Allarme paritarie, Padre Gaetani (Cism): “Un patto educativo per salvare il sistema scuola”

Il presidente di Cism Nazionale a Interris.it: "Sulle scuole paritarie un handicap ideologico. Noi parliamo a nome delle famiglie"

Dagli appelli ripetuti alla sensazione, ora, di trovarsi di fronte a un aut aut: un sostegno concreto alla scuola paritaria o il rischio di vederla naufragare, assieme a parte dell’interno sistema scolastico del nostro Paese. Un rischio che l’Italia, specie in vista di un’uscita dall’emergenza coronavirus, non può permettersi di correre. Il punto è continuare a garantire non solo un piano formativo per migliaia di studenti, sostenendo la causa della parità nella scelta educativa, ma anche ribadire che, a tutti gli effetti, anche questi istituti svolgono una funzione di istruzione pubblica. Una questione che ha visto l’ingresso in campo della Cei, dalla quale arriva la richiesta di “intervenire oggi con un fondo straordinario destinato alle realtà paritarie o con forme di sostegno, quali la detraibilità delle rette, alle famiglie”. Parole accolte con favore dalle Conferenze dei Religiosi e delle Religiose in Italia, come spiegato a Interris.it da padre Luigi Gaetani, presidente Cism e firmatario, assieme a madre Yvonne Reungoat (Uism), di un comunicato congiunto: “Abbiamo messo tutti in condizione di capire la nostra posizione”.

 

Padre Gaetani, il dibattito sulla scuola paritaria infiamma non dà un giorno il confronto politico-sociale, con la sensazione che vi sia stata però una flessione nel corso degli anni. Qual è stata la ragione secondo lei?
“Credo sia stato innanzitutto un pregiudizio ideologico, che ha condizionato il dibattito all’interno del nostro Paese e che ha portato, nel tempo, al non riconoscimento del concetto di scuola pubblica paritaria, come invece avvenuto in altri Paesi europei. Un problema che deriva anche da una distorsione, che inquadra quella paritaria come una scuola d’élite. Un problema ideologico, perché di fatto non è così: le scuole sono state impegno civico di tanti istituti, che hanno garantito l’alfabetizzazione del nostro Paese, specie in zone povere, promuovendo effettivamente la cultura. Scuole paritarie, per noi, non significa scuola di élite, perché le nostre rette – per questo si propone il costo standard – che arriva massimo a 5.500 euro l’anno. Non è un problema economico di élite ma la scuola, non avendo forme di sostentamento, doveva trovare un minimo di risorse per potersi mantenere. Chi lavorava nella scuola paritaria non hanno percepito stipendi, hanno messo a disposizione immobili, hanno creato le condizioni per poter mandare avanti il progetto, per far sì che fosse scuola popolare e non borghese. Oggi forse c’è l’interesse da parte di alcuni di creare scuole d’élite. Ma noi non siamo su questa linea ma su quella che la scuola paritaria continui a essere un servizio accanto alla scuola pubblica statale. Patto educativo che dia compimento sia all’articolo 33 della Costituzione, sia alla 62 del 2000”.

Il nodo sembra riguardare proprio questo aspetto: dare continuità alla Legge sulla parità anche in relazione alla scelta scolastica per le famiglie…
“Il problema che poniamo riguarda le famiglie, perché non ce la fanno a pagare le rette, che sono basse. Se noi dovessimo chiudere, lo Stato non reggerebbe né l’impatto di 900 mila studenti né il travaso di 180 mila operatori tra insegnanti e altro personale, né sostenibilità economica di questa situazione. Inoltre, la situazione del coronavirus obbliga a pensare le classi in maniera diversa: non si possono immaginare classi pollaio, con 30 alunni. Il problema riguarda in primis la sensibilità dello Stato rispetto a una famiglia in difficoltà. O si procede a un intervento da parte del governo con un fondo straordinario, oppure con una detraibilità del 100% delle rette. Noi non vogliamo soldi, parliamo per le famiglie. Dall’altro lato, mettiamo in campo quello che abbiamo: edifici che possiamo mettere in parte a disposizione per poter garantire quel distanziamento sociale per far ripartire a settembre la scuola e, di conseguenza, il nostro Paese. Se non riparte la scuola non riparte la società. La scuola è la prima impresa dello Stato, non solo per il presente ma anche per il futuro. Offrire allo Stato la possibilità di valutare l’utilizzo, di fronte a questa emergenza, di parte degli edifici delle scuole pubbliche paritarie. Lo definiamo un patto educativo e civico: ci sembra importante perché non è una chimera che il 30% degli istituti rischia di non riaprire a settembre. E, in caso, lo Stato rischia di trovarsi di fronte a un settembre caldo sul versante sindacale e sociale, perché lasciare a casa migliaia di docenti diventa un problema di Stato”.

La soluzione?
“Il buon senso ci può governare davanti a una situazione difficile per tutti ma che ci consente di scavalcare un handicap di tipo ideologico e che rischia di pesare indebitamente su di noi”.

A breve, con la discussione del Cura Italia, arriverà anche quella sull’emendamento relativo alla detraibilità delle rette. Un possibile passo in avanti…
“Per questo stiamo insistendo. La Cei ha capito le nostre ragioni. Già da due anni diciamo che non si può andare avanti così. Ci siamo già sufficientemente indebitati e non abbiamo più liquidità. Se non facciamo rumore nessuno ci ascolta. Due anni fa avevo proposto una serrata generale a tempo indeterminato delle scuole paritarie, mi dissero che stavo esagerando. Mi sono fermato ma ho cercato di lavorare sulla questione e di capire se c’erano le condizioni per fare un passo avanti”.

Qual è stata in questi anni la risposta delle famiglie? Hanno mostrato vicinanza e sostegno nella richiesta di una parità nella scelta educativa?
“In maniera trasversale c’è una prossimità, perché le famiglie comprendono i sacrifici e la validità di una proposta educativa alta, che non privilegia alcuni rispetto ad altri ma è culturale e antropologica, differente, che una famiglia deve avere la possibilità di scegliere. Tante scuole paritarie hanno dimezzato le rette e le famiglie di questo sono grate. Per questo noi chiediamo a nome loro, noi non vogliamo nemmeno un euro. Sentiamo la loro solidarietà così come sentiamo la ristrettezza economica. Se qualcuno ti dice che non può pagare la retta tu non puoi chiedergli di pagarla. Non è questa la nostra funzione sociale. Anche i comitati delle famiglie hanno avuto un confronto con noi e per questo abbiamo agito in questo senso. Il comunicato rappresenta l’atto ultimo di un lungo percorso: abbiamo messo tutti in condizione di capire la nostra posizione, perché non vogliamo equivoci”.