L’antidoto alla disoccupazione è la laurea

Il termine 'dottore' è così inflazionato che non lo usano nemmeno più i custodi dei parcheggi”, scrive il saggista Cesare Marchi. Eppure, a di là dei luoghi comuni, oggi il pezzo di carta serve più che mai. Il possesso di una laurea aiuta i giovani ad inserirsi prima nel mercato del lavoro e li protegge da una disoccupazione soprattutto di lunga durata più di quanto non faccia la semplice licenza media o un diploma che lascia al contrario i ragazzi più esposti ai venti della crisi, riferisce Adnkronos. A ribadire il ruolo di “ammortizzatore” del titolo di studio sul mercato del lavoro è un Rapporto del dipartimento Welfare della Cgil che mette a confronto il 2007, anno che ha preceduto la grande crisi economica, con il 2018. “Il primo dato che salta agli occhi è la caduta netta del tasso di occupazione tra i giovani, in misura marcata per quelli con la sola licenzia media e i diplomati, più contenuta invece per i laureati”, si legge. I dati elaborati sulla base di quelli Istat, infatti, parlano chiaro: per i giovani tra i 20-24 anni con la licenza media il tasso di occupazione, in 11 anni, è crollato di quasi 18 punti percentuali passando dal 50,5% del 2007 al 32,6% del 2018 a fronte di una flessione pari a zero per quelli con una laurea, e di soli 7,5 punti per i giovani con un diploma. Stesso andamento, sottolinea Adnkronos, anche per la classe 25-29 anni: l'occupazione che nel 2007 era al 60,6% è scesa nel 2018 al 47,7% facendo perdere, per chi è in possesso di una semplice licenzia media, circa 13 punti percentuali contro i 10 punti percentuali di differenza per i diplomati e i 9,8 punti dei laureati.  

Collocamento bloccato

Un trend drammatico anche sul fronte disoccupazione: il tasso infatti registra, in 11 anni, per i giovani che abbiano solo la licenza media un  aumento “molto rilevante” che arriva a registrare anche peggioramenti di circa 20 punti percentuali tra la disoccupazione del 2007 e quella 2018 relativamente non solo ai ragazzi tra i 20 e i 24 anni ma anche per quelli tra i 25 ed i 29 anni. Se è indubbio, quindi, annota ancora il sindacato che la crisi come è noto ha colpito in particolar modo le giovani generazioni rendendo molto complesso l'inserimento nel mondo del lavoro, è pur vero “che ha colpito di più gli esclusi dalla scuola e dalla formazione  e meno chi ha potuto frequentare con successo l'università o ha concluso un ciclo secondario di istruzione superiore”. Anche la disoccupazione di lungo periodo, aggiunge Adnkronos, risulta per la Cgil un “fenomeno in crescita” soprattutto tra chi non ha proseguito negli studi: tra il 2007 ed il 2018 infatti il peso di chi cerca attivamente un lavoro da almeno 2 anni, tempo considerato già un campanello d'allarme, sul totale dei disoccupati, risulta “in sensibile aumento in tutte le classi di età” ad eccezione di quella dei neo -laureati tra i 25 ed i 29 anni. Un titolo di studio, in pratica, annota ancora il sindacato, restringe  i tempi di ingresso o di ricollocazione nel mondo del lavoro evitando così quella preoccupante  anticamera lunga 24 mesi che non appare più esclusa neppure per chi ha un diploma. 

Media Ue lontana

Rielaborando i dati Istat, il Rapporto Cgil evidenzia ancora come nel 2018, sia tra i 20 ed i 24 anni che tra i 25 ed i 29 anni, la disoccupazione di lunga durata per chi abbia la sola licenza media sia schizzata in 11 anni di oltre 10 punti; un aumento che si registra anche  tra i diplomati mentre per i laureati il gap tra 2007 e 2018 oscilla in modo decisamente più contenuto, tra i 3 e i 5 punti percentuali, osserva Adnkronos.  D'altra parte, ricorda ancora il sindacato, i giovani tra i 18 ed i 24 anni che in Italia hanno solo la licenza media sono il 14% del totale, con punte del 20% al Sud, rispetto ad una media europea del 11% mentre i Neet, i giovani che non studiano né lavorano, sono oltre 2 milioni, il 24% dei giovani compresi tra i 15 e di 29 anni. Ciò nonostante è comunque cresciuto il peso di quanti tra i 24 ed i 35 anni si laureano: dal 15% del 2007 al  22% del 2018 anche se, conclude la Cgil, “il dato resta ancora lontano dalla media europea”.