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Myanmar, un anno di terrore. Il calvario del popolo birmano in dittatura

In Myanmar “odio e ingiustizia lascino spazio alla riconciliazione”, ha invocato papa Francesco. La Santa Sede segue senza sosta la profonda crisi che, dopo il golpe militare, il Myanmar sta vivendo. E l’episcopato birmano si mobilita affinché il Paese asiatico riprenda il cammino verso la democrazia attraverso il dialogo e la comprensione reciproca. Ma la situazione nell’ex Birmania è tragica. E Il Pontefice si è appellato alla comunità internazionale. Perché si adoperi per fare in modo che “le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano più soffocate dalla violenza“. Alle autorità birmane Jorge Mario Bergoglio ha chiesto “il gesto concreto della liberazione dei diversi leader politici incarcerati”.

Sfollati ridotti alla fame

Le atrocità di un regime spietato impediscono al popolo di Myanmar di immaginare un futuro di pace. Secondo l’Unhcr, il 17 gennaio 2022 il numero ufficiale di sfollati all’interno del Myanmar ha raggiunto le 405.700 unità. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari stima che il numero di birmani a rischio povertà nel corso del 2022 salirà a 25 milioni. Di cui 14,4 milioni potrebbero aver bisogno di aiuti umanitari. Il 1° febbraio ricorre il primo anniversario del colpo di Stato in Myanmar. La risposta dei militari alle massicce manifestazioni contro il loro abuso di potere è stata spietata e brutale. La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) ha accolto l’appello lanciato il 14 gennaio dalla Conferenza episcopale cattolica del Myanmar. E,  in segno di comunione con la Chiesa locale, invita a una giornata di preghiera per il Paese asiatico il 1° febbraio.

Calvario in Myanmar

Tra le regioni più colpite da questo conflitto vi sono gli Stati di Chin, Kayah e Karen. Da metà dicembre, quando la fine della stagione delle piogge ha facilitato gli spostamenti, la repressione si è nuovamente intensificata. Soprattutto nel sud-est. Questi Stati comprendono una consistente popolazione cristiana. Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) riferisce che almeno 14 parrocchie nello Stato di Kayah sono state abbandonate. Molti sacerdoti e membri di ordini religiosi hanno accompagnato la loro gente. Rifugiandosi nella giungla o in villaggi remoti. Altri rimangono in centri quasi deserti. Nelle ultime settimane, uno dei principali obiettivi degli attacchi dell’ esercito è stato Loikaw. La capitale dello stato di Kayah. Tra le migliaia di profughi provenienti dalle aree circostanti vi sono anche 300 sfollati interni che si sono rifugiati nel complesso della cattedrale. La maggior parte di questi sono anziani, donne, disabili e bambini che non hanno un posto dove andare o mezzi per fuggire.

Uccisi, bruciati e mutilati

Il massacro di almeno 35 civili, uccisi, bruciati e mutilati a Natale nel villaggio di Mo So, nello Stato di Kayah, ha dimostrato ancora una volta il livello di atrocità raggiunto. Gli attacchi aerei nello Stato di Karen hanno inoltre costretto migliaia di persone a fuggire attraverso il confine con la Thailandia. Con l’intensificarsi dei combattimenti, la Chiesa si trova di fronte a un compito che le è tristemente familiare, a causa dei conflitti che hanno afflitto il Myanmar in passato. E cioè occuparsi del numero sempre crescente di sfollati interni. “Come sempre, tutte le vittime ricevono sostegno– spiega Acs- Indipendentemente dalla loro fede. In un anno di dittatura l’immagine simbolo di questa fase della storia del Myanmar, che ha fatto il giro del mondo, è la foto della suora saveriana, Ann Nu Twang. La religiosa, in ginocchio, implora le forze dell’ordine in tenuta antisommossa di non sparare. Una proposta di dialogo finora rimasta inascoltata.

In cerca della pace

I vescovi del Myanmar (individualmente, collettivamente o con rappresentanti di altre fedi) hanno più volte invocato la fine delle violenze. E il ritorno al dialogo. Alla loro voce si è unita quella del Papa che, nel messaggio natalizio Urbi et Orbi, ha pubblicamente pregato per il Myanmar. La fondazione pontificia Acs fa eco alla voce dei presuli. Coinvolgendo in una grande iniziativa di preghiera la propria comunità di benefattori-. Auspicando che il Paese asiatico possa quanto prima godere di una pace duratura. Dall’inizio della crisi la Chiesa del Myanmar continua a fare appelli per la fine delle violenze. Il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente dei vescovi birmani, descrive un Paese ridotto ad un campo di battaglia. E come primo rappresentante della Chiesa locale, ha proposto al governo militare e all’opposizione un programma di dialogo e riconciliazione. L’obiettivo è riprendere il difficile percorso verso la democratizzazione del Paese. Duramente interrotto dal golpe della giunta al potere da un anno.

Giacomo Galeazzi

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