Palma (Bambino Gesù): “Studiamo l’interazione organismo-vaccino per aiutare i più fragili”

L'intervista di In Terris al professor Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia

Per tutelare e proteggere le categorie più vulnerabili dal rischio di sviluppare forme gravi di malattie è fondamentale studiare l’interazione tra l’organismo e il vaccino. Anche nell’ottica di avvicinarsi sempre di più alla personalizzazione del vaccino in base alle esigenze del paziente, disegnare “su misura” il suo abito vaccinale.

Capire perché c’è chi non risponde in maniera adeguata alle vaccinazioni, risultando meno protetto di altri, è lo scopo studi sull’efficacia dei vaccini contro il Covid sui soggetti immunodepressi, a cura dei medici e dei ricercatori dell’ Unità di ricerca di Immunologia clinica e Vaccinologia dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù  di Roma, guidati dal professor Paolo Palma. Si tratta di ricerche che fanno parte del più ampio studio CONVERS, che include anche altre tre ricerche su pazienti con infezione perinatale da HIV, malattia infiammatoria cronica intestinale e Sindrome di Down.

Per gentile concessione del professor Paolo Palma, responsabile UOC di Immunologia Clinica e Vaccinologia

I risultati

Le indagini sono state condotte su tre diversi gruppi di pazienti, di cui 21 affetti da immunodeficienza primitiva, 34 ragazzi e giovani adulti sottoposti a trapianto di cuore e polmone, infine 45 giovani con trapianto di fegato e rene. I ricercatori hanno analizzato la risposta sierologica al vaccino, quanti anticorpi fossero presenti nel sangue, e quella cellulare, la presenza di linfociti T e linfociti B specifici contro il SARS-CoV-2 e nel caso soggetti che hanno subìto il trapianto di fegato e di rene della struttura complessa di Follow-up Trapianto renale guidata dal dottor Luca Dello Strologo, confrontando i dati con quelli di gruppi di controllo composti da persone sane, vaccinate contro il Covid nello stesso periodo. Ciò che è emerso è che, nei pazienti immunodepressi, tre su dieci non hanno sviluppato una protezione dopo esser stati vaccinati, mentre negli altri casi si ha una risposta anticorpale che risulta inferiore rispetto a quella dei soggetti sani, sviluppando meno anticorpi e meno linfociti specifici contro il Coronavirus.

L’intervista al professor Paolo Palma

Perché avete condotto questo studio?

“Da circa 10-15 anni con il gruppo che guido cerchiamo di capire perché in natura esistono soggetti che non rispondono in maniera adeguata alle vaccinazioni, perché c’è un gruppo di pazienti che è meno protetto rispetto ad altri e come sia possibile aiutare questi pazienti, con delle strategie personalizzate di vaccinazione. Gran parte degli studi, anche quelli registrativi, sono fatti su persone sane, mentre il nostro obiettivo è aiutare i più fragili che qualora contraessero un’infezione avrebbero problemi maggiori: da anni quindi la vaccinazione nei pazienti con disturbi acquisiti (HIV, utilizzo di farmaci immunosoppressori o biologici) o primitivi (immunodeficienza primitiva) del sistema immunitario. L’aver identificato il vaccino contro il Covid in meno di un anno è un evento assolutamente grandioso dal punto di scientifico, poi nell’attuazione del piano vaccinale dal momento che  siamo in mezzo a una pandemia, non si è ancora riusciti a seguire pienamente la personalizzazione del vaccino e la scelta del vaccino da parte del medico per il tipo di paziente”.

Su quali elementi si sono concentrate le ricerche?

“Abbiamo studiato la capacità di risposta immunitaria al vaccino in pazienti con immunodeficienza primitiva, pazienti con Hiv, pazienti trapiantati, pazienti affetti da sindrome di Down con problemi del sistema immunitario, partendo dall’idea che la risposta anticorpale, da sola, non sia sufficiente per studiare questi pazienti. Non sappiamo quando uno di loro è più o meno a rischio di sviluppare una malattia infettiva, per cui abbiamo studiato diversi marcatori per capire cosa avviene a livello cellulare, intracellulare e molecolare quando ci si vaccina: la loro frequenza di cellule che producono gli anticorpi; le proteine che vengono prodotte in seguito a una stimolazione vaccinale; l’espressione genica, cosa fa una cellula per attivarsi in seguito alla stimolazione del vaccino”.

Che risultati avete ottenuto?

“L’efficacia del vaccino in questi soggetti non è la stessa che si osserva nei soggetti sani. Esiste una quota di pazienti –  maggiore nei soggetti trapiantati rispetto a chi è affetto da forme di immunodeficienza primitiva – circa un terzo, che non sviluppa una protezione dopo la vaccinazione, né dal punto di vista anticorpale né da quello cellulare. Ciò è importante perché sappiamo che questo vaccino non ci protegge totalmente dall’infezione, ma dalla malattia grave grazie all’azione delle cellule che nel nostro sangue producono gli anticorpi. Se queste cellule non ci sono il paziente è a rischio di sviluppare ugualmente forme gravi della malattia, pure se è vaccinato. Le variabili sono diverse, nei soggetti con immunodeficienza primitiva a seconda del gene alterato, che conferisce un disturbo immunitario, si ha uno scenario differente, mentre nel caso dei pazienti che hanno subito un trapianto svolge un ruolo la terapia che stanno seguendo”.

Come valuta il parere favorevole espresso dall’Agenzia europea del farmaco a somministrare la terza dose di vaccino agli immunodepressi almeno 28 giorni dopo dalla seconda?

“Alla base delle indicazioni dell’EMA c’è sempre un grande lavoro della comunità dei ricercatori, dei medici e dei pazienti, e una ricerca mirata a fornire risposte a domande molto concrete, che spesso purtroppo non emerge. Il parere dell’Agenzia europea è mediato dalle conoscenze attuali, quindi la decisione più giusta ad oggi è che la terza dose vada fatta in quei soggetti in cui esistono dei dati che dimostrano una mancata copertura vaccinale nonostante le due dosi di vaccino”.

Riterreste opportuno estendere la campagna di vaccinazione ai bambini con meno di 12 anni?

“Il criterio scientifico che finora ci ha guidato nelle indicazioni vaccinali ci deve guidare anche in questo, soppesando vari elementi. Cioè il beneficio singolo e il beneficio collettivo, verrà consigliato ed avrà senso partire  come sempre dai soggetti più fragili. In alcuni Paesi la vaccinazione verrà offerta solo soggetti con problemi di natura cronica sotto i 12 anni. Abbiamo però visto che lasciare un gruppo non coperto da vaccinazione può determinare una maggior circolazione del virus in quella quota di popolazione. Questo si associa a un maggior sviluppo di varianti e anche al fatto che potenzialmente anche sotto i 12 anni ci possono essere, per quanto rare, delle complicanze piuttosto gravi legate al Sars-Cov-2 che potrebbero essere prevenute col vaccino”.