Dadaab: la vita nell’inferno del campo profughi del Kenya

Mariano Lugli, coordinatore dei progetti in Kenya di Medici Senza Frontiere racconta a Interris.it la vita nel campo rifugiati di Dadaab

Dadaab
A destra Mariano Lugli. Foto Ufficio Stampa MSF

Il campo rifugiati di Dadaab nell’est del Kenya è stato aperto nel 1991 per dare asilo ai richiedenti in fuga dalla guerra civile in Somalia. Ad oggi ospita trecento mila persone, un numero molto maggiore rispetto alla sua capacità massima e ciò comporta delle condizioni igienico sanitarie precarie che sono la causa principale della trasmissione di malattie mortali come il colera.

L’intervista

Interris.it ha intervistato Mariano Lugli, coordinatore dei progetti in Kenya di Medici Senza Frontiere, che ha parlato delle criticità che caratterizzano il campo rifugiati più grande al mondo.

Mariano, come è la situazione a Dadaab?

“Gli arrivi dalla Somalia sono in aumento e il problema si riversa sul campo keniota che non è sempre in grado di garantire a queste persone delle condizioni igienico sanitarie adeguate. Uno dei problemi è la mancanza di acqua sanificata in quanto viene potabilizzata da organizzazioni finanziate dalle Nazioni Unite con i fondi avuti dai donatori. Ad oggi queste risorse non sono sufficienti e l’acqua resta inquinata, diventando così veicolo di malattie come il colera. Inoltre, ad aggravare le condizioni igieniche è il numero insufficiente di bagni che costringe queste persone a defecare all’aperto con il rischio che le feci diventino un viatico per la diffusione delle malattie, soprattutto quando arriva un alluvione e il campo si allaga.”

Come è la vita a Dadaab?

“Dobbiamo immaginare il campo come un villaggio in cui sono presenti persone nate lì e che non sono mai uscite da questi confini. La loro vita è all’interno del campo e ufficialmente non possono lavorare, ma in realtà molti di loro lo fanno. Ogni mese gli viene distribuita una razione di cibo che alcuni integrano con la creazione di un proprio orto. Le Nazioni Unite garantiscono ai bambini il sistema scolastico e vengono messe a disposizione delle borse di studio per andare a Nairobi a studiare quando saranno più grandi. Non c’è un controllo vero e proprio e per questo molti rifugiati spesso di nascosto lasciano il campo per andare in Somalia per poi fare di nuovo ritorno a Dadaab”.

Questo campo è un problema per il governo del Kenya?

“Ci sono molte discussioni legate a questo luogo perché è accaduto che in questi anni il campo venisse usato come nascondiglio da attentatori. Due anni fa il governo del Kenya insieme all’Onu aveva deciso di iniziare un processo che avrebbe portato alla chiusura definitiva di Dadaab e che prevedeva l’integrazione degli abitanti nel tessuto sociale della regione in cui si trova. Questo progetto avrebbe dato la possibilità a queste persone di avere una vita normale e si sarebbe fatto un passo in avanti perché non si avrebbe più avuto bisogno di donatori per poter vivere. Poi però, a causa di varie vicende politiche, l’idea è svanita e il campo continua ad esistere con tutte le sue fragilità”.

Voi di Medici Senza Frontiere che assistenza date?

“La nostra presenza è finalizzata ad accogliere i rifugiati al loro arrivo, dando loro il necessario per costruirsi una postazione dove trascorrere la notte, garantendo un’assistenza medica adeguata. Abbiamo un ospedale in cui vengono assicurati tutti i trattamenti come la pediatria, la malnutrizione, la chirurgia di base e la maternità. Gestiamo poi quattro punti salute nel campo in cui ci occupiamo dell’assistenza di base e abbiamo avviato dei progetti legati alla cura di patologie croniche”.