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“Trauma Bonding”: di cosa si tratta e soggetti coinvolti

Il “trauma bonding” (o “traumatic bonding”), traducibile con “legame traumatico”, indica la condizione di sudditanza e di dolore che una persona/vittima vive, in una relazione, a causa dei comportamenti, delle offese, delle manipolazioni e dei ricatti posti in essere dall’altra/carnefice per ottenere vantaggi personali. Una fase storica come quella attuale, fondata, ovunque, sull’edonismo, l’egocentrismo, la competizione continua e la “soluzione” bellica, risente molto di tale piaga sociale. La vittima, in questi casi, cade in una condizione assoluta di passività, senza capacità di reazione né di minima lucidità per poter intentare una risposta.

Si tratta di relazioni insane, in cui una parte profitta dell’altra e la mantiene in uno stato di dipendenza, con ricatti, raggiri, gelosie e pretese assurde, fino a condurla a una vera schiavitù. La persona abusata è, spesso, in uno stato confusionale in cui non riesce a rendersi pienamente conto della grave situazione che si è creata. È importante, in questi casi, affidarsi ad altre persone che, dall’esterno, possiedono una visione molto più lucida e riescono a valutare ove sia lo squilibrio relazionale.

L’obiettivo del carnefice è quello di annientare psicologicamente l’altro, con una tattica iniziale di carattere seducente, accompagnata da cortesie e gentili parole ma traducibile, successivamente, in atteggiamenti del tutto opposti che, oltremodo, disorientano il malcapitato.

Chi manipola, nutrendosi della sofferenza altrui, pone in atto dei comportamenti tipici, dai quali è opportuno trarre presto il giusto avviso. Fra questi la denigrazione continua, l’interruzione affettiva anche attraverso silenzi ingiustificati, l’intento punitivo, le bugie, le giustificazioni varie e incomprensibili. L’ambiguità è uno degli elementi più classici ed è, paradossalmente, frutto di una pianificazione subdola, strumentale e diabolica. Chi traumatizza, tende all’autoassoluzione, a minimizzare i propri atti e ad amplificare quelli altrui, con l’intento di generare senso di colpa.

Altro tratto comune è quello di legare la vittima, sempre di più, al malvagio giogo e allontanarla da amici e parenti, isolandola da possibili aiuti. Si generano, quindi, dipendenze affettive irrazionali, non supportate da motivazioni solide, anzi. I sintomi arrecati conducono a gravi situazioni di stress, di disistima, apatia, ansia, chiusura sociale, disturbi del sonno, depressione e ideazioni suicidarie.

Il triste fenomeno si realizza in tutti tipi di relazioni (non solo quelle sentimentali, le più colpite) in cui è presente uno squilibrio. Può avvenire, infatti, in contesti familiari, nel rapporto genitori-figli o fratelli-sorelle. Può concretizzarsi anche a livello di “amicizie”, iniziate come tali ma proseguite attraverso uno svolgimento insano, corredato da vittimismo e ricatti.

A livello professionale, la bontà delle relazioni è fondamentale sia per il benessere psicofisico del lavoratore sia per le sorti dell’azienda. Le gratificazioni personali e la giusta armonia fra i componenti di un team, sono gli ingredienti migliori e auspicabili. Purtroppo, anche in questo ambito, si verificano “colpi bassi”, offese e competizioni sterili. Chi le compie è convinto di trarne vantaggio ma, in realtà, arreca un danno a sé e al gruppo. Le relazioni sociali sbilanciate sono alla base anche dei fenomeni di bullismo e, a livello lavorativo, dei casi di mobbing.

Il problema si pone longitudinalmente, lungo tutto il corso della vita. I bambini ne sono vittime in funzione di eventuali deficit a livello familiare e con i pari; devono costruire la propria capacità di intessere sane relazioni sociali senza avviare o subire ricatti. Per gli adulti, le esperienze maturate nel  corso degli anni, non sempre costituiscono l’antidoto a qualsiasi accenno di prevaricazione, non garantiscono “impermeabilità” a pericolosi e sofferenti cedimenti o, al contrario, a logiche di onnipotenza (spesso maturate sin da piccoli).

L’altra fascia a rischio è quella dei giovani, degli adolescenti, in cui la personalità è in profondissima e sensibile costruzione. La tendenza a idolatrare e idealizzare, tipica dell’età, è la leva che può condurre a false rappresentazioni della realtà e del prossimo. Non bisogna idealizzare. I social, effettivamente, costituiscono una prova estrema: se la socialità dei giovani si esprime per la maggior parte nel virtuale, è evidente la responsabilità di tali piattaforme.

Papa Francesco, nel discorso del 26 agosto 2023, rivolto ai partecipanti del 14° incontro annuale dell’International Catholic Legislators Network, ha ricordato “La tentazione subdola dello spirito umano che induce le persone – e specialmente i giovani – a un uso distorto della propria libertà. Lo vediamo quando uomini e donne sono incoraggiati più a esercitare un controllo che non una responsabile custodia nei confronti di ‘oggetti’ materiali o economici, di risorse naturali della nostra casa comune o addirittura gli uni degli altri.  Questa ‘cosificazione’, che in ultima analisi si ripercuote negativamente sui soggetti più poveri e fragili della società, può avvenire in modo diretto o indiretto, attraverso scelte quotidiane che possono apparire neutrali. […] È necessario essere vigilanti, perché purtroppo, in questi canali comunicativi, si possono pure incontrare pratiche disumanizzanti di matrice tecnocratica, come la diffusione deliberata di notizie false, le fake news, il fomentare atteggiamenti di odio e divisione – la propaganda ‘partitistica’ –, la riduzione delle relazioni umane ad algoritmi, per non parlare del favorire falsi sensi di appartenenza, specie tra i giovani, che possono portare all’isolamento e alla solitudine. […] La cultura dell’incontro autentico implica un appello radicale al rispetto e all’ascolto reciproco, pure nei confronti di chi ha opinioni fortemente divergenti dalle proprie. […] Una rete veramente cristiana, allora, è già di per sé una risposta alle ‘tendenze disumanizzanti’”.

Il professor Robert T. Muller è l’autore del testo “Il trauma e la lotta per aprirsi” (sottotitolo “Dall’evitamento alla guarigione e alla crescita”), pubblicato da “Giovanni Fioriti Editore”, nel giugno 2020. Parte dell’estratto recita “Quando studiamo il trauma vediamo che lame a doppio taglio siano le relazioni. Il trauma deriva da loro. La ripresa dipende da loro. Il trauma più straziante si verifica nell’ambito delle relazioni strette, ma la ripresa non può avvenire in isolamento”.

sanitàinformazione.it, quotidiano di informazione sanitaria, il 19 ottobre 2022 ha precisato, al link https://www.sanitainformazione.it/salute/relazioni-tossiche-lamore-patologico-colpisce-almeno-il-5-della-popolazione/, che si tratta di “Una condizione che interessa ben il 5% della popolazione complessiva, ma secondo gli esperti sottodiagnosticata a tal punto da far pensare che le reali stime si aggirino attorno al 20%, ‘soprattutto fra gli adolescenti, maggiormente esposti all’influenza dei social media, ottimi facilitatori del processo di idealizzazione alla base di questa patologia’”.

Fondamentali sono gli equilibri della propria personalità in relazione con quelli dell’altro. Considerarsi, con un approccio di superbia, come rappresentazione del bene e del giusto, al contrario del prossimo, denota l’ingrediente errato dei rapporti umani. Anche l’esatto opposto, il nutrire una bassa autostima e considerare tutte le altre persone come superiori e migliori, è una condizione di triste abbandono.

Altra forma di squilibrio è la totale visione pessimistica, nichilistica di sé e del mondo, considerato una deriva irrecuperabile, in cui le relazioni umane non hanno senso e valore né sono in grado di veicolare valori e azioni verso un fine ultimo, di salvezza personale e collettiva.

Il trauma bonding è subdolo e inaccettabile: sovverte e snatura l’essenza stessa delle relazioni interpersonali, di cui l’individuo vive, come nutrimento, crescita e costruzione dell’identità, dell’essere spirituale nonché fonte di aiuto, collaborazione reciproca per difendersi dai pericoli e sopravvivere.

Il rischio di scivolare verso forme di comando e di vantaggio (anche non violente) a spese di un altro, è sempre presente. Si manifesta, in particolare, in condizioni in cui c’è una fragilità oggettiva in corso (a esempio tra un educatore professionista e un paziente).

La debolezza, mentale, fisica, economica, è la leva che proietta l’individuo verso il rischio del trauma bonding. I più indifesi sono i soggetti a rischio, in cui il braccio della bilancia pende verso il basso e quella perdita risulta, in qualche modo, accumulata da un’altra figura che straborda di potenzialità e non la amministra come dovrebbe.

Le relazioni interpersonali sono le molecole della comunità, se sono malate non possono costituire la base sana e le fondamenta per una società solidale e pacifica. Gli squilibri tra i singoli sono la cartina di tornasole di quelli a livello mondiale. L’attività bellica, che accompagna l’essere umano dalla sua comparsa, nasce dall’istinto della sopraffazione e, da questa, viene, a sua volta, alimentata.

Chi divide, tende a minimizzare, a presentare le vessazioni come semplici incomprensioni. In genere, questi “malintesi” non sono tali, mascherano delle gravi manipolazioni. Mai sottovalutare, occorre subito chiarire e risolvere. È essenziale, in ultima analisi, per ognuno, affrontare l’esame più importante (e continuo) della vita: quello di coscienza. Occorre sempre chiedersi, con spirito critico e trasparente, come inizia e vive la propria affettività, come si sublima l’alterità; “chi sono ‘io’ per l’altro?”.

Marco Managò

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