Casula (UniRoma3): “La pace: il fondamento dei rapporti tra i popoli”

L'intervista di Interris.it al professor Felice Casula in occasione dell'anniversario del 9 maggio 1945 che ha segnato la fine della Seconda guerra mondiale nel continente europeo

Le truppe alleate in Normandia (© WikiImages da Pixabay)

Il nove maggio si celebrano ufficialmente le celebrazioni per le commemorazioni del 78° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale in Europa.

I due momenti della resa

Alle ore 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 il generale Alfred Jodl firmava nei quartier generali degli Alleati a Reims in Francia i documenti di resa della Germania. Tale documentazione stabiliva che la cessazione delle ostilità da parte della Germania dovesse avvenire alle 23:01 dell’8 maggio 1945. Il giorno successivo invece, il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, assieme ad altri rappresentanti dell’alto comando giungono a Berlino, dove firmano un documento simile, alla presenza del maresciallo Georgij Žukov, arrendendosi esplicitamente alle forze sovietiche. La cerimonia della firma avviene in una villa in cui era stato posto il Comando sovietico, nella periferia orientale di Berlino, nel quartiere di Karlshorst, divenuto decenni dopo l’attuale museo russo-tedesco. Si poneva così fine, nel continente europeo, ad un conflitto che aveva causato innumerevoli vittime nonché distruzione morale e materiale. Interris.it, in merito al significato più profondo di questa commemorazione, soprattutto nel difficile frangente storico che sta vivendo il continente europeo, ha intervistato il professor Carlo Felice Casula, professore emerito di Storia contemporanea nell’Università degli Studi Roma Tre e autore di numerose pubblicazioni.

Una città bombardata nella Seconda guerra mondiale (© WikiImages da Pixabay)

L’intervista

Che cosa rappresentò il 9 maggio 1945 per l’Europa e per il mondo intero?

“il 9 maggio 1945 per l’Europa ha rappresentato la fine della tragedia immane della Seconda guerra mondiale. Una guerra lunga, di distruzione di massa, sia per quanto riguarda le persone che le strutture. Nel mondo invece, in particolare in Asia, la guerra è proseguita per alcuni mesi e si è conclusa solo nell’agosto dello stesso anno con l’esperimento terrificante delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Gli storici concordano sul fatto che, lo sganciamento di questi ordigni, non serviva tanto a battere le ultime resistenze del Giappone ormai sconfitto, quanto a mandare un messaggio di portata planetaria in merito al fatto che, gli Stati Uniti, disponevano in forma esclusiva di una nuova e terribile arma. Di conseguenza, il nuovo assetto mondiale, non era più quello chiamato dai sovietici della ‘grande alleanza antifascista’, ossia dell’alleanza tra le grandi democrazie liberali occidentali e lo stato sovietico, ma uno nuovo in cui, gli stessi Stati Uniti, si ponevano come potenza egemone; quindi, non più alleata ma concorrenziale e avversaria rispetto all’Urss con la quale, negli anni di guerra, erano stati alleati.”

Qual è, secondo Lei, il messaggio più profondo di questo anniversario?

“Il messaggio più profondo di questo anniversario è la fine della guerra che ha causato 50 milioni di vittime, dei quali 20 milioni dell’Urss. Occorre ricordare che, la Seconda guerra mondiale, rappresenta nella storia millenaria delle guerre, una svolta assoluta costituita dal fatto che, le vittime, sono ugualmente divise tra soldati e civili e non quasi esclusivamente di soldati come è stata la Prima guerra mondiale. Bisogna ricordare che, con il secondo conflitto mondiale, si avvierà quel processo proprio delle guerre di fine ‘900 e del nuovo secolo in cui, le vittime, saranno per la maggior parte civili che, con un terribile eufemismo, vengono definiti “danni collaterali”.

Quest’anno l’anniversario di questa ricorrenza cadrà proprio nel momento in cui si sta combattendo una guerra in Ucraina. Che insegnamento dobbiamo trarre dalla storia e da quel 9 maggio 1945 per far sì che si possa giungere alla pace?

“Faccio una premessa: il 9 maggio è ricordato come il “Giorno della Vittoria” a partire dall’Unione Sovietica, poi Federazione Russa e poi dai paesi dell’Europa orientale. In altri paesi invece si tende a parlare di “giorno della memoria” ponendo l’attenzione sulle vittime del conflitto. In questi ultimi anni, in diversi paesi, la celebrazione di tale giornata è oggetto di interpretazioni differenti. La fine apocalittica del nazismo, a partire dal suicidio di Hitler, ha rappresentato e rappresenta la sconfitta storica del progetto terrificante del nazismo che voleva l’asservimento di interi popoli, in particolare quelli slavi, nonché la distruzione di altri, in particolare gli ebrei, i rom e i sinti. Vorrei poi sottolineare un fatto che si tende a dimenticare: la Seconda guerra mondiale viene combattuta e vinta anche perché, oltre agli eserciti, vi prendono parte anche i civili in armi, definiti partigiani. Essi avevano l’idea che, i tedeschi e i loro collaboratori, dovessero essere combattuti per porre fine alla guerra, ma anche per dar vita a un nuovo mondo, sia attraverso le costituzioni dei diversi paesi i quali, ad esempio, sostituiscono i ministeri della guerra con quelli della difesa, ma anche al livello internazionale mediante le Nazioni Unite. In altre parole, un mondo dove la guerra non ci sia più e la pace diventi la condizione normale della vita e nei rapporti tra i popoli tutti. Questo è il messaggio più profondo di questo anniversario oggi.”