Guerra civile, Covid-19 e sfruttamento ambientale: la delicata situazione della Sierra Leone

L'economia della Sierra Leone è duramente provata a causa delle misure di contenimento del contagio da Covid - 19, per questo il governo ha deciso di incentivare gli investimenti stranieri senza tutelare l'ambiente in maniera adeguata

La Repubblica della Sierra Leone è uno Stato ubicato nell’Africa Occidentale ed affacciato sulle coste dell’oceano Atlantico; la stessa ha una popolazione di oltre 7 milioni e 800 mila abitanti con capitale Freetown ed è una ex colonia inglese indipendente dal 1961.

Un passato funestato dalla guerra civile

Tanto premesso, negli ultimi anni, nonostante i numerosi strascichi della guerra civile che ha insanguinato il Paese dal 1991 al 2002 provocando la morte di 50 mila persone, l’economia dello stesso ha dato piccoli segni di crescita nonostante sia basata per oltre l’80% sulle esportazioni di minerali preziosi e per la restante parte su agricoltura e pesca di sussistenza.

Purtroppo, allo stato attuale, a causa dell’emergenza sanitaria da Covid – 19 e delle conseguenti misure di contenimento del contagio, vi è stata una grave crisi del settore minerario che ha causato una perdita di introiti pari a quasi il 90% su base annua rispetto allo stesso periodo del 2019, a titolo esemplificativo basti pensare che le entrate da questo settore nel 2020 sono state di 0,33 milioni di dollari rispetto ai 2,24 dell’anno precedente causando una stagnazione dell’intera economia del Paese.

Gli investimenti stranieri e la mancata tutela dell’ambiente

Questo periodo di crisi ha ulteriormente accresciuto gli investimenti economici cinesi in Sierra Leone, tanto che governo locale – sacrificando l’ambiente ed in particolare la riserva naturale denominata Western Area Peninsula National Park – ha deciso di stipulare un un’accordo di 55 milioni di dollari per consentire alla Cina di costruire un porto adibito alla pesca industriale nella spiaggia di Black Johnson che fiancheggia il sopracitato parco nazionale della dimensione di oltre 100 ettari con al suo interno svariate specie protette.

L’emergere di questa notizia ha messo in agitazione le comunità di pescatori autoctone che – è bene ricordare – pescano oltre il 70% del pesce destinato al consumo interno e, con questa concessione, verrebbero depauperate di risorse da una pesca intensiva ed interamente destinata ai mercati esteri; per questo motivo è stata promossa una petizione in rete dal titolo Save the Black Johnson Beach con un’appello rivolto al Presidente Maada Bio al fine di preservare questo territorio.

Un auspicio per un futuro più sostenibile

In ultima istanza, rispetto a quanto precedentemente detto, è fondamentale che qualsiasi investimento economico sia rispettoso della natura e delle popolazioni autoctone con l’obiettivo di dare vita ad una economia maggiormente sostenibile ed inclusiva in ossequio al fulgido pensiero esemplificato da Papa Francesco nell’enciclica Laudato Sì: “I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche. Costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”.