Tagli e rappresentanza: la complessa questione Referendum

Il referendum del 20-21 settembre ha carattere confermativo della legge costituzionale che prevede un numero di 400 deputati e di 200 senatori elettivi. Dato il tipo di referendum non è richiesto per la suo validità un quorum di elettori partecipanti al voto come nel caso di referendum abrogativo: chi condivide la riforma deve votare sì, i contrari no. In caso di esito confermativo la riduzione avrà decorrenza dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della nuova norma costituzionale.

Per ciascuno dei due rami del Parlamento, la riduzione così prevista è pari al 36,5 per cento degli attuali componenti (elettivi). A seguito delle modificazioni così proposte, il numero degli abitanti per deputato aumenterebbe così (da 96.006) a 151.210. Il numero di abitanti per ciascun senatore aumenterebbe (da 188.424) a 302.420 (Eurostat). Entro il numero complessivo di 400 deputati e 200 senatori, il numero degli eletti nella Circoscrizione Estero è previsto pari 8 deputati (anziché 12) e 4 senatori (anziché 6). Per il Senato, la riduzione numerica complessiva comporta la riduzione del numero minimo di senatori eletti per Regione. Tale numero minimo regionale (o per ciascuna Provincia autonoma) è previsto dalla nuova legge pari a 3 (anziché 7).

Non subisce modifiche la previsione vigente relativa al Molise (2 senatori) ed alla Valle d’Aosta (1senatore). La rideterminazione del numero di deputati e senatori si riflette su molteplici altri profili. Intanto, si ripercuote sull’organizzazione interna delle Camere. Ad esempio, se immutate di numero le quattordici Commissioni permanenti del Senato risulterebbero composte da circa 14 senatori ciascuna (ed entro di esse, una sede deliberante – valorizzata dalla recente riforma del 2017 del Regolamento del Senato – richiederebbe un quorum di deliberazione costituito da un esiguo numero di componenti).

Inoltre, la soglia numerica per la costituzione di un Gruppo parlamentare importerebbe una variazione in termini di rappresentatitivà che si riverserebbe sull’effettuale dinamica dei procedimenti. Ove si consideri, ad esempio, l’elezione del Presidente della Repubblica, la sopra ricordata riduzione del numero dei parlamentari comporterebbe una variazione nell’assemblea degli elettori: 600 parlamentari ai quali si devono aggiungere i 58 rappresentanti delle Regioni (tre delegati per ciascuna Regione; un solo delegato per la Valle d’Aosta). Non considerando i senatori la vita, le maggioranze richieste dall’articolo 83 della Costituzione sarebbero così rideterminate: 439 voti necessari ai primi tre scrutini (due terzi dell’Assemblea); 330 voti dal quarto scrutinio (maggioranza assoluta), essendo il numero degli elettori pari a 658 (400+200+58).

In occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica ultima svoltasi (29-30 gennaio 2015), le medesime maggioranze (considerandovi tuttavia la presenza di sei senatori a vita) erano pari a: 673 voti (maggioranza dei due terzi dell’Assemblea) e 505 voti (maggioranza assoluta), essendo il numero complessivo degli elettori pari a 1009 (630+321+58). La riduzione del numero dei parlamentari si ripercuoterebbe sulla legislazione elettorale (legge n. 165 del 2017 e decreto legislativo n. 189 del 2017). La disciplina vigente ha determinato: per la Camera dei deputati, complessivi 232 collegi uninominali e 63 collegi plurinominali; per il Senato, complessivi 116 collegi uninominali e 33 collegi plurinominali.

Il disegno di legge costituzionale non interviene su questa materia, la quale è rimessa alla legislazione ordinaria. La legge n. 51 del 2019 prospetta tuttavia una trasposizione del mutato assetto numerico dei due rami del Parlamento, all’interno della legge elettorale, senza mutare di questa l’impianto normativo. Essa prevede infatti un’applicazione commisurata ad un numero non già fisso bensì percentuale (tra seggi e numero dei deputati o dei senatori), ai fini dell’assegnazione dei seggi a valere sull’uninominale o sul proporzionale.

La riduzione del numero dei parlamentari secondo questa modalità si rifletterebbe sulla ridefinizione del perimetro dei collegi, uninominali e plurinominali. Dunque la definizione territoriale dei collegi, per risultare coerente con il nuovo e diminuito numero di parlamentari senza discostarsi dall’impianto del vigente sistema elettorale, ha richiesto una nuova delega legislativa da parte del legislatore elettorale (la legge n. 51 del 2019) onde diminuire il numero attuale di collegi (uninominali in primo luogo), ed in modo tale da dispiegare i suoi effetti al momento di applicazione della nuova disciplina costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari. E’ previsto, poi, che il numero di cinque senatori a vita nominati per alti meriti dal Presidente della Repubblica sia numero massimo riferito alla permanenza in carica di tal novero di senatori.

La modifica è finalizzata a sciogliere il nodo interpretativo postosi per i senatori a vita riguardo al vigente articolo 59 della Costituzione, cioè se il numero di cinque senatori di nomina presidenziale sia un ‘numero chiuso’ (quindi non possano esservi nel complesso più di 5 senatori di nomina presidenziale) ovvero se ciascun Presidente della Repubblica possa nominarne cinque. Permane, nell’ordinamento, la figura dei “senatori di diritto a vita”: salvo rinuncia, sono gli ex Presidenti della Repubblica. La riduzione del numero dei parlamentari si ripercuote sulla ‘perimetrazione’ degli attuali collegi elettorali.

Viene in particolare in rilevo il tema della articolazione dei collegi elettorali. La disciplina vigente, come è noto, ha determinato per la Camera dei deputati, complessivi 232 collegi uninominali e 63 collegi plurinominali; per il Senato, complessivi 116 collegi uninominali e 33 collegi plurinominali. Il testo di modifica costituzionale non interviene su questa materia, la quale è rimessa alla legislazione ordinaria. Pertanto, il decreto legislativo di rideterminazione dei collegi deve essere adottato entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge costituzionale modificativa del numero dei parlamentari. Di conseguenza, l’applicazione delle sue disposizioni decorra comunque non prima di sessanta giorni della sua entrata in vigore.

Tale termine mira ad assicurare un lasso temporale che consenta appunto la rideterminazione dei collegi. Queste considerazioni (che riassumono, per motivi di oggettività e di chiarezza, quelle contenute in un ampio Dossier redatto dai Servizi Studi delle Camere) dimostrano – al di là delle intenzioni di voto – quanto sia complessa la materia e come il taglio dei parlamentari richieda un adeguamento degli assetti istituzionali che non è automatico né consequenziale e che non può essere lasciata a metà, perché se venissero a mancare – il che non è escluso in una situazione politica complessa come l’attuale – le misure di ‘’contorno’’ di rango costituzionale e una legge ordinaria sul modello elettorale , la funzionalità degli ordinamenti democratici sarebbe gravemente compromessa. Le riforme si possono fare anche ‘’a pezzi’’. Ma non servono – e possono essere controproducenti – ‘’pezzi di riforme’’.