Democracy Act, c'è la firma: Trump sta con Hong Kong

Mossa a sorpresa di Donald Trump che, dopo aver mantenuto una posizione prudente, decide di schierarsi dalla parte dei manifestanti di Hong Kong, ponendo la sua firma sullo Human Rights and Democracy Act. Un pacchetto di misure con le quali, sostanzialmente, il presidente degli Stati Uniti si mette a sostegno delle rimostranze che, da oltre cinque mesi, stanno scuotendo la città cinese. Una mossa ritenuta controversa dal governatorato guidato da Carrie Lam che – al netto delle dichiarazioni del Tycoon che ha di fatto spiegato di aver firmato la legge “per rispetto del presidente Xi, della Cina e del popolo di Hong Kong” – ritiene la decisione di Trump un segnale sbagliato lanciato ai manifestanti ma, in maniera implicita, anche al governo cinese, specie in un momento storico in cui fra Washington e Pechino è in corso un tentativo di tregua sulla questione dazi.

Presa di posizione

Gli atti promulgati attraverso il Democracy Act, ha spiegato il presidente americano, “vengono promossi nella speranza che i leader e i rappresentanti di Cina e Hong Kong siano in grado di risolvere amichevolmente le loro differenze, portando a una pace e una prosperità a lungo termine per tutti”. Il punto è che, nonostante le dichiarazioni di buone intenzioni, da Pechino la mossa di Trump è stata vista con diffidenza, viste anche le precedenti prese di posizione da parte del presidente, convinto che le ragioni di Hong Kong fossero giuste ma che anche il presidente cinese, Xi Jinping, fosse “un gran bravo ragazzo”, scegliendo sostanzialmente di non schierarsi ufficialmente. Vero che, al di là della posizione presidenziale, la legge pro-Hong Kong godeva di ampi consensi nell'ambito del Congresso degli Stati Uniti, il che avrebbe permesso probabilmente addirittura un rovesciamento del veto della Casa Bianca, qualora il presidente avesse deciso di porlo.

Il testo

Con la firma di Trump, si concretizza un procedimento legislativo avviato addirittura a giugno, nelle prime fasi della protesta, e con il quale si dichiara che “Hong Kong fa parte della Cina ma ha un sistema giuridico ed economico in gran parte separato”. Con la legge, inoltre, gli Stati Uniti avvieranno annualmente un monitoraggio della situazione in città, per valutare “se la Cina ha eroso le libertà civili e lo stato di diritto di Hong Kong, come protetto dalla Legge fondamentale di Hong Kong”. Punto chiave, nel testo, il differente stauts commerciale della città rispetto al governo centrale di Pechino in quanto, proprio per via della sua autonomia, non sarà soggetto a sanzioni o tariffe statunitensi. Ai cittadini, inoltre, potrebbero essere concessi dei visti americani, anche se arrestati per aver partecipato alle manifestazioni.

Pechino risponde

Il governo di Hong Kong ha espresso “rammarico” per la firma del Democracy act. In una nota, Carrie Lam ha ribadito che “si manda un segnale sbagliato ai manifestanti” oltre ad “interferire negli affari interni di Hong Kong”. Intanto, il governo di Pechino ha annunciato che sta vagliando “decise contromisure” come risposta al documento. È quanto afferma una nota rilasciata dal Ministero degli Esteri: in questo modo – sottolinea la nota – “gli Stati Uniti dovranno rispondere a tutte le relative conseguenze”.

Borsa in calo

Dopo la firma del documento, la Borsa di Hong Kong apre in brusco calo: troppe le nebbie sull'orizzonte dell'accordo commerciale fra Usa e Cina: l'Hang Seng cede lo 0,71% a 26,763.63. Poco mosse e in calo Shanghai (-0,83 punti a 2.902,36 punti) e Shenzhen (-0,30 punti a 1.601.70).