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Bullismo genitoriale: origini del fenomeno e ricadute sociali

Il “bullismo genitoriale”, esercitato da padri o madri nei confronti dei figli, attraverso dei comportamenti violenti (verbali e fisici) o psicologici (denigrazioni, derisioni) è, oggi, poco conosciuto e affrontato dai media ma, diffuso all’interno delle famiglie italiane (e non solo), finisce per perpetuare, a livello generazionale, le pratiche di prepotenza.

I fenomeni di “bullismo” che, purtroppo, si riscontrano numerosi, fra i giovani e i giovanissimi, sono, spesso, figli (in tutti i sensi) di ciò che si impara dai genitori. Questi ultimi, infatti, promuovendo un’educazione severissima o, all’estremo contrario, assente, ricorrono a rimproveri, derisioni, punizioni (anche corporali) e inducono i propri figli verso un comportamento simile.

Il bullismo genitoriale (o familiare) è, quindi, una versione specifica del bullismo, in genere poco sottolineata e studiata, sebbene sia alla base di forme trasmissive di atti vessatori e aggressivi. Le violenze domestiche possono derivare anche da altre figure e rientrare nella fattispecie del bullismo familiare. La famiglia diventa, così, un’arena, dove vige il “tutti contro tutti”.

In un ambiente in cui, genitori o altre figure familiari possono assumere un atteggiamento omertoso dinanzi alle aggressioni domestiche, la possibilità di fuggire è impossibile se non a un’età più adulta.

Il genitore bullo pone in atto degli atteggiamenti brutali, intenzionali e ripetuti. Possono consistere in violenze fisiche oppure psicologiche. Entrambe minano e alterano la costruzione della personalità, producendo un’alterata valutazione delle esperienze relazionali, sia a livello familiare sia sociale nonché, nel proseguire dell’età, dal punto di vista sentimentale e lavorativo. Anche un atteggiamento opposto, di genitore accondiscendente, non permette al figlio di imparare ad assumere le responsabilità e lo avvia verso un pericoloso (e antisociale) sviluppo egocentrico.

A danneggiare l’autostima dei bambini (nonché a rincarare la dose di rivalsa e di sfida), concorrono atteggiamenti di denigrazione, umiliazione e derisione, svolti a sminuire e a produrre senso di inferiorità nei confronti, competitivi, con altri coetanei.

Il genitore, per comportamenti appresi da bambino, per frustrazioni personali o intrinseca autostima nelle proprie capacità, assume, come errate compensazioni, il ruolo di bullo delle quattro mura, fondato su autoritarismo senza autorevolezza.

Il bullismo è una piaga diffusa e capillare, insita nella comunità e costituisce il principio base da cui, poi, a livello internazionale, si originano forme di prepotenza traducibili in atti di guerra.

Nell’omelia della Santa Messa in San Marco a Roma, del 29 dicembre 1985, San Giovanni Paolo II affermò “L’amore crea l’onore, la stima reciproca, la cura premurosa, sia nel rapporto dei figli verso i genitori, sia in quello dei genitori verso i figli, e soprattutto nel rapporto fra i coniugi. In questo modo il matrimonio e la famiglia diventano quell’ambiente educativo, che è assolutamente insostituibile: il primo e fondamentale e più consistente ambiente umano, che diventa poi la ‘chiesa domestica’. Si può dire che nella famiglia anche l’educazione diventa, in modo spesso inavvertito, un’autoeducazione, perché una sana comunità familiare permette di per sé lo sviluppo normale di ogni persona che la compone”.

La psicologa Ameya Gabriella Canovi è l’autrice del testo “Di troppa (o poca) famiglia” (sottotitolo “Radici, zavorre e risorse: un percorso dentro le relazioni affettive, verso la libertà”), pubblicato da Sperling & Kupfer nell’aprile 2023. Parte dell’estratto recita “Dimostra come ricostruire la propria storia familiare sia fondamentale per scoprire le proprie eredità emotive, la presenza di traumi transgenerazionali, il modo in cui ci relazioniamo a noi stessi e agli altri. Tenendo a mente che, qualunque siano la nostra storia e le nostre radici, è sempre possibile prendersi cura delle ferite e trasformarle in risorse”.

Savethechildren.it ha pubblicato, il 3 aprile scorso, i risultati di una ricerca sulla “Violenza domestica e di genere 2023”, visibile al link https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/violenza-domestica-e-di-genere-nel-2023.pdf. Fra i dati, si legge “In alcuni casi, i minorenni sono anche vittime dirette della violenza domestica. Le presunte vittime minorenni, nel 2023, sono state 2.124, di cui 1.086 femmine e 1.036 maschi. Il 34% di loro ha un’età compresa fra 0 e 6 anni; nel 18% dei casi si tratta di bambine e bambini di età compresa fra i 7 e i 10 anni e il restante 48% è composto da minori fra gli 11 e i 17 anni (24% sia nella fascia 11-14 che in quella 15-17)”. Per 2 casi, il sesso non è stato identificato.

L’indagine “‘Nella mente dei genitori: riflessioni sul bullismo e cyberbullismo’ realizzata da Sfera MediaGroup a cura di Federico Gilardi (Research Manager RCS MediaGroup, divisione Infanzia), indaga come gli adulti vivono il bullismo e il cyberbullismo, sia rispetto al loro vissuto sia in relazione ai propri figli”, visibile al link https://www.rcsmediagroup.it/comunicati/ricerca-di-style-piccoli-e-quimamme-it-su-bullismo-e-cyberbullismo/, riporta quanto segue “Il 63% dei rispondenti (età 25-65 anni) afferma di averlo vissuto in prima persona, come vittima nel 37% dei casi o come spettatore attivo/passivo”.

L’intento formativo non giustifica comportamenti aggressivi. L’insegnamento e la disciplina educativa dei genitori deve svilupparsi attraverso un processo equilibrato, senza precipitare nell’esagerazione e nell’autoritarismo. Tale processo, inoltre, non deve essere sequenziale e “comportamentista” (a uno stimolo associare necessariamente una risposta), in cui si rinforzano solo i comportamenti ritenuti positivi, premiandoli con lo “zuccherino”. Si tratta, invece, di una costruzione circolare, sempre da aggiornare, in cui siano chiari gli obiettivi educativi e ci sia la capacità di cambiare in corsa se necessario.

Il genitore che pretende il figlio come una sua copia, nel carattere, negli studi, nelle passioni non ne rispetta l’identità e opera una pericolosa sopraffazione, i cui effetti saranno duraturi.

Una particolare forma di violenza (e prepotenza), poco trattata ma molto distruttiva nei confronti dei figli, è l’interruzione affettiva, il “mettere il muso” e imporre il silenzio per giorni. I comportamenti più laceranti nei confronti dei figli riguardano le eccessive colpevolizzazioni, il minacciare una punizione e il rimanere ambigui, senza perdonare, dopo che la stessa sia stata inflitta. Il bambino, infatti, si aspetta, dopo aver scontato una punizione, il perdono, con la consapevolezza di non ripetere l’azione indesiderata e dimostrare la propria maturità nell’aver compreso l’errore. Il silenzio che si riceve, in questi casi, alimenta insicurezza, disorientamento e rabbia.

È necessario sottolineare un aspetto fondamentale: la genitorialità non è solo insegnamento ma anche apprendimento. La consapevolezza di questo diverso approccio, costituisce di per sé, il primo passo, il corretto esame di coscienza e una predisposizione meno superba e sorda.

La costruzione della personalità dell’identità personale e della dignità può essere, quindi, minacciata in casa, in famiglia e costituire, poi, la base per manifestare prepotenza nel rapporto con i pari senza instaurare sani rapporti sociali. La prima agenzia di socializzazione è quella che, a volte, paradossalmente, la nega.

Occorre ascoltare il grido o il rantolo di richiesta d’aiuto, mostrato palesemente o strozzato nella psiche dei ragazzi vittime di bullismo nonché la voce dei figli che lo sperimentano a casa per poi “esportarlo” all’esterno. Anaffettività, insensibilità e disinteresse sono i sicuri ingredienti di futuri fenomeni di prevaricazione e isolamento sociale. Il bullismo, prima di esercitarsi, si impara.

Marco Managò

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