La febbre di Lassa fa paura: 22 morti solo in Liberia

Le autorità sanitarie della Liberia – Stato dell'Africa Occidentale affacciato sull'Oceano Atlantico Meridionale – hanno annunciato che c'è stato un focolaio di febbre di Lassa che avrebbe ucciso almeno 21 persone, tra cui un operatore sanitario, a partire da gennaio di quest'anno. Il viceministro della Sanità e capo dell'ufficio medico della Liberia, Francis Kateh, ha dichiarato alla Bbc che sono stati segnalati più di 90 casi in tutto il Paese; ma 25, inclusi i 21 decessi, sono stati finora confermati. Kateh afferma che anche se la febbre di Lassa è stata un problema di salute nella norma in alcune parti della Liberia per molto tempo, le autorità vedono l'attuale focolaio come una fonte di grave preoccupazione perché si sta verificando in un periodo dell'anno in cui in genere non è previsto. L'assistenza sanitaria è ancora quasi inesistente nella maggior parte della Liberia con ospedali e cliniche privi di farmaci di base.

Virus

La febbre di Lassa o Lassa hemorrhagic fever (LHF) è una febbre emorragica acuta causata dal Virus Lassa descritto per la prima volta nel 1969 a Lassa nella regione del Borno in Nigeria. è una malattia virale acuta trasmessa principalmente da animali. È endemica in alcune parti dell'Africa occidentale, tra cui Sierra Leone, Liberia, Guinea e Nigeria. Anche i Paesi vicini sono a rischio, secondo i centri statunitensi per il controllo delle malattie. In Liberia è diffusa principalmente da topi e scarafaggi. Il serbatoio è infatti il Mastomys natalensis, un ratto che comunemente infesta gli ambienti domestici in Africa. La guarigione (o il decesso) avvengono di solito in 7-31 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Nei pazienti con malattia multisistemica grave, il tasso di mortalità è compreso tra il 16-45%. I pazienti curati con l'unica medicina efficace, la Ribavirina, hanno una mortalità ridotta del 10%. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il numero di infezioni da virus di Lassa in Africa occidentale varia da 100.000 a 300.000 casi all’anno, con circa 5.000 morti