La quarantena imposta dalla pandemia di Coronavirus che ha colpito improvvisamente l’Italia e il mondo ha creato non pochi problemi a quanti hanno dovuto improvvisamente interrompere il cammino terapeutico di guarigione da un errato rapporto col cibo, proprio perché costretti a dover restare chiusi in casa. Infatti, per chi soffre di Disturbi del Comportamento Alimentare (Dca) le mura domestiche si sono rivelate una “prigione” e la paura di ammalarsi di Covid-19 si è sommata alle fatiche oggettive di dover rimanere 24 ore su 24 insieme al proprio peggior nemico: il cibo. Lo testimoniano a In Terris le storie di due donne, Elisabetta e Lorena, alle quali il virus ha portato non solo dei lutti e dei problemi di salute, ma anche il rischio di una ricaduta nel loro lungo e difficile percorso di guarigione dalla Dca, una patologia troppo spesso sottovalutata e oggetto di numerosi pregiudizi.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), fra cui in particolare l’Anoressia Nervosa (AN), la Bulimia Nervosa (BN) e il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED), rappresentano una delle più frequenti cause di disagio e disabilità nella fascia giovanile nel mondo occidentale e sono stati inclusi dal Ministero della Salute fin dal 2013 fra le priorità nel campo della salute mentale. Tra le adolescenti e le donne adulte la prevalenza di anoressia nervosa, bulimia nervosa e altri disturbi del comportamento alimentare viene segnalata intorno allo 0.5-1% per l’anoressia e all’1-3% per la bulimia. Non sono poi da trascurare le forme sotto soglia, caratterizzate da una minore gravità del quadro, che però caratterizzano mediamente il 6-10% dei soggetti di genere femminile. I tassi di prevalenza sono significativamente superiori nella fascia di età 18-24 anni, ma sempre più spesso i problemi cominciano nella fase adolescenziale colpendo soprattutto le ragazze. Il rapporto maschi/femmine per l’anoressia nervosa è circa 1 a 10.
I DCA hanno sempre effetti devastanti sulla salute fisica e psichica degli adolescenti e degli adulti che ne sono coinvolti (con ripercussioni significative anche sulle relative famiglie) e, se non vengono trattati tempestivamente, possono cronicizzare. Lo spiega a In Terris il dott. Gianluca Castelnuovo, psicologo specialista in Psicoterapia e dottore di ricerca in Psicologia Clinica., nonché psicologo clinico e ricercatore senior presso l’Istituto Auxologico Italiano (IAI) un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico che opera in Lombardia e Piemonte con 13 strutture ospedaliere poliambulatoriali con finalità di ricerca scientifica e attività di cura dei pazienti. Il tasso di mortalità per l’anoressia nervosa – spiega il dott. Castelnuovo – supera il 10% collocandosi come la psicopatologia a tasso di mortalità più elevato e infatti i Dca rappresentano la seconda causa di morte nella popolazione femminile in adolescenza, dopo gli incidenti stradali. E’ comunque possibile guarire: le probabilità aumentano quanto prima si riesce a intervenire con programmi preventivi e riabilitativi di carattere multidisciplinare.
Come segnalato dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero della Salute, in particolare con l’iniziativa del Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’ISS attraverso il progetto MA.NU.AL “la MAppatura territoriale dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della NUtrizione e dell’ALimentazione in supporto alle Azioni Centrali del Ministero della Salute” (qui il .pdf) è importante non abbassare la guardia sui Dca anche durante la pandemia da COVID-19, per quattro motivi principali – prosegue il dott. Castelnuovo – indicati dall’ISS stesso.
Elisabetta e Lorena sono due amiche cinquantenni affette da Dca da molti anni. Entrambe hanno vissuto il lockdown chiuse in casa: un’esperienza particolarmente dura che hanno raccontato in esclusiva per i lettori di In Terris. Ora sono ricoverate presso l’Ospedale San Giuseppe a Piancavallo (in provincia di Verbania), una delle strutture dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano.
“Sto lavorando ancora sui miei problemi di Dca. E’ molto difficile uscirne ed eventi come il covid non aiutano affatto il percorso di guarigione dai Dca”. Esordisce così Elisabetta, 53 anni, dal 2012 con problemi all’alimentazione. “Tutto è iniziato con una depressione post partum – racconta Elisabetta a In Terris – dopo la nascita di mio figlio. Avevo 43 anni e dopo il parto a causa della depressione ho preso circa 50 chili. Non mi accettavo più e ho iniziato a digiunare, poi ad abbuffarmi e a digiunare ancora. Il problema dei Dca è fondamentalmente questo: tu mangi, poi ti vengono i sensi di colpa, allora digiuni; ma saltare i pasti ti porta ad avere una fame doppia il giorno dopo e riprendi a mangiare troppo. E’ un cane che si morde la coda. L’arrivo del Covid ha peggiorato tutto”. Ecco perché:
“Mi sono rivolta all’equipe medica guidata dal dott. Castelnuovo e ancora sto lottando. Ora – prosegue Elisabetta – il mio percorso sta andando bene: qui all’Ospedale San Giuseppe a Piancavallo siamo coccolate, seguite, guidate grazie a psicoterapeuti, dietologi, corsi, strategie. Come consiglio a chi si trova nella mia situazione – conclude Elisabetta – dico: lasciatevi aiutare, cercate un supporto psicologico specializzato in disturbi del comportamento alimentare, altrimenti sono anni (e soldi) buttati via“.
“Ringrazio In Terris che dà voce anche alle persone con obesità, un problema poco conosciuto; da obesa, assicuro che siamo vittime di tanti pregiudizi”. Esordisce così Lorena, 54 anni a dicembre, attualmente ricoverata anche lei nella struttura dell’Ospedale San Giuseppe a Piancavallo insieme alla sua amica Elisabetta. “Da bambina non ero obesa – racconta Lorena. Ho iniziato a prendere peso con l’arrivo della pubertà quando, senza rendermene conto, ho iniziato a ingrassare. Per dare un’idea, quando mi sposai, a 28 anni, ero già il doppio del mio peso forma. Sono stati anni molto difficili, segnati da lutti importanti: la perdita precoce di mio padre, alcuni problemi di salute, la frustrazione nel non riuscire ad avere un figlio e le conseguenti cure ormonali. Tutto lo questo stress emotivo mi aveva portato a sfogarmi nel cibo e a prendere sempre più chili. Infatti, i miei disturbi dell’alimentazione non si presentano nel mangiare e poi digiunare, ma nel mangiare tantissimo”. “Fino al 2014 – prosegue Lorena – non mi rendevo conto appieno della mia obesità. Poi, quell’anno ho avuto un crollo emotivo e fisico e ho deciso di iniziare un percorso di cura. Ancora adesso con l’equipe del dott. Castelnuovo sto lavorando per superare queste dinamiche psicologiche: il bisogno di sentirmi ‘piena’ e il riempire il vuoto interiore mangiando; il cibo per me ha sempre avuto una forte valenza consolatoria”. Il coronavirus nella vita di Lorena ha avuto un risvolto particolarmente drammatico: è tra i soggetti a rischio, ha perso una zia, non ha potuto supportare sua madre nel lutto e, cosa non semplice, è rimasta due mesi chiusa in casa con del cibo sempre a portata di mano. Ecco come Lorena ha vissuto la “doppia paura” – il covid e l’obesità – durante il lockdown:
“Ora sono felice di essere adesso seguita dall’equipe dell’Istituto Auxologico perché mi danno tanto: non mi vedo più come una ‘montagna di ciccia’ e non faccio fatica a seguire i loro programmi. Ci sono tanti specialisti che si prendono cura di me a 360 gradi: c’è lo psicologo, l’ortopedico, il diabetologo, gli incontri mensili con altre persone con Dca. Grazie a loro, in questi anni ho imparato a volermi bene, ad accettarmi e soprattutto ad ammettere (soprattutto a me stessa) che sono obesa, che ho dunque bisogno di aiuto e di fare un percorso ad hoc per persone con Dca. Tra i tanti reparti presenti al San Giuseppe c’è anche quello di ‘recupero funzionale’: serve per raggiungere un peso accettabile e non – e questo è importante – il tuo ‘peso ideale'”. “A quanti soffrono di obesità – conclude Lorena – consiglio di non demordere, di non abbattersi davanti alle possibili ricadute, di non pensare di ‘essere senza speranza’. La speranza di guarire dai Dsa, di imparare a gestire questo ‘mostro‘, di tornare a camminare, ad avere una vita sana, è un obiettivo alla portata di tutti. Un pezzettino per volta“.
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