Sinigallia (Progetto Arca): “In strada a Natale per ridare dignità alle persone senza dimora”

L’intervista di Interris.it al presidente di Fondazione Progetto Arca Alberto Sinigallia sull’iniziativa Cucine mobili a Natale

© Daniele Lazzaretto

Ciò che rende belli i giorni di festa è la relazione che si stabilisce tra le persone. Quell’affetto, quella solidarietà, quel calore umano che passano di mano in mano nella forma del dono. Giorni però non facili per tutti, soprattutto per quelle persone ai margini della società, come chi vive in strada e in questo periodo dell’anno è esposto anche alle rigide temperature diurne ma soprattutto notturne con minori possibilità di riparo. Ieri mattina all’alba è stato infatti trovato senza vita un clochard a Bologna, in una panchina nel centro della città felsinea. Per fortuna, c’è chi ha gli occhi per vedere questi “invisibili” e si prodiga per regalare quel contatto umano che restituisce dignità e rispetto a chi vive in una condizione svantaggiata. I volontari e gli operatori di Fondazione Progetto Arca, onlus milanese, in questi giorni che precedono il Natale scendono in strada con le Cucine mobili per regalare alle persone senza dimora un pasto caldo degno del periodo di festa e un messaggio: “La tua condizione è temporanea e se la vuoi cambiare noi ci siamo”.

28 anni vicino ai fragili

Da quasi tre decenni, dal 1994, Progetto Arca aiuta le persone più fragili e sole, accompagnandole verso un futuro di autonomia e integrazione. Nell’ultimo anno ne sono state aiutate 25mila, sono stati dispensati 2,6 milioni di pasti, sono state effettuate tremila visite mediche e offerte 340mila notti al riparo, mentre le Unità di strada e le Cucine mobili sono uscite in 1.400 occasioni.

L’intervista

In questi giorni i foodtruck di Progetto Arca per le cene itineranti tornano in strada, Interris.it ha intervistato in merito il presidente della Fondazione Alberto Sinigallia.

Come nasce questo progetto?

“Con la pandemia molte mense e molte attività di volontariato sono state costrette a fermarsi, così ci siamo ‘inventati’ la cucina mobile per poter intervenire con un pasto più sostanzioso rispetto al solo panino, e abbiamo pensato di tenere i foodtruck anche dopo i momenti più duri della pandemia. Questa iniziativa nella settimana che precede il Natale è un segno di vicinanza a quei nostri amici che vivono in strada, abbiamo scelto di servirli a tavola per dargli attenzione, dignità, per aiutarli a ritrovare lo stimolo per cercare di nuovo una situazione di normalità – mon sono nati senza dimora, lo sono diventati dopo. I volontari, in un’esperienza che è molto coinvolgente, distribuiscono 2.450 pasti in sette città italiane”.

Qual è il suo significato?

“Andando incontro alle persone, i volontari riescono ad avere un rapporto più emotivamente valido con coloro a cui diamo assistenza. Ascoltiamo i loro bisogni, il cibo è un corollario mentre l’elemento centrale è la relazione. Il messaggio che vogliamo dare a queste persone è che il loro stato di povertà è temporaneo e se vogliono cambiare la vostra condizione, noi ci siamo. Progetto Arca ha i centri, i contatti con le istituzioni, tutte notti dormono da noi un migliaio di persone, diamo loro una mano per riuscire fare una visita medica, per il ricongiungimento famigliare, per il reinserimento lavorativo”.

Dal vostro “osservatorio”, come vedete la situazione della povertà?

“Un’onda lunga che si infrangerà tra un anno, quando partiranno gli sfratti. Noi assistiamo le persone in povertà ma anche chi si sta integrando, abbiamo a questo scopo costituito un’impresa sociale che si occupa di integrazione lavorativa e abitativa con 130 case per l’accompagnamento di queste persone nell’ultima parte del percorso. In un nostro intervento a Linate abbiamo visto che tra le persone senza dimora ce n’erano di ceto sociale alto, che magari dormivano nella sala d’aspetto dell’aeroporto. Probabilmente anche le grandi aziende hanno dovuto licenziare e se non si è messo da parte qualcosa è facile scivolare nella povertà. Ci sono poi le crisi famigliari, nel giro di pochi mesi ci si ritrova dall’avere una famiglia a dormire in macchina e magari perdere il lavoro”.