Il Covid-19 nel carrello

Da nord a Sud, viaggio nei supermercati d'Italia. Alberto racconta il suo lavoro tra servizio e paura 

Distanziamento sociale. E’ l’espressione che più sentiremo ripetere in queste settimane di isolamento per contrastare la diffusione del coronavirus. Tutte le decisioni di queste ore ruotano attorno all’obiettivo di evitare assembramenti, contatti anche solo tra due persone: bisogna restare a casa. Pochissime le eccezioni consentite, tra queste c’è sicuramente la possibilità di andare a fare la spesa alimentare con la conseguenza che i supermercati, sono di fatto, uno dei luoghi più esposti. Da nord a sud, qual è la loro condizione, chi va a comprare è al sicuro e chi ci lavora è sufficientemente tutelato?
Per scoprirlo interris.it ha parlato direttamente con chi, tutti i giorni, lavora nella grande distribuzione: Alberto, 28 anni, impiegato di un supermercato della provincia di Roma. La sua storia è emblematica e ci permette di raccontare quello che accade tendenzialmente in tutto il Paese: la prima cosa che racconta infatti è lo stupore per “gli anziani che spesso non portano la mascherina, anche essendo i soggetti più a rischio”.

Il supermercato e il rischio di diventare luogo di ritrovo

Poi ci sono gli affollamenti all’ingresso: a Macerata, nei giorni scorsi, molti operatori hanno denunciato una vera e propria “ressa” di persone non curanti delle disposizioni contenute nel Dpcm del governo italiano; Alberto, però, descrive una serie di misure di sicurezza che il suo supermarket, come tanti altri, ha deciso di adottare da subito: “facciamo entrare poche persone alla volta, nel numero massimo di venti, questo significa che il ventunesimo cliente non entrerà finché non ne è uscito almeno uno. Ma – continua – mi hanno anche raccontato che in altri punti vendita la dirigenza non era abbastanza accorta e prendeva tutto questo alla leggera, tanto che molti clienti entravano in massa nel supermercato”.

Che cosa si compra ai tempi del coronavirus?

“I clienti – come spiega Alberto – preferiscono comprare pasta, riso, acqua, scatolame, tutti quei prodotti che si mantengono di più. Anche se è inutile perché i supermercati rimangono comunque aperti. Il problema principale è il comportamento di alcuni che vengono senza mascherine, mentre altri addirittura tossiscono come se niente fosse”.

Le tensioni e le precauzioni

Una situazione complicata che si è registrata anche a Torino dove alcuni dipendenti hanno chiesto, forti dell’appoggio delle principali sigle sindacali, maggiori protezioni, minacciando uno sciopero. La richiesta dei lavoratori era rivolta a chiedere mascherine sanitarie. Non tutti purtroppo sono dotati dei mezzi necessari per cautelarsi dal contagio. Alberto racconta come nel suo supermercato “la dirigenza è in prima linea per assicurarsi che vi sia rispetto delle normative igieniche: ci forniscono le mascherine, ma io preferisco portarla da casa perché -continua – ho una ffpp3 che filtra i batteri al 98%”. La maggior parte delle mascherine fornite sono di scarsa qualità, “ci siamo trovati tutti in difficoltà perché improvvisamente si è registrata questa emergenza e le protezioni erano difficili da reperire”. A disposizione anche igienizzante per le mani e di guanti monouso per i clienti.

Una volta a casa, il timore del contagio

“Molti colleghi – racconta Alberto – hanno paura, soprattutto a causa del fatto che poi bisogna tornare a casa dai propri cari, dai propri figli… il timore è di contagiarli”. Alberto è padre di un bambino di appena qualche mese ed ha perciò deciso con la moglie di sterilizzare con frequenza la casa e di lavare spesso le mani al bambino. Ma la paura resta, resta in Alberto e sua moglie e in tutti coloro che lavorano in questo settore, che dopo quella degli operatori sanitari, è il più esposto.

La riduzione degli orari come precauzione 

Il governo ha disposto la riduzione dell’orario lavorativo: “prima quando l’emergenza ancora non era così chiara facevamo dei turni lunghi con alcune ore di straordinario, adesso però l’orario è cambiato per tutelarci: dal lunedì al sabato siamo aperti dalle 7 e 30 alle 19 mentre la domenica dalle 8 e 30 alle 15”. Alcune principali aziende della grande distribuzione del Mezzogiorno hanno deciso la chiusura domenicale dei propri punti vendita, al fine di tutelare i lavoratori impegnati quotidianamente nei supermercati, contribuendo alla riduzione dei contatti sociali. Pertanto, domenica 22 e 29 marzo, tutti i supermercati a gestione diretta delle rispettive reti resteranno chiusi. All’iniziativa hanno aderito: Apulia Distribuzione, Az Master Coop, Gda, Maiora S.r.l., Gruppo Megamark, Tatò Paride S.p.A.

Sullo sfondo arrivano però, per i supermercati più piccoli, le prime avvisaglie di una crisi molto seria: “alcuni magazzini già fanno fatica a rifornire i punti vendita, Noi – dice Alberto – siamo una società per azioni e quindi abbiamo le spalle larghe, ma alcuni supermarket di dimensioni minori avranno meno lavoro e potrebbero licenziare”.