Minori nei conflitti armati: una generazione a rischio

La mutazione della società portata dalla pandemia ha forse spinto ad abbassare la guardia su quelli che, già prima del Covid, erano contesti di grave crisi umanitaria. Qui, a rimetterci, sono spesso i bambini

Minori conflitti

E’ passato un anno da quando l’intero globo è stato catapultato in uno scenario degno dei migliori registi di Hollywood, anno che ha fatto capire quanto sia necessario riflettere, autocriticare e rinnovare ogni singola declinazione delle nostre società. Nelson Mandela disse che “non ci può essere rivelazione più profonda dell’anima di una società che nel modo in cui tratta i suoi figli”.

E’ uno studio che non può e non deve tralasciare uno tra i gruppi socialmente più vulnerabili, i bambini, con un’attenzione particolare a coloro che vivono in contesti di conflitti armati. Dalla violenza fisica a quella psicologica, dalle migrazioni ai rapimenti, sono bambini vittime del comportamento disumano di singoli o gruppi che, direttamente o indirettamente, ledono alla loro sicurezza.

Secondo l’art. 38 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, “Gli Stati parti adottano ogni misura possibile a livello pratico per vigilare che le persone che non hanno raggiunto l’età di quindici anni non partecipino direttamente alle ostilità.” L’impegno della comunità internazionale è stato segnato dalla Risoluzione n. 1612 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che ha dato vita al Protocollo Concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e al relativo Meccanismo di Monitoraggio.

Inoltre, nel 2017 l’Onu ha identificato e condannato 6 gravi violazioni nei confronti della categoria: uccisione e mutilazione; reclutamento e uso dei bambini da parte di forze o gruppi armati; attacchi a scuole ed ospedali; stupro o altre violenze sessuali; rapimento; negazione dell’accesso agli aiuti umanitari.

“Tuttavia”- ha affermato la Vice Ministra italiana agli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, Marina Sereni, durante l’ultima edizione dei MED Dialogues – “firmare e ratificare gli strumenti internazionali non è abbastanza. Servono azioni tangibili.”

I numeri

L’ultimo Rapporto annuale del Segretario Generale dell’ONU su minori e conflitti armati copre il periodo che va da Luglio 2019 ad Agosto 2020. Esso evidenzia 25.000 violazioni contro i bambini, tra cui: 4.400 negazioni all’accesso di aiuti umanitari, 927 attacchi a scuole ed ospedali, 735 casi di violenza sessuale. Durante l’ultimo decennio, più di 90.000 minori sono morti in zone di guerriglia, con un’incidenza di circa 25 bambini al giorno. E tuttavia, anche coloro che hanno la grazia di sopravvivere, sono condannati a delle gravi conseguenze socio-psicologiche. Stiamo perdendo un’intera generazione.

Effetto pandemia

La pandemia da Covid-19 ha accelerato il declino delle categorie a rischio. Essa ha esposto bambini a nuove forme di violenza e abuso, amplificando la loro vulnerabilità. “L’impatto socio-economico dei lockdown ha generato povertà, che a sua volta ha dato impulso ai matrimoni forzati di centinaia di bambine e al reclutamento di minori nei gruppi di guerriglia”, ha evidenziato Virginia Gamba, Rappresentante speciale del Segretario Generale dell’Onu per l’infanzia e i conflitti armati. Inoltre, le chiusure forzate hanno avuto delle conseguenze negative sull’accesso ai servizi, tra cui quelli sanitari, educativi e di reintegrazione. I gruppi armati utilizzano le strutture vuote, trasformandole in campi di addestramento, e bombardano gli ospedali. Si aspetta che la situazione peggiori non appena anche in quelle zone verranno distribuiti i vaccini.

Violenza sessuale

Dati allarmanti anche per quando concerne le violenze sessuali. La pratica delle spose bambine è sempre più diffusa ed accresce le violenze sessuali perpetrate nei loro confronti nelle mura domestiche. I matrimoni rappresentano una fuga dalla povertà, ma soprattutto sono una trappola che porta via da loro quel briciolo di innocenza infantile rimasto. Un’attenzione particolare è rivolta a Yemen e Afghanistan, dove vengono registrati molti casi di “Bacha bazi”. Si tratta di una pratica di schiavitù sessuale e prostituzione minorile nella quale uomini adulti abusano di bambini maschi; questi ultimi vengono obbligati ad intrattenerli e a ballare, molto spesso vestiti da donne, e poi esposti a violenze sessuali.

Da monitorare

Sempre durante i MED Dialogues, Virginia Gamba ha espresso particolare apprensione verso due situazioni particolari, l’accesso limitato agli aiuti umanitari e ai bambini profughi. Questi ultimi, quando viaggiano non accompagnati, diventano bersagli e vittime di gravi violenze, tra cui reclutamento, stupri e traffico d’organi. E’ un fenomeno che riguarda in particolare modo Libia, Libano, Siria e Palestina.

Prospettive future

Per fare la differenza, è necessario dare priorità al raggiungimento di soluzioni regionali. Tali soluzioni devono includere l’educazione quale strumento pacifico nella lotta ai conflitti armati. 106 nazioni hanno firmato la Safe School Declaration, per proteggere le scuole dagli attacchi. Inoltre, 38 Università si sono unite per lavorare insieme al raggiungimento degli obbiettivi dell’Agenda Onu 2030, dando vita al primo International Universities Network for Children in Armed Conflicts (UNETCHAC).

La pandemia ha chiarito quanto interdipendente sia il benessere degli individui: condividiamo tutti lo stesso destino. Ecco perché è un imperativo morale, oltre che un dovere, fornire le vaccinazioni a tutto il mondo. E ancora, una volta che essa sarà finita, non sarà possibile ritornare alla tanto sperata e attesa “normalità”. Al contrario, bisogna ripartire proprio mettendola in discussione, così da crearne una nuova in cui non è concepibile che ci sia almeno una scuola nel mondo che non sia un luogo sicuro, in cui ogni bambino possa vivere la propria innocenza senza conoscere la paura. Non esiste progresso per la società, fintano che esisteranno queste violenze e disuguaglianze.

Maria Pia Cordi
Tirocinante Volunteer in the World