Lo Stato sociale: nascita e prospettive

La necessità di un nuovo welfare di comunità per ridurre le disuguaglianze

Il concetto di Stato Sociale, nell’accezione moderna del termine, prende vita nella Germania di Bismarck tra il 1883 e il 1889 attraverso l’istituzione delle cosiddette assicurazioni sociali obbligatorie definite con il termine Wohlfahrtsstaat, o “Stato del benessere” ed altresì in Italia il primo sviluppo embrionale dello stesso – seppur in forma diversa e ridotta – si ha nel 1851 attraverso la promulgazione della cosiddetta legislazione sociale di Cavour e Petitti.

La nascita dello Stato Sociale contemporaneo si ha nel 1942 quando l’inglese William Beveridge da vita al cosiddetto Piano Beveridge il quale doveva sviluppare una serie di misure tese ad incentivare lo sviluppo del cosiddetto welfare state – lo stato di benessere – l’intento principale di questa normativa era quello di porre un elemento di differenza sostanziale e di forte discontinuità tra le democrazie dell’Europa occidentale ed il regime totalitario sovietico. In particolare per quanto concerne il Regno Unito si ha uno sviluppo accentuato del cosiddetto welfare state nella legislazione laburista che si protrae dal 1945 al 1951 ed è in questo periodo che il cosiddetto Stato Sociale ha avuto un giovevole sviluppo in molti paesi occidentali tra i quali l’Italia di cui successivamente si parlerà in maniera diffusa.

Il piano Beveridge nel contesto italiano diede vita – a partire dal 1946 – ad un costruttivo dibattito all’interno dell’Assemblea Costituente nella quale in particolare vennero istituite due commissioni: una denominata Commissione per lo studio dei problemi del lavoro e l’altra Commissione per la riforma della Previdenza Sociale, questi fattori oltre a porre le basi del nostro stato sociale diedero vita ad uno dei suoi caratteri fondamentali che consisteva e consiste nella stretta sinergia tra posizione occupazionale e protezione sociale, ciò si deve al fatto che i maggiori partiti politici italiani concepivano il nascente stato democratico come l’elemento che avrebbe dato vita ad una nuova civiltà nel quale il lavoro veniva considerato il valore fondamentale ed imprescindibile della nascente compagine come viene sancito dall’articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana che così recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Ora si enumerano brevemente alcuni tra i provvedimenti di maggior rilievo del nostro stato sociale emanati durante la prima repubblica e alcuni dei suoi limiti più evidenti: per quanto concerne i primi è utile semplificare la riforma della scuola dell’obbligo la quale fu promulgata nel 1962 e si tratta della più grande riforma universalistica realizzata dal nostro paese che ha dato vita a un sistema scolastico uniforme ed inclusivo nel quale le differenze legate alle condizioni economiche si riducevano notevolmente, successivamente a tal proposito è utile citare la riforma istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale realizzato con la legge 833 del 1978 che ha dato vita un sistema sanitario universalistico conferendo ad ogni cittadino della Repubblica italiana il diritto di accedere alle cure sanitarie tutelando e valorizzando così la salute nella sua accezione più alta.

Nel 1969 si diede vita ad un altro istituto fondamentale nel nostro stato sociale ossia la pensione sociale, essa rappresenta l’unico momento in cui nella cultura previdenziale del nostro Paese si afferma l’idea che anche il cittadino che diventa anziano senza aver maturato col proprio lavoro nel diritto a una pensione di vecchiaia e sprovvisto di mezzi abbia diritto a qualche forma tutela da parte della collettività ciò è senza dubbio un principio positivo però non diverrà mai un vero e proprio strumento di lotta all’esclusione e alla povertà economica degli anziani in quanto l’attuale ammontare delle pensioni della pensione sociale è molto esiguo che non permettono esistenza dignitosa.

Dopo aver esemplificato i lati positivi del nostro stato sociale è giunta l’ora di esemplificarne i lati negativi, a tal proposito è utile sottolineare l’aspetto profondamente clientelare che ha connotato l‘inizio del nostro welfare state in particolare per quanto concerne l’aspetto delle pensioni di anzianità e invalidità a titolo esemplificativo si pensi ad esempio che il Parlamento italiano tra gli anni70 e ‘80 dava vita ogni 10 giorni a una diversa legge atta a modificare l’orientamento pensionistico e favorire determinate categorie professionali, creando profonde ingiustizie sociali.

In seconda istanza un ulteriore aspetto del nostro stato sociale che merita una doverosa citazione è la riforma del sistema pensionistico che, negli anni 60, ha dato vita a uno strumento straordinario per l’inclusione delle persone con disabilità al fine di contrastarne l’indigenza ossia la pensione di invalidità la quale però a volte si tramutava una pensione sociale e, specialmente nelle zone del Paese caratterizzate da un alto livello di disoccupazione, la sopracitata pensione diveniva spesso un ammortizzatore sociale per concedere anche a persone perfettamente sane uno strumento minimo di sostentamento e nel contempo mantenere la coesione sociale.

In ultima istanza dopo aver analizzato la storia contemporanea del nostro stato sociale è utile esemplificare la condizione odierna dello stesso ed i nuovi bisogni creati alle nuove necessità economiche e sociali, in particolare ciò che emerge è la necessità di prendersi cura dei cittadini vulnerabili – una fascia in continuo aumento – affinché essi non diventino emarginati. A tal proposito la pubblica amministrazione non può e non potrà sobbarcarsi questo compito da sola ma è necessaria una proficua collaborazione con tutte le forze sociali, il cosiddetto terzo settore ed il tessuto produttivo.

In questa ottica è fondamentale ripensare le politiche sociali ed in particolare è propedeutico cambiare prospettiva al fine di adottare un nuovo modus operandi, in queste circostanze non bisogna vedere lo stato sociale in un’ottica meramente redistributiva ma bisogna iniziare a concepire un nuovo welfare di comunità dove tutti sono chiamati a fare la propria parte, in altre parole bisogna dimenticare il ruolo paternalistico dello Stato come distributore di risorse, ma contestualmente è un imperativo morale ridurre le disuguaglianze a favore di uno welfare di comunità che sappia coinvolgere tutti gli attori: istituzioni, terzo settore e cittadini, così facendo lo stato sociale diverrà un vero proprio esempio di sinergia proficua tra tutti gli operatori coinvolti al fine di porre in essere una prospettiva di sviluppo futuro finalizzata alla creazione di un’economia più sociale ed altruistica con l’obiettivo di dare vita ad una società maggiormente altruistica inclusiva ove ogni cittadino possa essere nelle condizioni di esprimere appieno le proprie attitudini ed inclinazioni senza alcun motivo ostativo legato alle condizioni economiche e sociali, a tal proposito mi permetto di citare indegnamente una bellissima frase di Madre Teresa di Calcutta che, a mio modo di vedere, rappresenta fulgidamente il significato più profondo e autentico di quella che dovrebbe essere l’essenza dello stato sociale: “Non preoccuparti dei numeri. Aiuta una persona alla volta e inizia sempre con la persona più vicina a te.”

Christian Cabello