Noi, fuorisede a Milano, così “vulnerabili”

Stefano Maiolica, punto di riferimento di tanti fuori sede, invita i "terroni" come lui a non arrendersi

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Giovani italiani indossano la mascherina - Foto © Dire

Per le festività natalizie aveva messo in piedi un pullman con posti gratuiti per i fuori sede meno abbienti, costretti a rimanere al Nord a causa del rincaro biglietti. Oggi Stefano Maiolica, blogger e curatore della pagina Facebook punto di riferimento per centinaia di fuori sede, “Un terrone a Milano”, guarda alla situazione in Lombardia e 14 province del Nord Italia e cerca di far chiarezza. La sua laurea in psicologia sociale lo aiuta a tenere la bussola in un mare fatto di panico e psicosi, ma la sua natura da pluriennale fuori sede valuta anche gli stati d’animo di chi, come lui, in questo momento di incertezza globale, vorrebbe ritornare a casa dagli affetti, l’unica sicurezza certa nel clima di disagio scatenato dall’epidemia di Covid-19.

Ragazze a Milano indossano mascherine – Foto © Linkiesta

Stefano, è in contatto con tanti fuori sede a Milano. Come stanno vivendo questa situazione ?
“Ho attivato diverse chat con una community di circa 4mila persone. Ogni giorno ne parliamo tutti, ci raccontiamo quello che sta accadendo, perché sono convinto che, quando si parla insieme di un problema, questo sia più facile da superare. La situazione qui a Milano è confusa perché non si capisce bene com’è la situazione. C’è stata una prima fase di allarmismo, poi una seconda fase dove la tensione si è allentata, mentre adesso pare che la situazione si sia di nuovo aggravata. Va, però, fatta una distinzione tra i fuori sede che sono studenti e i lavoratori”.

Come la vive lo studente fuori sede?
“Sulla base delle mie conoscenze, sono in tanti a viverla con paura. Personalmente, non sono d’accordo per una fuga verso il sud, come hanno fatto in molti in questi ultimi giorni. Chi è rimasto è spaventatissimo perché, quando si è chiusi in stanze piccole e devi combattere la noia, è difficile che il morale resti alto”.

Mentre il lavoratore fuori sede?
“Stiamo vivendo una forte confusione sulle misure da adottare. Perché, se da una parte c’è chi ha la possibilità di lavorare da casa in smartworking, dall’altra ci sono tanti privati che finora se ne sono fregati, imponendo di andare in ufficio, prendere i mezzi, e questo aumenta la paranoia dei lavoratori. A fine giornata, quando rientriamo nelle nostre case, riflettiamo sulla nostra quotidianità e siamo un po’ confusi. Ti senti insicuro e vulnerabile”.

Cosa, secondo te, crea più confusione?
“Se da una parte Conte rilascia le conferenze stampa, i dibattiti scientifici hanno rilevato scontri. Ho visto incoerenza in stampa e media, perché nessuno ha capito cosa sta accadendo. E ci sta, perché stiamo parlando di un virus nuovo, di un’esperienza che non abbiamo mai vissuto nel nostro secolo. Però quest’alone di mistero non fa altro che generare panico e paura. Per noi fuori sede, il panico aumenta perché siamo distanti dalle nostre famiglie, che per noi rappresentano un nido sicuro, una sicurezza”.

Una ragazza indossa la mascherina alla fermata dell’autobus nella città di Milano – Foto © CattolicaNews

Come reagisci tu?
“Sto evitando di tornare a Salerno, perché non voglio mettere a repentaglio la mia famiglia, i miei nonni. Però tanti ragazzi mi scrivono le loro storie. Come una ragazza che voleva tornare al sud dal suo fidanzato, oppure alcuni coetanei che si apprestavano a venire a Milano per cercare lavoro o fare colloqui. Ci sono tante situazioni di vita che vanno affrontate. Io e tantissimi altri fuori sede abbiamo mantenuto la lucidità pensando che non è assolutamente il caso di spostarsi ora: andremmo semplicemente ad aumentare il rischio di contagio con gli altri e soprattutto con i nostri cari, perlopiù anziani”.

“Non punterò mai il dito sul 18enne, sul 20enne studente fuori sede che in una situazione del genere torna a casa spaventato. Stiamo parlando di ragazzi che si sono visti esplodere una situazione indecifrabile, di cui si sa ben poco, che hanno dall’altra parte del telefono le famiglie che li richiamano a casa perché sono spaventati. Però io penso che sarebbe struggente per me pensare di mettere a rischio la vita di mia nonna. Credo che tutto quello che sta succedendo sia assolutamente normale dal punto di vista psicologico”.

In che senso?
“Non possiamo affidare una situazione così critica alla coscienza dei singoli. Non perché gli altri sono cattivi, ma perché la coscienza in momenti di panico e paura come questi, non c’è più. Ci vorrebbe un intervento forte dello Stato in tal senso, ovviamente con una serie di servizi attuati per favorire una formazione adeguata ed il benessere psicologico delle persone nelle proprie case”.

“Molti sono tornati giù in quarantena, prendendosi le offese di tutti quelli del proprio paese. Una ragazza mi ha raccontato di essere stata mandata via dal parrucchiere, un’altra non è stata servita al ristorante. In queste situazioni di paura, stiamo colpevolizzando tutti: prima i cinesi, poi quelli della Lombardia, ora quelli del Sud. Sono laureato in psicologia sociale per cui, prima di parlare di un fenomeno, cerco di analizzarlo e ponderare quello che dico”

Che iniziative stai portando avanti?
“È partita l’Operazione Felicità. Ho, cioè, creato il cosiddetto ‘pacco della felicità’, dove all’interno c’è il ‘kit antinoia’: contiene tutto l’occorrente per fare una pizza in casa, un libro, una crema di pistacchio con un’amuchina, ci sarà un quaderno con un portapenne e una dedica da parte mia a tutti questi ragazzi. L’obiettivo è portare un po’ di serenità a tutti questi ragazzi: mi immedesimo e so quanto possa essere difficile per loro, in questo momento. Dobbiamo essere noi la nostra famiglia.

Stefano Maiolica (a sinistra) durante un incontro con il sindaco di Milano, Beppe Sala, gennaio 2020 – Foto © Facebook per Un terrone a Milano