“I care”: la scuola migliora la società. Un esempio a Roma

L'obiettivo di migliorare la società attraverso la condivisione di un impegno individuale e comunitario

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La scuola come laboratorio del futuro. Da “I Care” di don Lorenzo Milano alle odierne risposte alla crisi educativa. Con l’obiettivo di migliorare la società attraverso la condivisione di un impegno individuale e comunitario. Lezioni all’aperto con spazi per docenti e studenti. “Divise autoprodotte” con il logo della scuola per sentirsi e dimostrarsi parte di una comunità. Senza obbligare famiglie e studenti e spese eccessive. Ma anche “educazione alla bellezza” per vivere e creare un ambiente più sereno e stimolante per sé e per gli altri. Sono alcuni degli assi portanti delle scelte didattiche messe in atto all’Istituto “W. A. Mozart”, di viale di Castel Porziano nella zona dell’Infernetto a Roma. Anche per arginare fenomeni di bullismo. Scoraggiare mode e abbigliamenti troppo succinti. O sfoggio di capi firmati che possono mettere a disagio chi è meno abbiente. In molte scuole, soprattutto private, spiega il preside dell’Istituto Comprensivo Mozart, Giovanni Cogliandro, si sta tornando all’uniforme. “In un periodo di forte crisi come questo, però, spendere anche 150 euro per acquistare i capi significa mettere in difficoltà le famiglie – spiega il dirigente scolastico -. Nella nostra scuola è stata adottata come nuova ‘uniforme’ una t-shirt con l’immagine cartoon del celebre compositore”.
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Laboratorio-scuola

A decidere sul ritorno dell’uniforme è stato, come per le altre scuole, il voto del consiglio d’istituto. Le motivazioni che spingono sempre più genitori e insegnanti a voler reintrodurre un dress code tra le mura scolastiche sono essenzialmente due. Innanzitutto, limitare le disuguaglianze e ridurre gli episodi di bullismo nei confronti di chi non ha capi firmati o alla moda. In secondo luogo, evitare che i bambini ostentino parti del corpo, rispettando così la sensibilità altrui. “La scelta – precisa Cogliandro – è comunque volontaria. Chiunque vuole può applicare il logo su una qualsiasi maglietta propria. Sul sito della scuola mettiamo, infatti a disposizione un vettoriale da poter stampare dove si vuole. L’idea è che con un costo limitato, il costo di una maglietta si ha una sorta di ‘uniforme’, di segno distintivo di appartenenza alla scuola. Non è obbligatoria però quasi tutti hanno aderito all’iniziativa. E’ una cosa carina, non invasiva e non troppo costosa. Insomma, con poco si può avere questo semplice segno di appartenenza ad una comunità scolastica“. Inoltre è un modo per limitare la gara alle griffes e ai capi firmati.  “Ormai anche i bambini più piccoli – osserva all’Adnkronos il preside Cogliandro – vestono come gli adulti con capi che messi assieme possono arrivare anche a migliaia di euro. Trovo che sia una cosa eccessiva e inopportuna visto il periodo di crisi nazionale e internazionale che stiamo vivendo. E’ uno schiaffo alla povertà. Quindi, dietro questa idea di maglietta semplice che non è un uniforme, non è obbligatoria, c’è anche un’ idea di non discriminazione. Che ricorda l’eguale dignità dei bambini a prescindere dalle risorse economiche della famiglia”.scuola

Lezioni

“L’dea delle lezioni all’aperto è maturata ai tempi dell’emergenza Covid ma si è scelto di trasformare tutto ciò in una realtà strutturata. Significa stare in un ambiente che stimola di più la sensibilità e la socializzazione- precisa Cogliandro-. Quale migliore antidoto alla dispersione se non quello di creare nuovi ambienti di apprendimento. Con il Pnrr si parla di aule digitali, aule immersive, aule virtuali. Io ritengo che sia una cosa molto più bella per i nostri studenti avere aule iperrealistiche cioè all’aperto in cui i cinque sensi possono trovare interessanti stimoli che siano l’olfatto, la vista il tatto, stare semplicemente all’aperto stimola l’immaginazione la socializzazione”. Asse portante della scelta didattica del Mozart è l’educazione alla bellezza. “Ritengo – spiega Cogliandro – che tanta crescente violenza che c’è tra ragazzi, e addirittura tra bambini, tra famiglie o tra famiglie e scuola e istituzioni in generale sia perché ormai ci stiamo ‘maleducando’ alla bruttezza. Cioè a non vedere le tante cose belle, sia naturali che frutto dell’ingegno dell’uomo, che abbiamo intorno, Roma in particolare è forse la città più bella del mondo. Quindi è più che opportuno, e il collegio dei docenti ha votato una delibera in tal senso, formare i ragazzi alla bellezza. Questo che significa? Una bellezza che è anche ecologica, cioè imparare ad interagire con l’ambiente, un prendersi cura della propria aula. Prendersi cura di un ambiente significa prendersi cura della propria persona. Non è solo evitare di sporcare ma anche abbellire luoghi in cui si sta insieme e la cosa è molto apprezzata. Che sia ridipingere l’aula o che sia anche studiare meglio la bellezza dell’ambiente circostante o che sia anche capire l’armonia della città in cui si è”.scuola

Barbiana

Modello Barbiana, quindi. Non una “biografia critica che ancora manca” ma un saggio- strumento “per sfogliare la vita e le immagini di una vita: un invitato alla lettura della sua parola, della sua figura, senza attualizzazioni superficiali, lasciando tutta la distanza fra quel presente, altro dal nostro, che era il suo”. E’ proprio nella forma dell’avviso che lo storico della Chiesa, Alberto Melloni introduce il lettore alla sua ultima fatica, “Storia di μ Lorenzino don Milani“, una biografia non convenzionale del prete di Barbiana pubblicata dall’editore Marietti nel centenario della nascita. E che ricorre al μ, cioè al mi” greco “non per trovare un’abbreviazione insolita né per vezzo”, scrive Melloni. Ma per lasciare intatti i nomi con cui lo chiamava chi lo ha amato da vivo. Lorenzo, Lorenzino, il cappellano, il “Priore”. Così, nel volume, si ripercorrono le fasi della vita del prete tanto avversato quanto poi celebrato. Accompagnate da fotografie dell’archivio di famiglia e di un giovanissimo Oliviero Toscani in visita a Barbiana oltre ai versi di Fabrizio de Andrè. Un espediente, quello dei ritratti e dei versi poetici, per avvicinare a una conoscenza più autentica dell’autore di “Lettera a una professoressa“. Figura forte del Novecento italiano, omaggiata a più riprese anche da papa Francesco, scrittore, docente, educatore dei più poveri col motto “I Care”. Su don Milani tanto è stato scritto pur senza che se ne intaccasse il fascino, per certi versi ancora enigmatico.Milani

#donMilani

Ma è dalle incrostazioni sulla sua lezione, stratificatesi nel tempo una dopo l’altra, che Melloni sembra voler depurare e liberare una volta per tutte il sacerdote fiorentino. “Confinato” a Barbiana da “un ceto ecclesiastico insopportabile che nemmeno merita i titoli di deficiente o indemoniato”. “Ricorrere a quel #donMilani usato senza un respiro in mezzo, come un hashtag ante litteram – puntualizza l’autore all’Ansa-, è diventato impraticabile, infradiciato com’è sia dal pedagogismo di maniera sia dal dileggio mediocre dei mediocri pentiti del Sessantotto. O del vuoto di idee politiche in cerca di sfondi o dal bisogno di autoassoluzione ecclesiastica”. Don Milani, sembra suggerire Melloni dal titolo dell’ultimo paragrafo, altro non era semplicemente che “un prete cristiano“. Significativa la conclusione del volume che Melloni affida alle parole che il poeta e giornalista Giovanni Giudici vergò, un mese dopo la morte di don Milani. “Giornali che sono spesso prodighi di lodi a ogni profeta integrato del momento hanno ignorato la morte di don Lorenzo, il 27 giugno 1967. La televisione ha fatto sfoggio di una “imparzialità” a prova di virgola (nome, cognome, è morto oggi a Firenze), appena scalfita emotivamente dal particolare dell’età. Quarantaquattro anni. Ma è bene sia stato così: gli onori militari resi dal nemico non sono desiderabili, specialmente quando chi li riceva sia stato, a sua volta, un vero nemico nei confronti di quello che sopravvive”