica c'è la triste evidenza di un Paese che, come il dio Crono, divora i suoi figli- avverte il quotidiano diretto da Fabio Tamburini-. Non funziona l'avvicendamento naturale delle generazioni. La quota di over 65 è ormai il 22,8% del totale della popolazione, quasi il doppio rispetto ai giovani fino a 14 anni di età (13,2%). Come ha sottolineato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco nelle sue Considerazioni finali gli over 65 in 25 anni diventeranno il 33% della popolazione totale mentre diminuiranno di 6 milioni gli italiani tra i 20 e i 64 anni di età”. La soglia della vita in buona salute sale a 59,7 anni per gli uomini e a 57,8 per le donne (nonostante per la parte femminile della popolazione l'attesa di vita media sia superiore).