Lina Prosa, Pagina zero e le ingiustizie di un mondo liquido

La regista teatrale e drammaturga siciliana racconta a Interris.it il filo rosso che lega i cinque racconti di "Pagina Zero" (Editoria&Spettacolo): uno spaccato della contemporaneità, dal dramma delle migrazioni a quello di una famiglia sospesa fra dolore e attesa della verità

Troppo facile iniziare a leggere da pagina uno. Da lì inizia la narrazione vera e propria, il capo del gomitolo che è la storia raccontata. Ma “è a pagina zero che troverai quello che non c’è a pagina uno“. Perché “c’è sempre un’anteprima, un tempo antecedente alla scrittura che occupa più spazio e più tempo di quello che ti è consentito vedere nell’agglomerato di parole”. Così, anche il momento dell’elaborazione del pensiero diviene uno spazio da condividere, un tempo su cui riflettere, una traccia da svolgere. E Pagina Zero (Editoria&Spettacolo) è anche il titolo del nuovo libro della regista teatrale e drammaturga Lina Prosa, che affida a una lettura della contemporaneità la forza investigatrice del teatro. Cinque racconti, “da Ulisse a Regeni”, creando spazi sospesi e spaccati di vita, intrecciati alle incertezze e alle ingiustizie della nostra epoca. Un mondo che si scioglie, che brucia e che cela i drammi di un tempo che troppe volte contraddice se stesso.

 

Lina Prosa, cos’è la “pagina zero”?
“Pagina Zero è una pagina che accompagna tutti i testi tranne l’ultimo. Esprime l’emozione, l’immaginazione mia personale, ancora prima della scrittura. E’ una sorta di luogo dell’anima, dell’autore, ancora prima che cominci la pagina uno. Da lì nascono personaggi, spazi, tempi che hanno un loro sviluppo. La pagina zero, invece, è un luogo in cui tutto questo è avvenuto. E a me piace dirlo attraverso la pagina zero, quello che viene prima della scrittura. Bisogna fare una sorta di salto per scoprire poi realmente gli avvenimenti. Si tratta di una raccolta di cinque testi che hanno un tema in comune, quello dell’attesa della verità, del cambiamento epocale dell’umanità, la perdita dei valori mitici e tante altre cose”.

Il primo racconto tocca un tema drammatico e di importanza cruciale per il nostro tempo…
“Il primo testo, ‘Ritratto di naufrago numero zero’, riprende il tema della migrazione ma in maniera diversa. Ho scritto la Trilogia del naufragio, è da molti anni che seguo drammaturgicamente questo dramma umano, e questo testo è un po’ un’appendice alla Trilogia. Il tema è nell’intimo di una donna occidentale vittima di un tradimento. Il suo amante ha venduto la barca dove loro si incontravano. Desirée, così si chiama, torna a rivedere i luoghi di questa passione ma non vede che un migrante morto proprio in quella barca che era stata luogo del suo amore. La ricerca della verità, della certezza, il bisogno di sapere che non sia stato questo a determinare il naufragio, è una ricerca nel buio del nostro tempo. In questo testo ho voluto rimarcare come la vita di ognuno di noi sia legata a quelle degli altri. Non siamo esclusi o separati dalle vite altrui ma, all’improvviso, quelle più sconosciute possono intrecciarsi con la nostra. La ricerca della verità assume i tratti di un viaggio al centro del Mediterraneo, una scommessa verso l’ignoto”.

Utilizzare lo strumento narrativo per attraversare la contemporaneità e i suoi aspetti critici ma incastonando nella narrazione personaggi e riferimenti che appaiono in questo modo più vicini a noi: questo è un po’ il filo rosso che lega i diversi racconti?
“Quello che emerge in questa raccolta è un po’ il senso della mia scrittura. In questi cinque testi c’è una visione più concreta di quello che in questi anni ho voluto creare. Un’avventura dentro questo mondo contemporaneo, dove le ingiustizie, le incognite e le incertezze sono anche le mie. E di cui un drammaturgo è responsabile. Credo molto nel valore politico del teatro e io, che lavoro con le parole, ne fornisco alcune che non sono più quelle della quotidianità e che vogliono andare lontano, è chiaro che assumono una responsabilità che ha valore politico, nel senso greco del termine. Sappiamo tutti che la foresta amazzonica è in pericolo, così come lo sfruttamento dei poteri occidentali stia per annientare le tribù che la abitano da millenni. Lo sappiamo ma la parola drammaturgica può attraversare questo problema in maniera diversa: attraverso la poesia, la trasformazione e arrivare più lontano della semplice cronaca. Io conservo bei rapporti umani con il Brasile e sono toccata da queste problematiche… Da un lato c’è lo sfruttamento della gomma in Amazzoni e dall’altro un mito della velocità, come Ayrton Senna, ancora molto amato (ad esempio mi ha dato sempre molta emozione sapere che l’autostrada che collega San Paolo con l’aeroporto sia dedicata a lui). Sfruttamento, povertà, mancanza di diritti da un lato e questo grande mito della velocità dall’altro, diventano una contraddizione che ci riguarda, che abbiamo dentro. La storia di questa famiglia poverissima, che narro nel racconto, crede di riscattarsi lavorando nella foresta amazzonica ma diventa rappresentativa di un problema legato alla globalizzazione che nasconde la mancanza di profusione tra ricchezza e povertà in questo mondo. E questo mi tocca tantissimo, come persona e come drammaturga”.

Trasferire questi contenuti così complessi sul palco è un lavoro che viene aiutato dalla scrittura ma il rappresentarlo diventa un’esperienza emotiva per chi recita e anche per chi guarda…
“Il teatro ha valore politico. Lo dico perché credo che il teatro non può non dare ascolto all’umanità. Oggi il teatro deve sapere ascoltare ciò che sta all’esterno di un palcoscenico, perché il mondo è tutto al di fuori. Abbiamo l’obbligo morale di tenere l’orecchio direzionato verso l’esterno per percepire, capire e anche per trasformare. E’ un’esperienza non più legata al pubblico di ‘quel’ teatro: diventa un’esperienza del mondo. Questa è la cosa l’importante. Il teatro deve parlare di esperienze universali per poter arrivare a tutti. L’importante è che lo spettatore possa entrare dentro un’esperienza collettiva e totale, che non è di classe sociale ma che tocca la mente, l’anima. E quando questo avviene, lo fa in maniera critica. Il teatro serve a recepire emotivamente ciò che accade intorno a noi e recepirlo in funzione critica. Se io non sopporto che nel mondo ci sia uno squilibrio tale fra accumulo di ricchezza da un lato e povertà dall’altro, devo farne critica e denuncia, non un fatto pietistico. Affinché anche altri possano entrare in questa dimensione. E’ l’utopia del teatro e dell’umanità, che si affida al teatro per andare oltre gli ostacoli del presente”.

Dalla foresta pluviale al gelo artico, sempre più labile. In uno scenario mutevole, al centro di una contesa geopolitica che rischia di portarne via l’essenza profonda, inserisce un personaggio come Ulisse…
“Sappiamo che l’Artico è in fase di scioglimento e che si stanno creando, in quei territori, dei rapporti politici ed economici legati a nuove vie di comunicazione e di commercio. Ci azzuffiamo per un problema come l’emigrazione nel Mediterraneo ma non ci accorgiamo che nel mare Artico si stanno giocando le grandi sfide per il prossimo futuro. I grandi giochi si stanno facendo altrove. Io ho immaginato come il Mediterraneo perda la sua forza mitica e civile, che ha accompagnato tanti popoli. E questo nuovo Ulisse, questo nuovo ‘signor nessuno’, cerca di tornare a casa sua in un mondo liquido, che non permette più di ritrovare la propria Itaca. Perché l’Itaca che se si scioglie non tornerà più quella di prima. Questo è un mondo che scompare davvero, non è il Mediterraneo, fatto di incontro e creazione. Quel mondo lì andrà via. E nello scioglimento dei ghiacciai si perdono tracce di civiltà antiche. La deriva è totale, da un punto di vista antropologico, faunistico e climatico”.

In “Gorki del Friuli” arriva un riferimento importante alla vicenda Regeni, che si lega a filo doppio con la rivendicazione della centralità dei diritti umani. Scandagliando però anche un dramma familiare…
“E’ un testo a cui tengo tantissimo perché legato ai diritti umani e all’attesa della verità. Sappiamo cosa stia accadendo ma come la verità stessa stenti ad arrivare. Da un lato si cerca il diritto ma dall’altra si fomentano interessi economici e militari che contrastano alla ricerca della verità. Mi riferisco alla vendita di navi militari italiane mentre la verità ancora non è emersa. Tengo a questo testo perché siamo ancora in una sorta di attesa di cui l’unica espressione completa è il dolore dei genitori, che diventano veicolo delle nostre preoccupazioni e del nostro desiderio di giustizia”.