La rivoluzione della Laudato si’ nel rapporto uomo-ambiente

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Nel 2015 questo paragrafo della Laudato si’, il 161, mi sembrò spiegare tutto: “Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni”. Ma è poco righe prima il punto su cui avrei dovuto soffermarmi di più, alla fine del paragrafo 160: “non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra”. La storia allora è molto più grande.

Dunque, sebbene sia impossibile dire che si tratti di un errore, Laudato si’ non è solo un’enciclica verde. Ma che cos’è dunque? Per rispondere bisogna tornare un po’ indietro, rileggere bene il paragrafo 83: “ Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale. In tal modo aggiungiamo un ulteriore argomento per rifiutare qualsiasi dominio dispotico e irresponsabile dell’essere umano sulle altre creature. Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto. L’essere umano, infatti, dotato di intelligenza e di amore, e attratto dalla pienezza di Cristo, è chiamato a ricondurre tutte le creature al loro Creatore”.

Anche chi si attardi, a mio modo di vedere, in un letteralismo creazionista, converrà che la creazione è stata una sola: poi, al settimo giorno, si riposò. L’ evoluzionismo che ha in Cristo il suo centro il papa lo spiega nel passaggio che ho appena citato, assumendo visioni esposte da un grande gesuita, padre Teilhard de Chardin. Dunque con le poche citate parole ci dice che tutto il creato ha un traguardo, e se è così il “dominio irresponsabile” della natura è contro il sapiente disegno divino, che è quello di far procedere tutto il creato verso di lui. Possiamo dunque immaginarci un processo evolutivo che va sempre avanti e sempre verso l’alto: avanti nell’evoluzione e in alto verso la trascendenza.

Dunque la presunta hybris umana, cioè la nostra illimitata tracotanza, non sta certo nel ritenerci capaci di alterare il disegno divino causando noi i mutamenti climatici, che ci sono sempre stati, ma nel non aver capito quale sia il disegno. Senza una visione olistica del creato, una visione cioè che lo capisce come un sistema organico le cui parti non sono indipendenti, non si può pensare o capire quell’ecologia integrale che propone Francesco, il senso esplicito e profondo, autentico dell’enciclica. I fenomeni estremi che stiamo vivendo possono far capire a molti che è urgente cambiare strada, ma farlo con un nuovo umanesimo che ci porti a capire cosa sia e perché dovrebbe riguardarci l’ecologia integrale è di più. Certo, oggi, nel pieno di questa guerra mondiale contro la casa comune, cominciare da una semplice consapevolezza di cosa stia accadendo non sarebbe poco.

Il 4 ottobre, quando l’aggiornamento dell’enciclica lo potremo leggere, sapremo anche perché Francesco ha deciso di chiamarla così, “guerra mondiale contro la casa comune”, ma un’idea possiamo farcela anche ora. Se l’hybris umana, come dicono i negazionisti, sta nel pensare che le nostre azioni possano causare i mutamenti climatici, allora è chiaro che ci sarà una guerra contro l’enciclica da parte di chi vorrà continuare ad arricchirsi con il petrolio, con il legname amazzonico, ma anche a non praticare mutamenti del proprio stile di vita: la democrazia per costoro ha un’orizzonte di pochi anni, quelli del mandato in atto, e per loro é evidente che in pochi anni cambiare stile di vita non diventerà un’esigenza primaria dell’elettorato. Bisogna entrare in questa ecologia integrale per capire correttamente cosa proponga Francesco, e senza qualche riferimento a Teilhard De Chardin è difficile, o forse impossibile, soprattutto perché questa ecologia integrale rimanda esplicitamente al Cristo Cosmico, al Cristo Universale, al Pantocrator, in breve, al Cristo Omega, fondamento della visione cristologica teilhardiana.

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Ha scritto la professoressa Maria de Lourdes Ludovice Paixao, segretaria dell’Associazione degli amici di Teilhard de Chardin in Portagallo : “Secondo il Papa, l’ecologia integrale considera le interazioni sia dei sistemi naturali sia dei sistemi sociali e, perciò, richiede uno sguardo olistico sulle fragilità della nostra casa comune. Infatti tutte le creature, gli umani, gli animali, le montagne, gli oceani sono uniti nell’abbraccio della creazione, “non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente.” Citando la Genesi, il Papa prosegue: “Noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.” (§ 2). Pertanto, il Papa riconosce che oggi ci sono diversi motivi di inquietudine perché “maltrattiamo e offendiamo la nostra casa comune” e che “ i gemiti di sorella terra si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta.” (§53) Nel capitolo II, intitolato Il Vangelo della Creazione, il Papa si sofferma sul mistero dell’universo: “In questo universo, composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione. Questo ci porta anche a pensare l’insieme come aperto alla trascendenza di Dio, all’interno della quale si sviluppa” (§79). E, in questa prospettiva,  afferma che “dire ‘creazione’ è più che dire natura, perché la Creazione ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato (§76). “Egli è presente nel più intimo di ogni cosa (…) Questa presenza divina, che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere, (e il Papa cita San Tommaso d’Aquino)  è la continuazione dell’azione creatrice (…). È grazie ad un’arte divina, inscritta nelle cose, che le cose stesse si muovono verso un determinato fine” (§80).”

Sì, io credo che qui sia il salto di qualità che Francesco ci invita a fare con la sua enciclica e credo che quanto leggeremo nel suo aggiornamento ci riguarderà non solo per quanto ci dice la scienza, ma anche per ciò deve spiegare alla nostra coscienza. Perché la grande visione che emerge consente l’incontro tra chi, seguendo due direttrici colpevolmente separate, ha preferito la scienza e chi la teologia. Osserva giustamente la Paixao, che De Chardin “in diversi scritti, espresse la tensione interna, o meglio, il conflitto interiore vissuto in questa confluenza di due vie da armonizzare: il Cielo e il Mondo, la teologia e la Scienza, la Fede e la Ragione, “i due assi dello spirito”, nelle parole del Cardinal Poupard”.

E’ questo il grande segreto, a mio avviso, della potenza dell’enciclica: unire ciò che ci sembra diviso, e che possiamo anche capire senza ancora capirlo pienamente, perché non ci siamo arrivati per antichi retaggi, ma ne avvertiamo l’imprescindibile urgenza, necessità. L’evoluzione, sempre in avanti e verso l’alto, così avranno reso naturale anche questa evoluzione, questo aggiornamento del testo dell’enciclica, un fatto senza precedenti per la nostra limitatezza, non per la sua anormalità.
Voglio allora aspettare la pubblicazione pensando in maniera molto semplice: tutti sappiamo che l’Arabia Saudita, il più grande produttore di petrolio al mondo, vuole sviluppare un’economia post-petrolifera. Ma con quali risorse potrà farlo se non aumentando gli introiti da petrolio? E’ solo affar suo? E’ lo stesso quesito che si pone al riguardo dell’Amazzonia: se volesse preservare la foresta amazzonica, su quali risorse potrebbe contare il Brasile? E’ solo affar suo? Il Grande Imam di al-Azhar, intervenendo all’incontro berlinese di Sant’Egidio, ha citato un detto arabo: “i venti non presero la rotta auspicata dai naviganti”. Questi venti però li orientiamo, li rafforziamo o li indeboliamo noi.