Dott.sa Andò: “Ecco come i giovani dovrebbero ricercare la felicità”

L'intervista alla psicoterapeuta Alessandra Andò su come e dove i giovani ricercano la felicità e su cosa dovrebbero fare per raggiungere questo sentimento

Foto di Simon Maage su Unsplash

Quella che si celebra oggi è una giornata internazionale diversa dalle altre, non una ricorrenza legata ad avvenimenti storici del passato, non un anniversario, né una data che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo a delle malattie particolarmente gravi o aggressive. Oggi si celebra la giornata internazionale della felicità. Istituita nel 2013, ricorre ogni anno il 20 marzo. La data è stata stabilita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite attraverso la risoluzione 66/281 del 28 giugno 2012. La risoluzione è stata avviata dal Bhutan, un Paese che ha riconosciuto il valore della felicità nazionale rispetto a quello del reddito nazionale fin dai primi anni ’70. Il Bhutan infatti ha notoriamente adottato l’obiettivo della Felicità Nazionale Lorda sostituendolo al Prodotto Nazionale Lordo (PNL).

Lo scopo della giornata

Lo scopo della ricorrenza è quello di porre l’attenzione sulla rilevanza della felicità e del benessere come obiettivi e aspirazioni universali delle vite degli esseri umani di tutto il mondo e sull’importanza del loro riconoscimento negli obiettivi di politica pubblica. La Giornata riconosce anche la necessità di un approccio più inclusivo, equo e bilanciato alla crescita economica, volto a promuovere lo sviluppo sostenibile, l’eliminazione della povertà, la felicità e il benessere di tutti i popoli.

L’Italia è un Paese felice?

Dall’indagine realizzata dall’Osservatorio Sòno sulla felicità degli italiani è emerso che  1/7 degli italiani (14,4%) si dichiara profondamente infelice dando alle domande del questionario voti da 1 a 4 mentre il 26% si descrive come poco felice (voti 5-6). Per contro il 21,3% si colloca tra i moderatamente felici (voto 7) mentre la maggioranza relativa (37,6%) si definisce molto o totalmente felice. A conti fatti, pertanto, quasi il 59% degli italiani offre di sé un’immagine di discreta o grande felicità.

La situazione dei giovani

Ma i ragazzi e le ragazze italiani sono felice? Solo la giovane età non basta per raggiungere appieno questo sentimento. La carenza di aspettative, punti di riferimento e perdita di valori possono produrre contraccolpi sul benessere fisico e psicologico dei giovani. Interris.it ha approfondito l’argomento con la psicoterapeuta Alessandra Andò.

Dottoressa, come stanno psicologicamente i giovani italiani? Come ha influito il Covid sul loro benessere psicofisico?

“Siamo abituati a vedere foto sui social che mostrano volti sorridenti e allegri, ma poi, nella relatà incontriamo persone molto tristi, nervose, stressate. Non mi sembra che i giovani di oggi siano molto felici. L’esperienza del Covid e del lockdown è stata molto traumatica per la maggioranza, a causa dell’isolamento. I giovani si sono rifugiati nei social, ma questi ultimi in realtà stanno contribuendo notevolmente al loro isolamento: questo crea un danno alla nostra capacità di socializzare, riflettendosi in maniera negativa anche sulla nostra felicità. Dopo il Covid, sembra essere passato il messaggio che si può stare da soli, si è costruito un percorso molto individualistico. Fattore che sta creando molto disagio nelle relazioni”.

Perché i giovani credono che la felicità sia avere molti like sui social?

“Ci sono due fattori. Il primo è economico: alcuni giovani mi hanno informato che avere molti like sui social può diventare una fonte di guadagno, si parla anche di 2-3 mila euro al mese, senza considerare gli influencer famosi. Per cui tutti ci provano, ma non sarebbe neanche tanto sbagliato come meccanismo. L’atro aspetto è prettamente edonistico: io ho più like di un’altra persona, quindi valgo di più”.

E’ un aspetto che riguarda anche adulti?

“Molto di meno, perché gli adulti non sono cresciuti con i social. Riguarda principalmente i giovani sotto i 30 anni. Perché l’isolamento dovuto alle restrizioni per il contenimento della pandemia ha fatto più danni nei giovani rispetto a persone di 50 o 60 anni? Perché l’isolamento, a quell’età, è molto più tollerabile in quanto la struttura di personalità è già formata e sana. La fascia di età più colpita in assoluto è stata quella dei giovani delle superiori e poi gli universitari”.

Incontrarsi solo sui social o sulle piattaforme di giochi online, a quali problematiche può portare? 

“Ho riscontrato che i giovani di oggi si incontrano realmente molto meno di quanto faceva la mia generazione: noi non avevamo i social o i giochi online. Se ci volevamo vedere eravamo ‘costretti’ ad uscire. Oggigiorno, invece, i giovani a volte si accontentano di vedersi con videochiamate o di incontrarsi nelle piattaforme per giochi online. Questo contribuisce, come prima cosa, a un loro porogressivo isolamento; si va incontro a una perdita di valori e all’incapacità di comunicare: se ci incontriamo solo per giocare, quando troveremo il tempo di parlare, di affrontare argomenti seri?”.

Come si vedono i giovani in un prossimo futuro? 

“Quando facciamo terapia e chiedo loro quale lavoro vorrebbero fare, non sanno rispondere. Solo se vengono stimolati con altre domande, piano piano, riescono ad esprimere i loro desideri per il futuro, ma loro di base non hanno idea di quello che vorrebbero fare”.

Questo dipende dal fatto che non riescono a proiettarsi nel futuro?

“La nostra è una società molto basata sul presente, che ti dice che non c’è lavoro, dove i soldi li fai solo se sei un influencer. E’ una società che demotiva, quindi a cosa serve studiare o cercare un lavoro? I ragazzi di oggi hanno tutto e non sono proiettati ad impegnarsi perché desiderano raggiungere un qualcosa. Molti di loro non lavorano né studiano, stanno a casa con i genitori che li mantengono: hanno chi cucina per loro, chi lava, chi stira, chi fa la spesa, chi paga le bollette, i vestiti e ogni loro necessità. Questo non li stimola ad impegnarsi, ad avere ambizione, a diventare economicamente indipendente, sono molto apatici”.

A quali problemi può portare questo tipo di atteggiamento?

“Ad ansia, attacchi di panico, disturbi alimentari. Questo purtroppo è una realtà di cui i ragazzi non sono consapevoli. Quando facciamo terapia, li spingo ad andare a lavorare, sia per tutte le problematiche di cui abbiamo appena parlato, ma anche perché si devono mantenere attivi sia fisicamente sia mentalmente”.

Cosa consiglierebbe ai giovani, ma anche agli adulti, per essere davvero felici?

“La felicità non è una meta, ma uno stile di vita. Prima di tutto, bisogna stare bene e quindi risolvere tutte quei problemi che ci impediscono di essere felici. Inoltre, bisogna prendere consapevolezza che non sono le cose materiali a fare la nostra felicità. Abbiamo bisogno di essere amati e di amare, di costruire relazioni, trovare i valori veri della vita”.