Oxfam: ecco come la pandemia ha accresciuto il divario tra ricchi e poveri

L'intervista a Misha Maslennikov e Sara Albiani di Oxfam a commento de "La pandemia della disuguaglianza”, il rapporto dell'organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze in tutto il mondo

Nei primi 2 anni di pandemia i 10 uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 15.000 dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno.

Ricchi e poveri: divergenze sempre più marcate

Dall’inizio dell’emergenza Covid-19, ogni 26 ore un nuovo miliardario si è unito ad una élite composta da oltre 2.600 super-ricchi le cui fortune sono aumentate di ben 5 mila miliardi di dollari, in termini reali, tra marzo 2020 e novembre 2021. Il surplus patrimoniale del solo Jeff Bezos – ad esempio – nei primi 21 mesi della pandemia (+81,5 miliardi di dollari) equivale al costo completo stimato della vaccinazione (due dosi e booster) per l’intera popolazione mondiale.

Nello stesso periodo si stima che 163 milioni di persone siano cadute in povertà a causa della pandemia. Sono le donne ad aver subito gli impatti economici più duri della presenza de Covid-19. Le donne infatti hanno perso complessivamente 800 miliardi di dollari di redditi nel 2020, un ammontare superiore al PIL combinato di 98 Paesi, e stanno affrontando un aumento significativo del lavoro di cura non retribuito, che ancora oggi ricade prevalentemente su di loro. Mentre l’occupazione maschile dà segnali di ripresa, si stimano per il 2021 13 milioni di donne occupate in meno rispetto al 2019.

Oxfam e il rapporto “La pandemia della disuguaglianza”

Dati inequivocabili che emergono da “La pandemia della disuguaglianza” [qui il report completo, ndr], il nuovo rapporto pubblicato da Oxfam, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze. È infatti il virus della disuguaglianza, e non solo la pandemia, a devastare tante vite. Ogni 4 secondi 1 persona muore per mancanza di accesso alle cure, per gli impatti della crisi climatica, per fame, per violenza di genere. Fenomeni tutti connotati da elevati livelli di disuguaglianza.

Ne parliamo con il policy advisor Oxfam sulle lotta alle disuguaglianze, Misha Maslennikov e – per quel che riguarda la domanda sul rapporto tra povertà e salute – con la policy advisor su salute globale Oxfam, Sara Albiani.

I policy advisor Oxfam Misha Maslennikov e Sara Albiani

L’intervista a Maslennikov e Albiani di Oxfam

Dottor Maslennikov, come commenta il report “La pandemia della disuguaglianza” a partire dalla scelta del nome?
“La pandemia da COVID-19 è stata paragonata a dei potenti raggi X che hanno rivelato al mondo, in tutta la loro crudezza, gli ampi divari economici e le profonde fratture e fragilità sociali preesistenti lo scoppio dell’emergenza sanitaria e acuiti dalla crisi economica e sociale che ne è scaturita. La radiografia restituita dal rapporto di Oxfam, La pandemia della disuguaglianza, rileva la diversità nelle traiettorie di vita nel biennio pandemico e nelle prospettive di benessere multidimensionale a breve e medio termine dei cittadini negli angoli più disparati del pianeta. Diversità, differenziazione, disuguaglianza: la chiave di lettura del 2020 di Oxfam è incardinata in uno di questi sinonimi. Diversa era la resilienza economica delle persone pre-pandemia, diversi sono stati gli impatti economici del COVID19 con i suoi pochi, tutt’altro che insoliti, “vincenti” e tantissimi “perdenti” che avranno bisogno, di molto tempo per rialzarsi. Diverse, con forti squilibri occupazionali di genere, si sono rivelate le opportunità di proseguire la propria attività lavorativa dopo l’introduzione di misure restrittive in quasi tutti i Paesi del globo nel 2020 o di ritrovare un impiego nella fase di ripresa nel 2021. Diversissime, per entità e copertura, sono state le misure emergenziali di supporto al reddito e al lavoro messe in campo dai governi con i Paesi più vulnerabili – schiacciati da obblighi pesantissimi connessi alle loro esposizioni debitorie verso creditori internazionali, pubblici e privati – a essere sprovvisti di adeguati spazi fiscali per salvaguardare la salute dei propri cittadini e supportare adeguatamente famiglie e operatori economici. Disuguale e socialmente segmentato è risultato l’accesso ai servizi educativi a distanza con divaricazioni marcate nelle traiettorie di apprendimento dei più giovani. Fortemente disuguale resta infine l’accesso ai servizi sanitari e ai vaccini con uno spartiacque indecoroso tra chi oggi, può accedere alle dosi di vaccino e chi – i cittadini del mondo in via di sviluppo, ne è ampiamente escluso.

In sintesi, quali sono i dati più rilevanti del report in merito alla situazione italiana?
“La pandemia ha causato un forte calo dei redditi familiari che a sua volta ha comportato una contrazione della spesa per i consumi e il conseguente aumento dell’incidenza della povertà assoluta nel nostro Paese. Il 2020, l’annus horribilis della pandemia, ha visto un milione di individui e più di 400.000 famiglie sprofondare nella povertà. A differenza della recessione precedente (2012-2013) il crollo dei consumi è, questa volta, meno imputabile alla perdita del potere di acquisto delle famiglie ma maggiormente riconducibile alle restrizioni delle attività e al cambiamento pandemico delle abitudini di consumo: una “costrizione” a consumare determinata da fattori come i periodi di lockdown, le misure di contenimento, i timori per il rischio di contagio, l’incertezza sulla durata delle misure di supporto pubbliche. Sono cresciuti i risparmi, ma non per tutti: appena un terzo degli intervistati dalla Banca d’Italia alla fine dell’estate scorsa era riuscito a risparmiare qualcosa dall’inizio della pandemia con le famiglie più vulnerabili incapaci di crearsi alcun cuscinetto finanziario. Lo sforzo dei governi a sostegno del reddito e della capacità di acquisto delle famiglie nei due anni della pandemia è stato massiccio. Un ruolo importante è stato svolto dall’estensione e dalle deroghe a strumenti esistenti come la cassa integrazione, ma altrettanto importante è stato il ruolo di nuovi strumenti emergenziali in assenza dei quali molti individui e famiglie non avrebbero avuto accesso ad alcuna misura di supporto. Tra queste il bonus per gli autonomi, segmento tra i meno tutelati della forza lavoro nel nostro Paese, e il reddito di emergenza, una misura di ultima istanza per chi era escluso dalle prestazioni sociali. Il welfare emergenziale ha contribuito ad attenuare nel nostro Paese, almeno temporaneamente, le disuguaglianze marcate delle retribuzioni e dei salari. D’altra parte ha anche reso palese quanto nel mondo pre-pandemico le prestazioni sociali fossero poco al passo con la dinamica demografica e l’evoluzione del mercato del lavoro e quanto fosse invece impellente recuperare l’universalismo delle tutele”.

Quali sono le parti sociali che più hanno sofferto la pandemia?
“In un Paese, come il nostro, in cui il mercato del lavoro, fortemente disuguale, genera da tempo e strutturalmente povertà lavorativa, in un Paese in cui per tante persone il lavoro non basta a soddisfare i bisogni del proprio nucleo familiare e a condurre una vita dignitosa, in un Paese in cui il lavoro è purtroppo spesso leso nella sua dignità ed è sinonimo di una “somma di lavoretti”, non deve stupire che le ricadute della crisi siano state più marcate per i lavoratori più deboli, assunti con contratti atipici, a termine, di durata breve. Tra questi ci sono soprattutto i giovani. La crisi è stata anche etichetta come una recessione al femminile con una contrazione del tasso di occupazione e delle retribuzioni delle donne più marcata rispetto agli uomini. Le donne erano maggiormente presenti nei settori non essenziali o nell’economia informale, hanno visto un minor rinnovo dei contratti e hanno dovuto conciliare – sopperendo ai ritardi pluriennali degli investimenti nelle infrastrutture sociali – la vita lavorativa con carichi di cura, già gravosi prima del COVID, ma che con la pandemia si sono moltiplicati a dismisura”.

Diritto alla salute e povertà: quale rapporto? [Risponde la dottoressa Sara Albiani, ndr] ”
Nell’attuale quadro pandemico è emerso come i rischi di esposizione al contagio siano fortemente differenziati tra diversi gruppi sociali. Escludendo il personale medico e infermieristico, in prima fila nel contrasto all’epidemia e quindi drammaticamente esposto, la maggioranza dei “colletti bianchi” nonché le persone che occupano posizioni dirigenziali o svolgono attività di natura intellettuale hanno avuto la possibilità di usufruire dello smartworking lavorando quindi in un ambiente protetto, mentre non è stato così per un numero significativo di componenti delle classi professionali più basse. La struttura produttiva nel nostro Paese e la divisione sociale e tecnica del lavoro hanno quindi determinato un livello di protezione differenziato dall’infezione, tra diverse categorie di lavoratori. Inoltre, dai dati disponibili sembra che la presenza di patologie croniche pregresse influenzi la prognosi nelle persone con COVID-19 e aumenti il rischio di esiti gravi della malattia. D’altro canto, l’incidenza di malattie croniche aumenta, a parità di altre condizioni, all’abbassarsi della posizione sociale. Infatti, al di là della fase di emergenza sanitaria che stiamo vivendo, è noto che le disuguaglianze sociali, economiche ed ambientali siano tra i principali determinati di salute, cioè determinino differenze nello stato di salute dei cittadini. Essere ricchi o poveri, vivere in ambienti salubri o meno, nutrirsi adeguatamente o meno, condurre stili di vita più o meno sani, accedere a cure con maggiore o minore facilità hanno un impatto importante su salute e aspettativa di vita delle persone. Quando quindi ci poniamo il problema di come garantire una maggiore equità nello stato di salute degli individui e della comunità a cui appartengono, dobbiamo innanzitutto agire sui determinanti socio-economici delle disuguaglianze di salute, con interventi che mirino a ridurre i divari nei livelli di istruzione delle persone, assicurare condizioni abitative dignitose, favorire la sostenibilità ambientale, migliorare la qualità del lavoro, garantire retribuzioni eque. Oltre a ciò, rimane essenziale garantire l’accesso a servizi sanitari universalistici di qualità, capaci di rispondere con efficacia a bisogni di salute diversificati, attraverso lo stanziamento di risorse finalmente adeguate e destinate a rispondere ai reali fabbisogni territoriali di salute. Il nostro sistema sanitario – anzi, i nostri sistemi sanitari, visto che ne abbiamo tanti quanti sono le nostre regioni dando luogo ad una accentuata disuguaglianza territoriale – è stato cronicamente sotto-finanziato rispetto al crescente fabbisogno e ha visto un significativo indebolimento della medicina territoriale e della prevenzione, che abbiamo pagato caro in questi quasi due anni di pandemia”.

Dottor Maslennikov, cosa propone Oxfam per uscire dall’attuale crisi?
“Sul palcoscenico internazionale va posta fine all’apartheid vaccinale per tutelare chi è sprovvisto di difese contro il coronavirus, ostacolandone contemporaneamente la libera circolazione e lo sviluppo di nuove varianti. Le economie avanzate devono rispettare i propri impegni di donazione delle dosi vaccinali ai Paesi più vulnerabili e, ancor più significativamente, avallare la sospensione temporanea dei diritti di proprietà intellettuale relativi a vaccini, test e terapie anti-COVID e sostenere la condivisione di dati, know-how e tecnologia vaccinale con i Paesi in via di sviluppo per incrementare la produzione e distribuzione locale dei vaccini.
Le economie avanzate devono anche supportare i Paesi a basso reddito che si trovano in estrema difficoltà nella mobilitazione di risorse domestiche attraverso iniezioni addizionali di liquidità, senza interessi e condizionalità, e ulteriori sospensioni e ristrutturazioni non pregiudizievoli dei debiti bilaterali. In Italia, la riforma del sistema fiscale dovrebbe prevedere una ricomposizione complessiva del prelievo (con spostamento del carico fiscale dai redditi da lavoro ad altri cespiti), non svalutare la funzione redistributiva dell’imposizione, e perseguire l’obiettivo dell’equità, oggi profondamente disatteso. La misura per antonomasia contro la povertà, il reddito di cittadinanza, presenta oggi forti criticità e discriminazioni nelle condizioni di accesso e nella determinazione degli importi escludendo stranieri di non lungo soggiorno in condizioni di disagio economico e penalizzando famiglie numerose e con minorenni. La misura prefigura inoltre una vera e propria “trappola della povertà” per chi tra i beneficiari inizia un’attività lavorativa: per ogni euro in più guadagnato 80 centesimi vengono sottratti dall’assegno. Problemi noti e deplorati persino da chi guida oggi il nostro governo eppure rimasti senza risposta nell’ultimo riordino dell’istituto nella legge di bilancio approvata meno di un mese fa. Un intervento che renda il reddito di cittadinanza più equo ed efficiente, sulla falsa riga delle raccomandazioni del Comitato Scientifico di valutazione della misura presieduto da Chiara Saraceno, è improcrastinabile. Il riordino degli ammortizzatori sociali nella legge di bilancio è da valutarsi positivamente per la vocazione universalistica dell’intervento, ma la coperta rimane ancora corta, soprattutto per i lavoratori autonomi o per gli occupati under-35 con carriere professionali frammentate e precarie. Servono inoltre trasferimenti integrativi ad hoc per i working poor, una seria limitazione del ricorso a contratti atipici, lesivi della dignità di chi lavora, e l’introduzione di un salario minimo legale”.

Vuole fare una conclusione?
“La giustizia sociale costituisce il principio fondamentale di una co-esistenza pacifica e una vita prospera per tutti. Una norma che autorizza i cittadini ad esigere dallo Stato la tutela e la promozione dell’uguaglianza, nella diversità, in tema di libertà, diritti individuali e sociali, e opportunità. Un principio su cui si incardina da tempo il lavoro di Oxfam sul contrasto alle disuguaglianze. Un principio che dovrebbe essere caro ai più. Sventolare la bandiera della giustizia sociale significa denunciare, avanzando concrete misure di intervento, meccanismi iniqui e socialmente inaccettabili che fanno divergere significativamente le traiettorie socio-economiche dei membri delle nostre società, creando, per molti, barriere e ostacoli in partenza o lungo il proprio percorso di vita. Le disuguaglianze non sono né casuali né ineluttabili, sono piuttosto il risultato di precise scelte politiche e costituiscono un fenomeno gravemente nocivo per le nostre società. Minando le prospettive di una crescita duratura e sostenibile, ostacolando la mobilità inter-generazionale, indebolendo il grado di coesione sociale. Le fratture all’interno di una società in cui pochi fanno significativi balzi in avanti mentre molti arretrano, restano fermi o fanno solo passi modesti verso un futuro migliore possono portare repentinamente allo svilimento del patto sociale, a intolleranza e discriminazione verso chi, troppo spesso a torto, è indebitamente additato come responsabile dello status quo, a una sfiducia, non immotivata, nei confronti delle istituzioni, a processi di disgregazione politica, a instabilità financo a derive autoritarie. Prenderne coscienza, indignarsi di fronte alle ingiustizie, esigere un cambiamento che renda le nostre società più dinamiche, eque e mobili è per noi un imperativo morale, cui auspichiamo, possa ispirarsi l’agire quotidiano di ciascuno”.