Musacchio: “Collaboratori di giustizia, arma potente contro le mafie contemporanee”

L’intervista di Interris.it al giurista e criminologo forense Vincenzo Musacchio sulla seconda relazione semestrale del 2021 della Direzione investigativa antimafia

Il modello ispiratore delle diverse organizzazioni criminali, mafia siciliana, camorra campana, ‘ndrangheta calabrese, appare sempre meno legato alle manifestazioni di violenza, rivolgendosi piuttosto all’infiltrazione economico-finanziaria. E’ quanto emerge dall’analisi sui fenomeni delittuosi condotta dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) nel secondo semestre del 2021, sulla base delle evidenze investigative, giudiziarie e di prevenzione. “Ciò appare una conferma di quanto era stato già previsto nelle ultime Relazioni ed evidenzia la strategicità dell’aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale, arginando il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati per evitare l’inquinamento dei mercati e dell’ordine pubblico economico”, scrive la Dia nel suo rapporto.

Da trenta anni, la Direzione investigativa antimafia scatta una fotografia semestrale sull’assetto delle organizzazioni mafiose in tutte le sue sfaccettature. Un documento che descrive l’operatività dei gruppi mafiosi, “ne disegna le linee di tendenza e i profili evolutivi in tutti i contesti territoriali, restituendo un quadro attuale e soprattutto ‘predittivo’ indispensabile per orientare tutte le strutture del sistema antimafia del Paese”, continua la relazione.

L’intervista

Per approfondire i contenuti della Relazione semestrale della Dia II semestre 2021, Interris.it ha intervistato Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, saggista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (Riacs) di Newark, negli Stati Uniti. Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra, è oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato, ed è considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.

Com’è cambiato il modus operandi della criminalità organizzata?

“Il modus operandi è connesso esclusivamente alle metamorfosi del metodo mafioso, alle modalità d’infiltrazione nella politica, nella pubblica amministrazione, nell’economia, nella finanza e nella stessa società civile. La novità è evidenziata dal fatto che la criminalità organizzata si muove secondo le esigenze del momento storico in atto e del territorio nel quale intendono integrarsi. Non si tratta di un cambiamento, ma di un vero e proprio adattamento”.

In Sicilia, dopo la stagione delle stragi e la decapitazione dell’organizzazione degli anni seguenti – basti pensare agli arresti di Riina, Bagarella, Brusca, Provenzano –, come Cosa nostra ha modificato il suo approccio?

“Non ci sono grandi cambiamenti nel mondo della criminalità organizzata siciliana se non quello di aver abbandonato la strategia del terrore, feroce e violenta di Riina per quella silente e corruttiva di Messina Denaro”.

Che cosa sappiamo della “Stidda” organizzazione criminale dell’agrigentino, il cui nome è legato alla morte della giudice Rosario Livatino?

“L’organizzazione criminale stiddara è rimasta pressoché simile a quella degli anni Novanta. Il clan Dominante-Carbonaro è ancora il più potente. A Siracusa è presente il gruppo Santa Panagia, una frangia cittadina della ramificata compagine Nardo-Aparo-Trigila collegata alla famiglia Santapaola Ercolano di Cosa nostra catanese. Nel contesto urbano emerge anche il sodalizio dei Bottato-Attanasio, legato al clan Cappello di Catania”.

Qual è il principale ambito in cui opera la ‘ndrangheta, la criminalità organizzata calabrese?

“Il traffico internazionale di stupefacenti, tanto che in Italia è leader assoluta nel traffico di cocaina. Inoltre, si è notevolmente rafforzata la sua capacità di infiltrarsi nell’economia, nella finanza e nelle istituzioni pubbliche. Si adatta ai cambiamenti nazionali e internazionali”.

La ‘ndrangheta è ancora “impermeabile” al fenomeno del cosiddetto “pentitismo”, cioè la disponibilità a collaborare con l’autorità giudiziaria?

“Qualcosa si muove, il muro inscalfibile del vincolo associativo si è rotto. Ci sono oggi pentiti che parlano dei rapporti tra ‘ndrangheta e politica e si comincia anche a parlare anche dei rapporti tra l’organizzazione criminale calabrese e il mondo economico-finanziario. La ‘ndrangheta è oggi la terza organizzazione mafiosa come numero di collaboratori di giustizia, preceduta dalla Camorra e Cosa nstra e seguita dalla cosiddetta quarta mafia pugliese”.

In Campania, com’è diviso il “sistema” camorra e in quali attività criminali opera?

“La Camorra è cambiata molto rispetto al passato, si sono notevolmente ridimensionate le strategie del terrore e della violenza adottate in passato. Oggi la nuova Camorra s’infiltra nel sistema economico ed ha agganci politici notevoli. Permangono i regolamenti di conti tra i piccoli clan per il controllo delle attività illegali soprattutto delle piazze di spaccio di sostanze stupefacenti”.

Quando parliamo di camorra, c’è anche quella che finisce sui giornali in occasione delle “stese”. Quali sono le caratteristiche di questo fenomeno?

“Si tratta di spedizioni dimostrative a colpi d’arma da fuoco esplosi all’impazzata.  Non si tratta siamo di fronte ad azioni istantanee e non preparate, bensì sono delle condotte organizzate a tavolino, dove ogni clan mette a disposizione i propri uomini per dimostrare la nascita di una nuova alleanza. La camorra che conta davvero, ha ormai abbandonato la strada delle ‘stese’ e delle intimidazioni e ha completato un processo d’infiltrazione dell’economia pubblica e privata e nelle istituzioni”.

Oltre alla criminalità nigeriana, quali altre mafie non italiane operano sul nostro territorio e come si legano alle organizzazioni “autoctone”?

“Albanese, nigeriana, cinese, russa e sudamericana sono le mafie straniere più attive sul territorio italiano. La criminalità albanese è sempre più leader nel traffico e nella produzione di sostanze stupefacenti. Le gang cinesi sono più sfuggenti ma operano essenzialmente in campo economico con il lavoro nero, la prostituzione, la tratta degli esseri umani e la contraffazione di marchi. La mafia nigeriana opera sempre di più nel traffico di sostanze stupefacenti e nello sfruttamento della prostituzione. Vi sono affari criminali legati al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani e alla riduzione in schiavitù. La criminalità di origine sudamericana delle ‘gang’ cosiddette pandillas, opera soprattutto nelle aree metropolitane di Genova e Milano e in particolare per il traffico e lo spaccio di droga”.

Qual è la strategia che si sta rivelando più efficace per contrastare i sodalizi criminali?

“Sicuramente per permeare le moderne organizzazioni criminali, un ruolo determinate è svolto dai collaboratori di giustizia. Penso che il loro adeguato utilizzo sia un’arma molto potente contro le mafie contemporanee. Occorre ovviamente una serie d’interventi per rinforzare tutta la normativa antimafia, penso alle confische, al 41bis e al 416bis, e renderla più adeguata per colpire il fenomeno mafioso e le sue recenti metamorfosi”.

A livello internazionale, come si sta cercando di armonizzare gli strumenti nazionali di lotta alla criminalità organizzata?

“Si sta facendo pochissimo sia a livello nazionale sia sovranazionale.  Serve al più presto l’internazionalizzazione della legislazione e delle politiche antimafia. Sarà indispensabile creare anche un sistema di norme incriminatrici comuni e sanzioni omogenee. Sono convinto che le legislazioni dei singoli Stati membri in Unione europea possano trarre molti spunti dall’esperienza italiana”.

In conclusione, il nostro Paese ha registrato progressi e raggiunto risultati decisivi nella lotta alle mafie?

“In Italia abbiamo fatto molti progressi nella lotta alle mafie grazie alla genialità di uomini come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Penso soprattutto alla legislazione antimafia, frutto delle loro acutissime intuizioni. Da allora a oggi credo che l’antimafia, in primis quella delle istituzioni, sia ferma al palo. Occorre ripartire dal loro impegno e ritengo che bisogna lavorare ancora molto. Al momento mi sento di dire che nella lotta contro la criminalità organizzata stiamo perdendo ma non perché siamo meno forti ma perché non vogliamo utilizzare le nostre migliori risorse umane e legislative”.