Disabilità e inserimento lavorativo: l’inclusione a tavola

Il rapporto tra le persone con disabilità e il lavoro resta ancora una dimensione critica nel nostro Paese. Ecco un esperimento aziendale per andare oltre le barriere e i pregiudizi

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L’inclusione sociale delle persone con disabilità è agevolata dall’inserimento lavorativo. Lo dimostra il dossier sul tema dell’Ufficio Studi e dell‘Osservatorio Statistico della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Il rapporto tra le persone con disabilità e il lavoro resta ancora una dimensione critica nel nostro Paese. Lo ha confermato anche l’Istat. Il campione di riferimento è composto da 100 persone di 15-64 anni. Pur avendo limitazioni funzionali nelle funzioni motorie, sensoriali essenziali nella vita quotidiana oppure disturbi intellettivi o del comportamento sono comunque abili al lavoro. Eppure solo il 35,8% è occupato (contro il 57,8% delle persone senza limitazioni). Il 20,7% è in cerca di un’occupazione. Mentre il 43,5%, presumibilmente scoraggiato dalle basse chance di trovare un lavoro, risulta inattivo. Tra le persone senza limitazioni la percentuale è del 27,5%.

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Opportunità lavorative per disabili

Inclusione a lavoro

La metà (49,9%) degli occupati con disabilità in strutture pubbliche sono donne. Tra le
aziende private la quota femminile è invece del 38,5%. Anche da un punto di vista
generazionale si registrano differenze significative tra i due modelli. Chi lavora nel pubblico ha un’età mediamente più elevata che nel privato. Il 23,5% degli occupati ha più di 60 anni (nel privato sono l’11,3%). E il 46,5% tra i 50 e 59 (nel privato sono il 37%). Complessivamente il 70% delle persone con disabilità che lavora nel pubblico impiego ha più di 50 anni. Mentre “solo” l’8% ne ha meno di 40. Non si riscontrano invece differenze significative con riferimento ai livelli di disabilità. Anche la selezione delle figure da collocare segue percorsi distinti nel pubblico. Complice una maggiore “anzianità” lavorativa. E la vigenza di meccanismi selettivi differenti. Ben il 56% degli occupati, infatti, è stato collocato con chiamata numerica, seguendo la graduatoria delle liste di collocamento. E solo il 44% con chiamata nominativa. Nel privato il rapporto è del tutto ribaltato. Qui l’88,2% delle persone con disabilità è stato individuato secondo quest’ultima modalità.

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Donne e disabilità sul lavoro: un’immagine dal sito AISM

Convenzioni

Anche il ricorso alle convenzioni nelle assunzioni risulta più diffuso nel privato (35,5%), sebbene anche nel pubblico 2 occupati su 10 siano stati avviati al lavoro tramite accordi territoriali. A determinare importanti differenze nell’articolazione dei profili
professionali sono le caratteristiche del contesto di lavoro (terziario e non industriale). Ma anche la maggiore “anzianità” lavorativa. L’occupazione delle persone con disabilità nel pubblico impiego vede una maggiore presenza di profili ad alta qualificazione. Con il 10,8% di dirigenti e professionisti (nel privato sono il 3,6%). E il 17,4% di figure tecniche (contro il 13,5% del privato). Ma il cuore occupazionale resta concentrato nell’ambito delle professioni esecutive nel lavoro d’ufficio. Esse occupano nel pubblico il 46,6% delle persone e nel privato il 32,8%. Un esempio virtuoso è rappresentato dai sette ragazzi con sindrome di Down a Bergamo sono entrati fa parte dello staff di Pit’sa. Una nuova impresa che ha visto nascere una pizzeria basata su inclusività e sostenibilità. Ragazzi e ragazze servono pizze. Realizzate con materie prime sostenibili e di origine vegetale. Ottenute da agricoltura genuina e non da allevamenti intensivi. Senza sfruttare gli animali.

Entusiasmo

L’idea di Pit’sa è stata supportata da CoorDown che con il programma Hiring Chain. E la piattaforma online www.hiringchain.org ha già creato l’opportunità di numerose assunzioni e tirocini. Per giovani e adulti con sindrome di Down in Italia e nel mondo. La campagna globale “The Hiring Chain” è stata lanciata da CoorDown per la Giornata mondiale sulla sindrome di Down. E continua il suo circuito virtuoso della catena delle assunzioni generando nuove opportunità di impiego. Gli inserimenti nella nuova pizzeria bergamasca sono stati seguiti dall’associazione AIPD di Bergamo. Gli adulti coinvolti sono sette. E lavorano in retrobanco e in sala. Per accoglienza e servizio al tavolo. Con l’obiettivo di introdurli al mondo del lavoro. L’entusiasmo delle persone coinvolte rappresenta appieno lo spirito inclusivo del progetto. Uno di loro, Paolo, ne parla così: “Vengo a lavoro da solo con il pullman e sono autonomo. Mi cambio e mi piace servire in sala e ai tavoli dei clienti. Devo impegnarmi sempre di più. Questo lavoro cambia la mia vita. Perché mi serve per crescere e conoscere le persone. Il mio capo mi dà una mano quando ho bisogno”.inclusione

Valorizzare l’inclusione

Giovanni Nicolussi, founder Pit’sa spiega: “La nostra è una squadra dichiaratamente inclusiva che vuole valorizzare le diversità. Intendiamo rappresentare un’opportunità per il futuro delle persone con sindrome di down e per le loro famiglie. Dimostrando che anche così è possibile fare imprenditoria nel mondo della ristorazione. La nostra è una pizzeria, ma anche una piccola rivoluzione. Si tratta di una storia un po’ fuori dalle righe. Fatta di impasti leggerissimi. Ingredienti genuini. Condimenti creativi. E un servizio insolito”.