Geopolitica del petrolio: ecco cosa sta accadendo nel sud del mondo

Iraq, Nigeria e Repubblica del Congo hanno confermato la loro adesione all'Opec dopo l'uscita dell'Angola

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Al tavolo del petrolio si giocano gli equilibri geopolitici ed economici nel sud del mondo. Iraq, Nigeria e Repubblica del Congo hanno confermato la loro adesione all’Opec dopo l’uscita dell’Angola. “Ribadiamo il nostro fermo sostegno all’unità e alla coesione che sono alla base dell’Opec e dell’Opec+“, afferma il ministro degli Idrocarburi del Congo, Bruno Jean-Richard Itoua. “Ogni membro, africano o meno, svolge un ruolo indispensabile per raggiungere i nostri obiettivi comuni. E per mantenere l’equilibrio del mercato petrolifero globale“. In particolare “il Congo si impegna a continuare una stretta e costruttiva collaborazione con tutti i Paesi membri”. Anche la Nigeria, con il ministro per il Petrolio Heineken Lokpobiri, fa sapere che la posizione del paese all’interno del cartello resta “incrollabile”. petrolio

Equilibrio-petrolio

Il Congo è diventato membro a pieno titolo dell’Opec nel 2018. E si è posto un obiettivo di 277.000 barili al giorno (bpd) per il 2024. Mentre la Nigeria, che è il più grande produttore di petrolio dell’Africa, e l’Angola sono stati tra i vari Paesi a cui sono stati assegnati obiettivi di produzione più bassi per il 2024. Dopo anni di mancato raggiungimento dei precedenti. Analogamente, anche il portavoce del ministero del Petrolio iracheno Asim Jihad ha confermato il sostegno dell’Iraq al cartello. E l’impegno a tagliare la produzione di petrolio. “Il governo sta lavorando seriamente, attraverso il gruppo Opec+. Per raggiungere l’equilibrio e la stabilità necessari nel mercato petrolifero globale. E per ottenere un buon livello di entrate per il Tesoro federale”, dichiara un portavoce dell’esecutivo di Baghdad. E aggiunge: “Grazie all’accordo Opec+ per la riduzione della produzione, gli Stati membri, tra cui l’Iraq, hanno cercato di raggiungere i più alti tassi di equilibrio tra domanda e offerta. In modo da raggiungere la stabilità nel mercato petrolifero globale“. Fanno discutere, intanto, le affermazioni del ministro del Petrolio dell’Angola, Diamantino Azevedo. “L’Opec non serve più gli interessi del Paese”, sostiene. L’Angola si unisce così ad altri produttori di medie dimensioni, come l’Ecuador e il Qatar, che hanno lasciato l’organizzazione nell’ultimo decennio.
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Impegno

Negli ultimi mesi l’Opec ha portato avanti una politica produttiva restrittiva. Ma, nonostante questo, i prezzi non sono aumentati a causa della produzione extra Opec, quella degli Stati Uniti in particolare. Alla Nigeria è stato assegnato un obiettivo per il 2024 di 1,5 milioni di barili al giorno (bpd). Anche se l’obiettivo è di produrre almeno 1,8 milioni di barili al giorno. L’annuncio dell’Angola di uscire dall’Opec a partire da gennaio solleva qualche interrogativo sul ruolo dell’organizzazione di Vienna. E sul suo “peso” all’interno del mercato del petrolio. La decisione in realtà non ha destato sorpresa. In quanto segnali si erano già avuti lo scorso mese di giugno. Quando il paese africano si ritirò da una riunione del cartello per disaccordi sui livelli di produzione. Salvo poi accettare, insieme alla Nigeria e alla Repubblica del Congo, che la sua produzione di base venisse rivista.

Revisione

A seguito della revisione, le soglie di riferimento di tutti e tre i Paesi per il 2024 vennero poi abbassate lo scorso mese di novembre. Qualche osservazione, ad inizio mese. E quindi prima dell’annuncio di Luanda, proprio sul ruolo dell’Opec era stata fatta nel suo report mensile dalla stessa Aie. L’Agenzia internazionale dell’Energia. Gli esperti sottolineavano come il rallentamento della domanda e l’aumento della produzione di greggio Usa rendessero più difficile per l’Opec+ stesso continuare a sostenere i prezzi. Ciò perché il cartello, guidato da Arabia Saudita e Russia, ha limitato la produzione per tenere su i prezzi. Nonostante i tagli, però, le quotazioni sono recentemente crollate a causa dell’indebolimento dell’economia globale. E dell’aumento della produzione al di fuori del blocco. “Il continuo aumento dell’offerta e il rallentamento della crescita della domanda complicheranno gli sforzi dei principali produttori. In difesa della propria quota di mercato. E per mantenere elevati i prezzi del petrolio”, sosteneva il report dell’Aie. Rispetto ai massimi di settembre, i prezzi intanto sono calati di circa 25 dollari al barile. Ma secondo alcuni analisti, interpellati dal Financial Times, l’uscita di scena dell’Angola non comporterebbe alcun contraccolpo. Almeno non nel breve termine. petrolio

Mercato del petrolio

Secondo Helima Croft è un ex analista della Cia e responsabile della ricerca sulle materie prime alla RBC Capital Markets. “L’Angola in realtà non ha mai accettato i patti stretti a giugno, che permisero agli Emirati Arabi Uniti di aumentare la propria produzione di base per il 2024. Mentre la sua venne ridotta – afferma Croft-. I semi di questa uscita sono stati gettati a giugno. Inoltre, l’Angola è stato uno dei membri più umorali. Avendo inscenato negli ultimi anni diverse fughe dalle riunioni“. Di certo, secondo gli osservatori, la partenza è un duro colpo per l’Opec. Ma non avrà un impatto significativo sulla capacità del gruppo di influenzare il mercato. Se si considera che la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno dell’Angola rappresenta circa il 2% della produzione totale dell’alleanza Opec+, che comprende anche la Russia. “Data l’entità della produzione del Paese, l’uscita dell’Angola non avrà un impatto sostanziale sulle attività del gruppo”, aggiunge Croft.petrolio

Uscita dall’Opec

Sulla stessa linea, Bjarne Schieldrop. L’analista capo delle materie prime presso la SEB mette in guardia dal considerare l’abbandono dell’Angola come un segnale di un problema più grande per il gruppo. “Sarà sempre usato da coloro che sono ribassisti sul petrolio come una scusa per vendere petrolio- sostiene Schieldrop-. Ciò che conta davvero sono la Russia e l’Arabia Saudita. Questo non è un segnale che il resto dell’Opec sta crollando”. Quel che è certo è che il paese africano l’Angola sta lottando per risollevare la produzione in calo da quasi un decennio. A detta di Alex Vines, responsabile del programma Africa presso il think tank Chatham House, l’Angola ha perseguito una politica estera sempre più “a la carte” sotto Lourenco, divenuto presidente nel 2017. E “l’uscita dall’Opec è parte di questo”.