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Ripensare la formazione per affrontare la crisi Covid. Intervista al direttore Engim

Come formare i giovani per ricostruire la società devastata dallo tsunami Covid. “La pandemia ci ha costretti a ripensare le attività di formazione per essere fatte a distanza o con modalità che garantiscano il distanziamento“, afferma a Interris.it Marco Muzzarelli, direttore nazionale di Fondazione Engim, l’ente di formazione della congregazione religiosa dei Giuseppini del Murialdo.

Come cambia la formazione in pandemia

“Il presidente di Engim, padre Antonio Lucente ama dirci che il dono e la gratuità sono, di questi tempi, gesti eversivi. Sono il vero antidoto contro il dilagare della pandemia dell’indifferenza- afferma a Interris.it Marco Muzzarelli, direttore nazionale di Fondazione Engim-. Questo è il nostro approccio soprattutto ora. Dobbiamo tutti essere attenti al prossimo, non ci sono atti individuali senza conseguenze sociali. È tempo di passare dall’interconnessione ‘vuota’ dei social media alla vera solidarietà. E’ il momento di schierarci dalla parte dei giovani e dei più fragili”.Il primo bilancio sociale è stata l’occasione per presentare Engim come il primo ente di formazione professionale a divenire Fondazione Ets. Cosa comporta questa novità?

“La formazione professionale è spesso intesa come scuola di serie B. Non è questa la realtà dei fatti. I ragazzi che frequentano i nostri percorsi sono formati alle competenze richieste dal mondo del lavoro. E sviluppano le ‘soft skills’ che cercano le imprese nei neo-assunti. Amiamo definirci ‘ponti’ tra scuola e lavoro perché siamo sempre in relazione con il mondo delle imprese. E con esse costruiamo percorsi di inserimento dei nostri allievi e di tutti coloro che si rivolgono ai nostri servizi al lavoro in cerca di occupazione o orientamento”.Può farci un esempio?

“L’essere diventati Ente di Terzo settore vuol dire fare il salto da soggetti equiparabili alla scuola, ad attori delle politiche sociali e del lavoro. Vuole dire dialogare con le istituzioni, forti del riconoscimento del ruolo sociale ed economico della formazione professionale nel nostro Paese e nel mondo”.In che modo la formazione può esse volano per la ripresa economica e occupazionale? 

“Dopo questa pandemia, molte persone si ritroveranno senza lavoro, anche i meno giovani. Siamo pronti a metterci a servizio della comunità come ‘officine di costruzione delle competenze’. Dove chiunque può formarsi a qualsiasi età per ritrovare occupazione. Con il Fondo Nuove Competenze e i fondi europei si possono delineare eco-sistemi in cui gli enti di formazione supportano i singoli cittadini. Facendo rete insieme alle imprese e alle istituzioni locali”.La seconda ondata della pandemia, vista dalla prima linea di chi si occupa di formazione ed inclusione delle persone con disabilità, quali difficoltà e sfide pone?

“L’inclusione è al centro di ogni nostro intervento formativo. Il nostro sguardo verso le sfide del futuro cerca di essere da sempre innovativo. Anche in tempi lontani dalla pandemia. Ora, anche nel bel mezzo di restrizioni e chiusure, Egim ha aperto il Sanga-Bar, il bistrot dell’inclusione. Un’impresa formativa in cui non si lavora per i ragazzi ma con i ragazzi. E quelli impegnati nel progetto sono tutti ragazzi con disabilità. Tenaci e desiderosi di inserirsi nel mondo del lavoro. Ognuno con i propri talenti e la propria unicità”.Quali disagi stanno affrontando le persone più fragili?

Il venir meno della rassicurante routine quotidiana casa-scuola/stage-casa per gli studenti più fragili è deleterio. Non mi riferisco solo alla disabilità. Pensiamo a come la didattica a distanza per alcuni ragazzi voglia dire abissarti in contesti familiari non sereni. E questo è un fattore allarmante. I nostri formatori sono sempre in contatto con gli allievi. Anche nei centri in cui oggi la formazione è a distanza. Nessuno è mai lasciato solo”.Cioè?

“Materialmente stiamo cercando di intervenire a supporto delle famiglie in difficoltà attraverso l’acquisto di nuovi device. E con il potenziamento della connettività. Perché nessuno dei nostri ragazzi si senta tagliato fuori”.Come è cambiata in pandemia l’attività dei centri di assistenza formazione professionale rivolte ai disabili?

“In pandemia l’impegno è stato maggiore nella progettazione della formazione rivolta alle fasce deboli. Fondazione Emgim ha cercato di esserci come comunità educante che mette al centro tutti i suoi studenti. Cercando di delineare nuove tracce di connessione con i ragazzi e le loro famiglie”.In che modo?

“La maggior parte dei corsi di Engim sono volti a sviluppare ‘l’intelligenza nelle mani’. E tanti sono rivolti anche alle fasce deboli. Si va dal panificatore al magazziniere, dall’aiutante di cucina all’operatore di giardinaggio. Per quanto l’emergenza sia affrontata con tempestività e i risultati siano positivi, non bisogna dimenticare che l’obiettivo finale dei corsi è favorire lo sviluppo delle competenze sul campo. Ciò per favorire l’inserimento lavorativo dei ragazzi con disabilità”.

Giacomo Galeazzi

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