L’esempio di Don Luigi Monza che genera inclusione

Interris.it ha intervistato la Dott.ssa Luisa Minoli, presidente dell'Associazione La Nostra Famiglia che - da oltre mezzo secolo - si occupa di riabilitazione e cura delle persone con disabilità

Don Luigi Monza inaugura la sede di Varazze de La Nostra Famiglia nel 1952 (immagine tratta da www.lanostrafamiglia.it)

L’Associazione La Nostra Famiglia è stata fondata dal Beato Don Luigi Monza e si dedica alla cura e alla riabilitazione delle persone con disabilità, soprattutto in età evolutiva. Dispone di un’ampia rete di strutture di riabilitazione, in particolare è presente in sei Regioni italiane e collabora con l’Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale (OVCI) in cinque diversi Paesi del mondo. Si prende cura di bambini e ragazzi, sia con quadri patologici di estrema gravità – come, ad esempio, gli stati vegetativi e le pluriminorazioni -, sia con situazioni meno gravi, a rischio psicopatologico o di svantaggio sociale. Interris.it ha intervistato la Dott.ssa Luisa Minoli, Presidente dell’Ente.

Dott.ssa Luisa Minoli, Presidente de La Nostra Famiglia

L’intervista

Quando nasce e che obiettivi si pone “La Nostra Famiglia”?

“La Nostra Famiglia per l’attività che svolge in questo momento, ossia la cura dei bambini e dei ragazzi con disabilità, nasce nel 1946. In realtà “La Nostra Famiglia” è nata prima – nel 1937 – perché Don Luigi Monza, che è il fondatore dell’associazione e l’ispiratore della sua missione caritativa, traendo esempio dalla carità pratica dei primi cristiani, aveva dato vita a questo gruppo di persone che, attraverso la loro attività, dovevano riportare la società ai principi della carità pratica dei primi cristiani. Inizialmente si sono occupati di giornate di ritiro, organizzazione di corsi ed attività diverse. In seguito, è arrivata la guerra in cui si sono occupati degli sfollati e degli orfani di guerra che venivano riuniti in gruppi con un’attività di tipo educativo da ricollegarsi alla famosa “Prigione senza sbarre” di Don Andrea Ghetti. Nel 1946 avviene l’incontro con il Professor Vercelli, all’epoca direttore dell’Istituto Neurologico Besta, il quale propone a queste donne di occuparsi di bambini e ragazzi con disabilità, non per l’assistenza ma per la riabilitazione. Quindi, fin da subito, ossia a partire dal 28 maggio nella sede di Vedano Olona, l’attività che è stata posta in essere è stata di tipo riabilitativo, tant’è che accanto a queste donne che avevano dato la loro disponibilità frequentando specifici corsi di formazione, si affiancavano i medici dell’Istituto Besta per poter accogliere i bambini e i ragazzi con disabilità – prevalentemente di tipo intellettivo o relazionale – a cui, a partire dal 1952, si aggiungono ragazzi con disabilità motoria, in maggioranza affetti da Paralisi Celebrale Infantile. Questa attività ha una sua evoluzione per tutti gli anni ’60, ’70 e ’80 del secolo scorso e in particolare – nel 1985 – l’associazione decide di dare vita ad una nuova sezione, quella dell’IRCCS Eugenio Medea, ossia un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, proprio perché l’approccio scientifico alla riabilitazione l’ha sempre caratterizzata e ritiene a questo proposito importante affiancare l’attività di cura e riabilitazione anche le attività di diagnostica al fine di comprendere quali sono le ragioni delle diverse disabilità ed anche quali sono gli effetti dei trattamenti riabilitativi che vengono posti in essere. Accanto a tutto questo, fin da subito, si è sviluppata anche l’attività di formazione – non solo dei bambini e dei ragazzi con disabilità – quindi attraverso le scuole e i corsi di formazione professionale nello specifico ma anche una scuola che prepara coloro che si occuperanno della riabilitazione, quindi le scuole per terapisti, assistenti sociali ed educatori sanitari che abbiamo ancora adesso”.

S.E. Cardinal Carlo Maria Martini in visita al centro di Bosisio Parini nel 1980 (immagine tratta da www.lanostrafamiglia.it)

Quali sono i valori che, dalla vostra fondazione, si perpetuano e sono alla base della vostra azione quotidiana?

“Innanzitutto, la nostra associazione ha una spinta caritativa, nasce ed ha questo nome ossia “La Nostra Famiglia” perché – come dice Don Luigi Monza – tutti coloro che ne fanno parte siano famiglia in quanto, come tutti gli uomini formano un’unica famiglia, come ci ricorda Papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti. Questo ente vuole essere il segno di questa paternità e fraternità comune che si esplicita poi attraverso questa specifica attività. I valori che accompagnano la nostra attività sono diversi, il primo è sicuramente l’accoglienza ossia il far sentire a proprio agio chi entra nei servizi dell’associazione e chi opera al suo interno, la valorizzazione della vita perché – ogni vita – ha valore anche quando è segnata da qualche mancanza o da quelle che noi leggiamo come mancanze, ogni vita ha valore perché è oggetto dell’amore di Dio. Questo è ciò che vogliamo dire attraverso l’attività che svolgiamo: ogni vita non solo ha valore ma deve essere aiutata a sviluppare tutte le sue potenzialità, questa è la finalità dell’attività di riabilitazione che noi mettiamo in atto. Sicuramente vi è la competenza perché Don Luigi Monza era solito dire che il bene deve essere fatto bene, questo significa farlo professionalmente e scientificamente, da qui deriva la nascita dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Eugenio Medea. La solidarietà è fondamentale perché, in questo essere un’unica famiglia, si esprime appunto la solidarietà tra le persone e la corresponsabilità, ossia il sentirsi tutti parte di un grande progetto a favore dei bambini e dei ragazzi con disabilità e che rende ciascuno corresponsabile per la propria parte; quindi, – ognuno dei nostri operatori – si mette in gioco sulla sua professionalità ma anche sulla sua capacità di relazione con i bambini, i ragazzi e le loro famiglie. Vi è poi la sostenibilità, ossia erogare un servizio che sia sostenibile e quindi durare nel tempo. Tutto questo noi lo facciamo attraverso uno stile educativo che cerca di far emergere tutte le potenzialità di un bambino o di un ragazzo affinché si senta protagonista della propria vita e possa trovare davvero l’inclusione e l’integrazione che sono necessarie per sentirsi parte del nostro mondo”.

Quali auspici si pone per il futuro in materia di inclusione delle persone con disabilità?

“L’auspicio che mi pongo è che – sempre di più – questa parola assuma verità. L’inclusione non si attua semplicemente abbattendo le barriere architettoniche ma significa dare a ciascuno la possibilità di esprimersi ed essere quello che è. Non vuol dire semplicemente riservare dei posti di lavoro ma significa avere dei luoghi lavorativi in cui le persone con disabilità possano essere incluse ed integrate per quello che possono dare. Bisogna arrivare ad avere un progetto per ciascuna persona con l’obiettivo di mettere ognuno a proprio agio e faccia si che possa realizzare la propria vita. Questo per qualcuno significa la vita autonoma, per altri trovare forme di vita comunitaria o anche di vita sostenuta affinché ognuno possa esprimersi. La vera inclusione significa proprio che ognuno possa esprimere davvero sé stesso, non ci sono delle categorie precostituite ma ci sono delle facilitazioni, faccio questo esempio: sicuramente l’abbattimento delle barriere architettoniche favorisce le persone con disabilità motoria ma, per coloro che hanno una disabilità cognitiva e relazionale, la barriera architettonica non è un problema. Le barriere che vanno abbattute, l’autentica inclusione richiede che ciascuna barriera venga abbattuta e che ognuno possa trovare una modalità per esprimere al meglio tutte le sue potenzialità”.