Come i santi della porta accanto affrontano l’epidemia

Intervista di Interris.it sulla santità della porta accanto a Domenico Agasso jr, vaticanista de "La Stampa" e coordinatore di "Vatican Insider"

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Papa Francesco ha evocato più volte in pandemia la figura degli eroi invisibili, dei santi della porta accanto. Su come i testimoni della fede abbiano affrontato in due millenni i tempi bui delle pestilenze e delle carestie, Interris.it ha intervistato Domenico Agasso jr, vaticanista de “La Stampa” e coordinatore di “Vatican Insider”.
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Santità della porta accanto

La terza enciclica di papa Francesco, “Fratelli tutti”, parte dalla pandemia, che “non è un castigo di Dio”, assicura il Pontefice. Ma la realtà “che geme e si ribella”. Jorge Mario Bergoglio avverte l’umanità: non siamo i padroni assoluti di ciò che esiste. Il coronavirus dimostra che “nessuno si salva da solo”: se ne potrà uscire solo tutti insieme. Dunque è tempo di abbattere i muri.
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Il mondo sta affrontando una terribile pandemia. Le vite dei santi sono piene di eroiche testimonianze di fede in tempi di pestilenza e carestia. Da biografo dei santi e studioso di agiografie, può farci alcuni esempi?
“Partirei da santa Rita da Cascia, patrona dei casi disperati, delle donne desiderose di avere figli, e anche dei salumieri. Nata a Roccaporena (Cascia, Perugia) intorno al 1381 e morta a Cascia nel 1447 o 1557, è una delle figure più popolari e amate nella storia della santità. Vedova, chiede di entrare nel monastero delle Agostiniane. Vi resta per 40 anni, ma non da religiosa ‘murata’, lontana dal mondo. Dedica ogni giorno molte ore alla meditazione e alla preghiera, ma al tempo stesso è sempre attentissima a quello che accade fuori. Va a trovare gli ammalati, e in particolare i lebbrosi. ‘Convive’, si può dire, con le sofferenze di Cristo in croce, che lei intreccia con quelle della gente del suo tempo”.

Quali altri profili di santità?

“Poi c’è san Rocco, che fu pellegrino per l’Italia curando gli appestati. Nato a Montpellier (Francia) nel XIV secolo, è incerta la data della sua morte. Venuto al mondo in una famiglia benestante, perde i genitori da giovane. Decide di distribuire i suoi beni ai poveri e di incamminarsi pellegrino verso Roma; che significherà verso la peste, il contesto della sua ‘missione’. Rocco giunge in posti flagellati dal contagio che a metà del Trecento- col nome di ‘peste nera’- devasta l’Europa. La incontra ad Acquapendente, presso Viterbo, e invece di fuggire e proseguire verso l’Urbe, vi si stabilisce nel lazzaretto, per curare i malati. Successivamente, mentre si sta dirigendo a Roma, si ferma a Cesena e a Rimini: ci sono altre epidemie, e ammalati che spesso neanche i parenti vogliono accudire”.PortaPoi cosa accadde?

“Arriva infine a Roma, dove resta tre anni, sempre trascorrendo il suo tempo negli ospedali ad assistere i malati. Poi riparte per tornare a Montpellier, ma il suo viaggio è di nuovo interrotto da un’epidemia di peste, a Piacenza. Dove viene contagiato. Si trascina allora in una capanna nei pressi del fiume Trebbia: vuole morire in solitudine lì. Ma ecco il celebre cane, che numerosi artisti dipingeranno al suo fianco. L’animale attira l’attenzione del padrone del terreno, il nobile Gottardo Pollastrelli, sulla persona sconosciuta sofferente nella capanna. E Pollastrelli accoglie, cura e guarisce Rocco”.PortaCosa significava dal punto di vista sociale avere la lebbra al tempo di Gesù?

“Nel Vangelo si legge di un malato di lebbra che si prostra davanti al Gesù e Gli dice: ‘Signore, se vuoi, puoi purificarmi’. Cristo lo tocca e lo risana. Il Figlio di Dio avvicina gli esclusi: in questa occasione si ‘sporca le mani’ toccando il lebbroso, guarendolo. Gesù compie il miracolo alla vista dei dottori della legge per i quali invece il lebbroso è solo un ‘impuro’. Come ha ricordato anche Papa Francesco, la lebbra ‘era una condanna a vita’. E guarire un lebbroso ‘era tanto difficile come resuscitare un morto’. Ecco perché i lebbrosi vengono emarginati”.
La malattia infettiva isola e allontana dalla società. Don Bosco nell’epidemia di colera del 1854 impegnò se stesso e la nascente opera salesiana. Come accadde?
“Molti suoi ragazzi e studenti, guidati dallo stesso ‘Santo dei giovani’, si misero coraggiosamente a disposizione delle autorità per aiutare la popolazione travolta dall’emergenza sanitaria. Andarono ad assistere i colerosi nelle case e nei lazzaretti. Nessuno di loro fu contagiato. Il motivo? Giovanni Bosco diceva loro: ‘Se non fare­te peccati, io vi assicuro che nessuno sarà toccato’ dal morbo. Una profezia che sarebbe diventata miracolo”.
Come la “Chiesa ospedale da campo” di papa Francesco svolge il suo apostolato in questa emergenza generale?
“Il Papa indica le vie percorribili da chi vuole costruire un mondo più giusto. Una necessità che l’epidemia ha amplificato, suscitando ‘la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti’. Perciò è decisiva la solidarietà.
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Può farci un esempio?
“E così, per esempio, in occasione della “Giornata Mondiale dei Poveri” che si è celebrata il 15 novembre, ecco i tamponi gratis per gli indigenti. Come spiega monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova Evangelizzazione, nell’ambulatorio sotto il Colonnato di San Pietro, ‘ad opera dell’Elemosineria Apostolica, per i poveri che devono avere accesso ai dormitori o per coloro che vogliono ritornare nella loro patria, è possibile poter effettuare il tampone’. È uno dei segni concreti della Chiesa ‘vicina, aperta e missionaria’ ai tempi del coronavirus”.