Economia carceraria, Falanga (Idee in fuga): “Dare a tutti un’opportunità”

Falegnameria, botteghe, apicoltura. Carmine Falanga della cooperativa “Idee in fuga” racconta a Interris.it le loro attività con i detenuti

La vetrina della bottega

L’economia carceraria come materia viva per costruire ponti tra “dentro” e “fuori”, superando oltre alle sbarre fisiche, metalliche, degli istituti di pena anche quelle dell’indifferenza e dello stigma della società nei confronti delle persone detenute o che hanno scontato una pena. Su 53.637 detenuti nelle carceri italiane, al 30 giugno 2021 quelli che lavorano sono 17.957, e di questi quasi il  12% non è alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Una realtà che da alcuni anni costruisce un collegamento tra interno ed esterno, facendo rete con i piccoli produttori del territorio – ma non solo –, con attività come una falegnameria sociale, le botteghe per la vendita e la coltivazione di un luppoleto, si chiama “Idee in fuga”, cooperativa sociale che collabora con l’istituto penitenziario “Cantiello e Gaeta” di Alessandria e che attualmente ha tra le sue fila undici detenuti assunti con regolare contratto. La prima ad aprire, nel 2015, un negozio sulle mura di un carcere – pur senza collegamento con l’interno della struttura – per vincere una sfida. “Portare le persone ad acquistare dove nessuno avrebbe pensato di venire”, spiega a Interris.it Carmine Falanga, volontario della cooperativa. “Abbiamo approccio autoironico, ci scherziamo anche sui claim pubblicitari perché sappiamo quello che le persone pensano”.

Dare un’opportunità

L’idea di aprire un negozio in una location così inedita è stata ispirata dal principio che “un’opportunità va data a tutti”, spiega Falanga. Da quel primo passo si è innescato un processo che ha portato a raccogliere varie produzioni di economia carceraria, riscuotendo l’interesse di altre realtà locali. Fino alla nascita, nel 2020 in piena pandemia, della cooperativa “Idee in fuga” per la gestione delle attività. “Ci sono due falegnamerie, una interna e una esterna” – per il progetto SocialWood, che si prefigge di dare una formazione ai detenuti per agevolare il loro reinserimento lavorativo –, illustra il volontario, “il luppoleto in carcere, le arnie per l’apicoltura, le botteghe”.

Il ponte tra “dentro” e “fuori”

“Come diciamo noi, ‘dentro siamo tutti bravi a lavorare’: la vera sfida da vincere è che l’‘esterno’ dia un lavoro”, sottolinea con serio spirito Falanga. Nel corso della loro esperienza, i volontari della cooperativa hanno visto quanta diffidenza ci sia nei confronti delle persone detenute o ex detenute, per via di uno stigma sociale non facile da sradicare. Ciononostante, sono stati in gradi di formare una rete con il territorio, costruendo un ponte tra i due mondi, quello dentro e quello fuori del carcere. “Inizialmente avevamo solo prodotti interni al penitenziario e vendevamo quelli, ora collaboriamo con tanti piccoli produttori”. Ciò che realizzano oggi Falanga lo definisce “non a chilometro zero, ma a chilometro Italia” perché quelli che utilizzano deve essere prodotti al “100% italiani” provenienti da piccole realtà territoriali del Paese, attente all’ambiente al sociale. “Ci rivolgiamo a chi impiega persone con disabilità o donne vittime di violenza di genere”. Non solo, infatti si utilizzani anche prodotti di altri istituti di pena. “In tutti c’è un elemento di economia carceraria, come il panettone fatto con i canditi del carcere di Siracusa”, precisa Falanga.

Una nuova vita al legno

La cooperativa piemontese non è però in rete solo con i piccoli produttori, ma anche con nomi più noti e blasonati. “Un produttore di mobili internazionale un mese fa ci ha contattato perché aveva molti mobili che non può più vendere per motivi burocratici, così li prendiamo noi”, racconta il volontario. “In falegnameria utilizziamo solo legno che sarebbe scartato e gli diamo nuova vita, realizzando scatole per il birrificio piemontese Baladin o ancora box per le bottiglie di vino e arredi per la conduttrice televisiva e imprenditrice Tessa Gelisio”. L’ultima iniziativa è il temporary shop all’outlet di Serravalle Scrivia, sempre nell’alessandrino. gestito un ragazzo della cooperativa e da una persona detenuta.

Al lavoro

“Nell’istituto penitenziario”, spiega ancora Falanga, “andiamo a dare una possibilità di lavoro a chi ha seguito corso di formazione interno, inoltre un’azienda agricola ci ha assegnato dei ragazzi per l’apicoltura e la coltivazione del luppoleto”. Ma, se “dentro siamo tutti bravi a lavorare”, riprendendo le sue stesse parole, come fanno “fuori”? “La possibilità è data a detenuti ex articolo 21 della legge sull’ordinamento penitenziario” – cioè che possono essere assegnati al lavoro all’esterno –  “che per esempio possono uscire per andare ad aprire il negozio dove gestiscono la cassa. Chi viene ad acquistare qui sa chi lo sta servendo e anche questo è un modo per abbattere lo stigma”.