Sicurezza sul lavoro e spazio alle donne: l’esperienza dell’azienda Bracchi

Sempre più donne sono protagoniste del settore della logistica. Ne parliamo con l’ingegner Umberto Ferretti, amministratore delegato del gruppo Bracchi

Bracchi è un colosso nazionale operante dal 1928 nel settore dei trasporti e in quello della logistica. Con il passare del tempo, l’impresa ha valicato i confini italiani ed è presente anche in Polonia, in Slovacchia e in Germania. A quasi un secolo dalla sua fondazione, l’azienda continua a macinare bilanci di tutto rispetto pur in un periodo evidentemente critico come quello che stiamo affrontando. La pandemia e ora il conflitto tra Russia e Ucraina non scalfiscono questa realtà del Made in Italy che dal 2021 ha visto l’ingresso di un nuovo amministratore delegato, l’ingegner Umberto Ferretti.

L’intervista

Tra le prerogative di quest’azienda, peraltro, qualcosa di speciale: una marcata attenzione alle assunzioni femminili. In un settore, quello della logistica, storicamente ritenuto “roba da uomini”, stupisce quel 45,5% di forza lavoro coperta da donne. Parlando con Ferretti, abbiamo anche voluto capire come può un’azienda di tale importanza non risentire i contraccolpi di una crisi di cui nessuno conosce la data di fine.

Un anno di gestione Ferretti e il bilancio sale a più di 13 milioni di euro. La Bracchi è un colosso, ma anche lei non scherza. Ci svela la formula magica?

“Si tratta di una miscela composta da innovazioni, con una grande attenzione al servizio della clientela e alla costante evoluzione dei mercati. Negli ultimi anni, Bracchi, che sta per festeggiare un secolo di vita, ha anche vissuto alcune trasformazioni societarie, eppure è sempre riuscita a mantenere alta la concentrazione sul livello qualitativo del servizio. Cosa che non hanno fatto certe grandi imprese del nostro settore, specialmente a causa della loro dimensione. C’è anche un altro aspetto non marginale: i settori del trasporto e della logistica, dopo l’esplosione della pandemia prima e del conflitto russo-ucraino poi, sono come usciti allo scoperto. In precedenza i cittadini quasi non si rendevano conto dell’esistenza di due settori così strategici, fino al momento in cui si è compreso – in special modo durante i mesi di lockdown – che senza trasporti e senza logistica, una nazione si ferma”.

Un po’ come se le merci viaggiassero su tappeti volanti invisibili…

“Esatto. Gli automobilisti sono pronti a lamentarsi se sulle autostrade trovano file di camion, ma non si riflette sul fatto che su quei camion ci sono persone che affrontano un lavoro difficile e a volte anche pericoloso. Il mondo dei trasporti si muove nottetempo e in condizioni lavorative non facili”.

Donne che lavorano nel settore della logistica. Siete giunti a una percentuale femminile pari al 45,5% e anche questo vi distingue da altre imprese.

“Dall’inizio dell’anno abbiamo assunto circa 100 risorse, sia in Italia sia nelle nostre filiali estere. E sì, è vero, il 45,5% della nostra forza lavoro è rappresentata da risorse femminili specialmente nella logistica, un settore per tradizione ritenuto di competenza maschile. Anche in questo caso, però, o ci si crede o non ci si crede. In Italia il lavoro femminile è in crescita, ma non abbastanza. Un lavoratore su 4 è donna. In questo momento circa 2 milioni di giovani non si stanno impegnando nella formazione e nemmeno nella ricerca di un collocamento lavorativo. In contemporanea, circa un milione di posti di lavoro restano vacanti per mancanza di competenze e teniamo le donne in panchina? Non trovo alcun senso logico in tutto questo”.

Certe misure di governo a sostegno del reddito possono aver contribuito a questa situazione?

“Non sono contrario alle politiche di sostegno al reddito, in special modo se si tratta di particolari categorie di cittadini. Sono però fermamente contrario alla metodica della donazione se è fine a sé stessa. In questo Paese non è mai stato chiesto ai percettori del reddito di cittadinanza di aiutare e quindi di dare qualcosa in cambio. Di contro, abbiamo visto il sostegno da parte dei volontari, che hanno scelto di investire il loro tempo senza percepire denaro. Sono stati loro che hanno contribuito a tenere in piedi il sistema Paese. Perché i percettori del reddito di cittadinanza non sono stati chiamati a impegnarsi, per esempio, in un centro vaccinale o per altri tipi di mansioni?”.

Information Technology: un settore di cui lei è un esperto per ciò che riguarda l’innovazione nei contesti aziendali. Perché in Italia si investe ancora così poco in un settore così strategico?

“Tra i mali di vecchia data nel nostro Paese ne esiste uno e si chiama debito pubblico. Purtroppo, questo fardello, che ci trasciniamo sulle spalle da anni e cresce sempre più, non concede troppi margini di manovra. Faccio un esempio pratico: nelle nazioni che presentano un debito pubblico sostenibile, quando arriva un periodo di grande difficoltà si dà accesso al debito e in tal modo si sostiene l’economia interna. Qui da noi sarebbe estremamente difficile, perché il debito continua a crescere e non sembra all’orizzonte la soluzione a questo enorme problema”.

Riuscite a raggiungere alti livelli di sicurezza sul lavoro spendendo cifre ragionevoli: come ci riuscite?

«In Italia la legge sulla sicurezza è ben fatta e anche piuttosto stringente, almeno se la confrontiamo con quelle varate in altre nazioni europee. Se c’è consapevolezza da parte di tutte le persone coinvolte nella filiera della sicurezza, se questa è ben organizzata, non sono necessarie grandi risorse. È sufficiente mettere in atto le norme in vigore, ma anche formare i lavoratori a segnalare le criticità. In azienda c’è qualcosa che può creare un problema di sicurezza? Si alza la mano e si dice: “Alt, qui c’è qualcosa che non va!”. Da noi è così che funziona».

Ha detto che “Il minor costo del trasporto non è il miglior costo del trasporto”. Vale ancora in questo periodo di enormi aumenti del carburante?

«Da parte del governo ci sono stati comunque interventi che, seppur di modesta entità, sono arrivati. Inoltre, abbiamo la fortuna di avere una clientela che riconosce i costi maggiori sostenuti. Detto questo, continuiamo a lavorare per trovare ogni soluzione utile per restare competitivi. Il periodo è complesso per tutti e l’inflazione una realtà. Le imprese devono affrontare una nuova sfida: essere in grado di analizzare e di valutare come affrontare i prossimi 18 mesi basandosi anche sul tasso d’inflazione».

Pubblicato sul settimanale Visto