L’aiuto di Cesvi alla popolazione del Corno d’Africa

L'intervista di Interris.it alla dott.ssa Simona Denti, communication manager della Fondazione Cesvi

Immagine Cesvi - credits Fulvio Zubiani

Il Corno d’Africa è sovente al centro dell’attenzione mondiale a causa dei conflitti armati prolungati, gravi crisi alimentari e sfollamenti su larga scala a cui, negli ultimi due anni, si è aggiunta la pandemia da Covid – 19 con le conseguenti problematiche sanitarie e sociali. La regione registra inoltre uno dei più alti tassi al mondo di mortalità infantile e materna. Un contesto così complicato costringe le persone a migrare e provoca spostamenti di sfollati interni e profughi, a cui le diverse istituzioni internazionali, pubbliche e private, cercano di fornire una risposta al fine di aiutare la popolazione locale.

L’opera di Fondazione Cesvi

Fondazione Cesvi è un’organizzazione umanitaria fondata a Bergamo nel 1985. Unisce solidarietà e giustizia, ed opera in tutto il mondo al fine di sostenere le popolazioni più fragili nella promozione dei diritti umani. Nel raggiungimento delle loro aspirazioni, con l’obiettivo di perseguire lo sviluppo sostenibile. Interris.it ha intervistato, in merito alla situazione in Kenya e in tutto il Corno d’Africa, la dott.ssa Simona Denti, communication manager di Cesvi e già impegnata in prima persona nelle sopracitate aree dell’Africa in azioni di sostegno alla popolazione locale.

Immagine Cesvi – credits Fulvio Zubiani

L’intervista

Qual è l’attuale situazione in Kenya e nei paesi del Corno d’Africa?

“La situazione che stanno vivendo in questo momento il Kenya, l’Eritrea nonché la Somalia, ossia l’intero Corno d’Africa è molto drammatica in quanto è giunto uno dei periodi di siccità peggiori degli ultimi trent’anni, paragonabile a quanto già verificatosi nel 1981, ciò ha provocato, negli ultimi tre anni, una quantità di pioggia molto scarsa. Dalle stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nei tre paesi ci sono circa 14 milioni di persone che si trovano in una situazione di grave malnutrizione alimentare, di questi 5,5 milioni sono bambini. In questi territori la malnutrizione è la compagna indesiderata della vita quotidiana, a cui si aggiungono la siccità e l’emergenza sanitaria che hanno aggravato le preesistenti condizioni di vita, le quali erano già tra le peggiori di tutto il pianeta. A causa delle condizioni ambientali, molti capi di bestiame stanno morendo e, secondo le stime, i raccolti sono diminuiti del 70%. La siccità, la pandemia da Covid-19 – per cui solo l’11% della popolazione è vaccinata – a cui si uniscono i conflitti armati, soprattutto in Somalia e in Kenya”.

Quali sono le azioni che Cesvi attua nell’area?

“Cesvi è presente in quest’area del pianeta con dei progetti specifici per il contrasto della malnutrizione che è uno dei temi principali d’azione in Somalia e in Kenya. In particolare, in Kenya ci poniamo l’obiettivo di migliorare la sicurezza alimentare e nutrizionale in dieci comunità di pastori e agro pastori delle ward di Central Isiolo  nelle Zone Aride e Semi Aride (ASAL) del Kenya con l’obiettivo di aumentare nonché di promuovere dei mezzi di sussistenza alternativi, come ad esempio il latte di capra o il latte di cammello, i quali hanno dei componenti nutrizionali in grado di variare la dieta delle persone in quanto, il primo ad esempio è molto più digeribile e nutriente del latte vaccino e quindi particolarmente adatto per la somministrazione a bambini che soffrono di malnutrizione. Oltre a ciò, cerchiamo di introdurre all’interno di queste comunità e soprattutto nella figura della donna, dei capi di bestiame come pollame e capre per aumentare la capacità di autosussistenza delle famiglie e, attraverso una formazione specifica, le affianchiamo affinché utilizzino questo bestiame non soltanto per la propria alimentazione, ma anche come fonte generativa di reddito alternativo, attraverso ad esempio la vendita del latte, delle uova o dello stesso bestiame. Accanto a ciò abbiamo un progetto che si occupa in maniera molto più specifica della malnutrizione per cui, all’interno di centri salute materna infantile, svolgiamo il monitoraggio e le visite di controllo sia di mamme sia di bambini, i quali possono soffrire di questi problemi e, qualora ci siano dei casi conclamati di malnutrizione acuta, inseriamo i bambini all’interno di un percorso che prevede inizialmente la somministrazione di  plumpynut, per uscire dalla fase di emergenza acuta ed in seguito andare a lavorare con le famiglie e le mamme fornendo le indicazioni del caso al fine di alimentare nella maniera corretta un bambino che ha sofferto di malnutrizione acuta per proseguire con la cura e scongiurare così il rischio di mortalità. Per fare questo noi lavoriamo attraverso dei gruppi di mother to mother support, ovvero gruppi di supporto costituiti da 15 madri di qualsiasi età che si incontrano per conoscere e discutere su problematiche riguardanti la nutrizione infantile e della salute in generale dei propri figli. Formiamo delle facilitatrici donne che appartengono alle popolazioni locali di pastori nomadi che si spostano continuamente al fine di abbeverare i capi di bestiame. Le donne in questione hanno seguito dei corsi di formazione e possono insegnare alle altre donne del villaggio quelle che sono le indicazioni per un’alimentazione sana nonché per l’igiene dei propri bambini e dei membri della propria famiglia”.

In che modo la pandemia ha inciso sulle problematiche preesistenti e mutato la vostra metodologia d’azione?

“In questa zona dell’Africa ci occupiamo di persone che sono già in una situazione di grande vulnerabilità e la pandemia non ha fatto altro che accrescere la fragilità di queste persone. Oltre ad aver un minore accesso al lavoro e alle altre forme di reddito bisogna anche considerare che – soprattutto in Somalia – moltissime di queste famiglie, vivevano con gli aiuti che solitamente arrivano dai famigliari residenti all’estero la cosiddetta diaspora i quali, a loro volta, hanno perso in moltissimi casi, un accesso al reddito dopo la pandemia; di conseguenza – per queste famiglie – è venuto a mancare anche l’accesso al reddito che veniva dall’estero. Noi di Cesvi, al livello progettuale ovviamente, abbiamo proseguito l’intervento dedicato alla malnutrizione al quale abbiamo dovuto affiancare un intervento più mirato sul tema Covid – 19. Quindi, appena la situazione l’ha reso possibile, abbiamo avviato un progetto attualmente in corso per la distribuzione di Dpi, la costruzione e la distribuzione di stazioni di lavaggio delle mani nonché per l’accesso all’acqua pulita uniti a dei momenti di sensibilizzazione sul tema Covid – 19”.

Quali sono i vostri auspici per il futuro in merito alla situazione nel Corno d’Africa? In che modo chi lo desidera può prestare aiuto?

“Il nostro auspicio è che si possa raggiungere – come sancito dall’Agenda Onu 2030 – l’obiettivo FAME ZERO anche se, al momento, i numeri ci confermano non raggiungibile a così breve termine. Noi, per operare in questo contesto e in molti altri, abbiamo bisogno dell’aiuto delle persone oltre a quello dei donatori istituzionali. Quindi, le persone possono sostenere i nostri progetti, facendo una donazione sul nostro sito www.cesvi.org”.