Inverno demografico, così le aziende possono combatterlo

L’ultimo rapporto dell’Istat, attraverso i dati provvisori di gennaio-settembre 2021, sembra confermare anche quest’anno un ulteriore crollo della natalità in Italia, -12.500 nati a fronte del dato degli stessi mesi nel 2020, anno già terribile in cui anche per gli effetti dispiegati dalla pandemia, vi sono state 15.000 culle in meno rispetto al 2019. Nemmeno il fenomeno immigratorio è riuscito a cambiare il segno negativo: dal 2012 al 2020 ricorda l’Istat sono diminuiti i nati con almeno un genitore straniero, quasi 19.000 in meno.

Una emergenza non solo di carattere morale e sociale, ma anche economica e finanziaria che nessuno vuole vedere: sono poche le aziende in grado di progettare la propria crescita in una società in cui diminuiscono i consumi e mancano i giovani, da sempre elemento di innovazione e rigenerazione del tessuto imprenditoriale. Le stesse politiche pubbliche, a partire da quelle di welfare, appaiono sempre meno sostenibili dal punto di vista finanziario e viene da chiedersi chi ripagherà domani l’ulteriore debito generato dall’impiego dei fondi del PNRR.

Pochi purtroppo hanno compreso quanto di questa sfida si combatterà, anche sul piano culturale, a partire dai luoghi di lavoro: finché il settore privato, in particolare l’azienda, non si farà carico della vita familiare dei propri dipendenti attraverso forme di welfare efficaci e innovative che consentano alle donne ed agli uomini di non dover scegliere tra la maternità-paternità e il loro futuro professionale, le politiche familiari in Italia non sortiranno alcun effetto duraturo.

Si tratta, per le aziende, di guardare al medio-lungo periodo e investire sul loro stesso futuro, per non ritrovarsi, fra un decennio, in uno scenario di decrescita generalizzata, un mercato sfavorevole in cui sarà molto più difficile sopravvivere. Ma anche per lo Stato di riconoscere il loro sforzo.

Le innovazioni contrattuali, come il welfare aziendale, sono state d’altronde accelerate proprio dalla pandemia: l’auto o telefono aziendale sono stati sostituiti da nuovi benefit finalizzati alla tutela della salute e delle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia, secondo un concetto più esteso di sostenibilità, che vede l’ambiente come l’insieme di luoghi e persone che gravitano intorno all’azienda, dai dipendenti a tutti gli stakeholder, dal centro di produzione al tessuto sociale che lo circonda fisicamente.

La crisi del Welfare State, che riguarda tutto il mondo occidentale, ci chiama a ingegnarci oggi per costruire una Welfare community in cui la cura della persona e il sostegno alla famiglia non siano demandate solo al legislatore pubblico e all’apparato burocratico statale, ma anche e soprattutto al talento e alla creatività degli imprenditori e degli operatori del settore privato. Un nuovo modello che può trarre ispirazione dai principi della Dottrina sociale della Chiesa, a partire da quello di sussidiarietà, e vedere il nostro Paese, con la sua tradizione cattolica e umanistica, come laboratorio. Esso non riguarderà solo le grandi aziende, perché le imprese di minori e piccole dimensioni, ossatura dell’Italia, possono attivarsi attraverso reti d’impresa costituite per questo.

Le politiche pubbliche e il PNRR di tutto ciò parlano molto poco. L’Italia ha il dovere morale di ricordarlo in Europa e a livello globale: le nostre imprese si prendono cura del futuro non solo quando riducono le emissioni inquinanti, ma anche quando orientano e modificano i propri modelli organizzativi per consentire alla vita di continuare a nascere e all’economia di domani di prosperare. L’ecologia integrale è, innanzitutto, ecologia dell’umano.

L’autore è Presidente nazionale del Movimento Giovani UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti)