Lavoro e dignità, un binomio imprescindibile

Secondo recenti dati pubblicati molte persone, seppur lavorando, hanno difficoltà a guadagnare in maniera sufficiente, questo è il fenomeno del lavoro povero

In base ai dati pubblicati nei giorni scorsi in seguito alla Relazione del Gruppo di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia istituito presso il Ministero del Lavoro, la situazione dei lavoratori nel nostro Paese è molto difficile.

Cos’è il lavoro povero

Il termine lavoro povero indica una persona che, pur avendo un impiego, ha difficoltà a guadagnare in maniera sufficiente per vivere e rimane sotto la soglia di povertà prevista attorno ai dodicimila euro l’anno. Nel dettaglio, in Italia, i numeri di questi lavoratori ammontano al 12% tra i lavoratori dipendenti e al 17% tra i lavoratori autonomi, per poi salire al 22% tra chi ha un impiego part-time. Tra i paesi europei, per quanto riguarda questo fenomeno, il nostro paese è in quarta posizione dopo Romania, Spagna e Lussemburgo. Interris.it ha intervistato su questo tema il Segretario Confederale della Cisl Angelo Colombini.

L’intervista

Come nasce il fenomeno del lavoro povero e quali sono le cause dello stesso in Italia?

“Il lavoro povero nasce dal non rispetto o da un uso distorto dei CCNL, dalle non scelte di politica industriale degli ultimi decenni che hanno fatto sì che in Italia si abbassasse il livello di qualifiche professionali richieste, dall’assenza di coordinamento fra politiche formative e industriali che ha impedito di far crescere  le professionalità che il mercato del lavoro ricerca e dal rallentamento delle dinamiche salariali, dai contratti pirata cioè quelli siglati da sedicenti confederazioni nazionali di datori di lavoro e di lavoratori, dall’uso scorretto di istituti come il part time, dalla piaga del lavoro nero e l’abuso dei contratti a termine, con periodi anche di pochi giorni. C’è una evidente questione di cultura imprenditoriale italiana, dove viene spesso presentata come necessità la tendenza a non valorizzare adeguatamente le risorse umane e la professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori, con la perdita di competitività delle imprese, fortemente destrutturate, e del sistema economico nel suo complesso”.

L’applicazione del salario minimo potrebbe arginare questo fenomeno?

“Ritenere che l’applicazione del salario minimo consenta di superare questi problemi probabilmente è illusorio, in quanto non andrebbe a superare le illegalità o le evidenti distorsioni, ma rischierebbe, dato il contesto culturale italiano, di dare una copertura proprio a queste illegalità. Lavoro povero e salario minimo hanno ragioni e finalità diverse e l’uno non può essere la soluzione dell’altro. Basti pensare che Il primo ha bisogno di un rafforzamento del sistema contrattuale mentre il salario minimo rischia di indebolire la copertura contrattuale, che in Italia è comunque tra le più alte d’Europa cioè al 90%, e della rappresentanza sindacale sia dei lavoratori che delle imprese, innescando meccanismi di disgregazione del sistema e diminuzione della copertura contrattuale”.

Quanto è stato proposto come salario minimo?

“In Italia, il costo orario del salario minimo è spesso inteso un lordo tout court, che poi nella realtà si trasforma in un netto molto inferiore e che copre una bassa percentuale del salario contrattuale vero e proprio. La proposta che si è fatta nel nostro paese, di una cifra di nove euro, dovrebbe stare intorno al 70% del salario medio contrattuale italiano e non coprirebbe assolutamente le voci collaterali, che rappresentano importanti conquiste sindacali. Vi è una questione importante che spesso il dibattito non approfondisce adeguatamente. Il costo contrattuale previsto dai CCNL, siglati da Cisl, Cgil e Uil, contiene anche i costi della quattordicesima del welfare integrativo, della previdenza integrativa, dei fondi interprofessionali per la formazione, senza dimenticare quelli di Istituti di legge come la tredicesima ed il TFR”.

Quali sono le peculiarità del contesto economico, sociale e culturale italiano che rendono difficoltosa l’applicazione del salario minimo?

“La percentuale di lavoro nero, soprattutto nelle microimprese e in quelle destrutturate in termini organizzativi e di professionalità, è una patologia che non si è mai riusciti a curare, anche perché in Italia avere dei lavoratori in nero non è reato, ma si è puniti con una piccola ammenda pecuniaria oltre ovviamente alla revisione dei contributi previdenziali evasi”.

Quali auspici per il futuro si pone la Cisl, rispetto alla proposta di direttiva europea e al fine di superare il lavoro povero e contestualmente aumentare i salari dei lavoratori?

“Nel dicembre scorso dal Parlamento europeo è arrivato il primo via libero alla proposta di direttiva sul salario minimo. Non potendo fissarlo in modo uniforme, la direttiva si muove su due direzioni: da un lato con un salario minimo legale e dall’altro con la contrattazione collettiva portandola almeno all’80% dei lavoratori. Per la Cisl questa direttiva è un passo importante perché contrasta il dumping salariale in Europa, è positiva perché interviene in modo diverso secondo le condizioni esistenti negli Stati Europei valorizzando la contrattazione come soluzione per la crescita salariale, dei diritti e delle tutele dei lavoratori e perché valorizza il lavoro fatto dai sindacati dei Paesi con relazioni industriali più avanzate, come l’Italia, ponendo una soglia di copertura della contrattazione dell’80% dei lavoratori, oltre la quale si escludono obblighi di ulteriori interventi di qualsiasi natura. Ad avviso della Cisl come più volte evidenziato anche a livello europeo, il salario minimo non è un istituto che si addice al nostro mercato del lavoro. È necessario invece perseguire un costante rafforzamento del sistema contrattuale e di relazioni industriali che consenta di ampliare la copertura contrattuale e sostenere un aumento dei salari medi netti, che sono oltremodo bassi rispetto alla media europea. È questa probabilmente la strada regina per superare le cause del lavoro povero che rischia di essere un grande problema per il sistema economico italiano ed una delle cause che vedono i lavoratori qualificati, specialmente quelli più giovani, preferire in molti casi anche l’emigrazione”.