Le questioni ancora aperte per Carlo III

Si svolge oggi nell’Abbazia di Westminster, undici giorni dopo il suo decesso a Balmoral, il solenne rito funebre della regina Elisabetta II, nella sua duplice veste di capo di Stato e di capo secolare della Chiesa anglicana, ruolo perdurante pur nella rigorosa separazione tra esercizio del potere spiritual e potere secolare.

Funerali, che si svolgono secondo un collaudato protocollo e rigidissime misure di sicurezza, presenti oltre cinquecento invitati in rappresentanza degli Stati del mondo intero, con una sola emblematica eccezione, il nuovo “zar” Vladimir Putin. E dire che l’ultimo Zar dell’Impero Russo, Nicola II era cugino della Regina Vittoria, alla cui figura Elisabetta II è stata spesso associata, per la durata del suo regno, sicuramente non per la connotazione coloniale e imperialista dell’ava.

I primi ad essere stati invitati sono i rappresentanti dei 51 paesi del Commonwealth delle Nazioni e tra essi, in particolare i 15, dall’Australia alle sperdute Isole Salomone, che avevano in Elisabetta e continueranno ad avere in Carlo III il capo di Stato e invieranno, quindi i capi del governo.

Tutti i capi di Stato, dal presidente italiano Sergio Mattarella e quello francese Macron, fino a quello brasiliano Bolsonaro e a quello coreano Yoon Suk-yeol, con invito strettamente personale, arriveranno in Cattedrale con dei bus navetta, con l’eccezione del presidente americano Joe Biden che ha preteso di arrivare con la sua macchina blindata. Un segno dei tempi, ma plausibilmente una concessione alle note sensibilità ecologiste del nuovo sovrano Carlo III è stata l’indicazione data a tutti gli invitati di arrivare a Londra con aerei di linea.

Spia indubbia della nuova realtà del mondo globale, nel quale le organizzazioni internazionali e regionali hanno peso e ruolo accanto e oltre gli Stati, è anche la presenza del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e del presidente del  Consiglio europeo Charles Michel, nonostante il Regno Unito non faccia più parte dell’Unione Europea, a seguito della travagliata Brexit. Anche la Santa Sede sarà presente con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, in rappresentanza di Papa Francesco.

A conferma, però, del singolare connubio di modernità e tradizione che connota le istituzioni inglesi, essendo il Regno Unito una delle monarchie più longeve dell’Europa, ai funerali di Elisabetta II sono presenti anche il re di Spagna Felipe VI e la moglie Letizia, ma anche l’ex sovrano Juan Carlos I con la moglie Sofia. Ci saranno poi i re del Belgio, re Filippo e la regina Matilde, il re olandese Guglielmo Alessandro e la regina Maxima. Ai sovrani è concesso il privilegio della presenza congiunta della consorte.

La longevità ha riguardato il suo regno, durato 70 anni, essendo succeduta al padre Giorgio VI, il 6 febbraio del 1952, appena ventiseienne. Ha caratterizzato anche la vita terrena di Elisabetta morta all’età di 96 anni compiuti e il suo matrimonio con Philip Mounbatten, ufficiale della Royal Navy e membro di un ramo cadetto della casa regnante greca.

Una vita privata allietata dalla nascita di quattro figli, Carlo, il suo erede, Anna, Andrea e Edoardo, ma anche turbata dal fallimento del matrimonio di Carlo con Diana e dalla sua atroce fine in un incidente stradale e, ancor più, negli ultimi anni della sua vita, dal coinvolgimento di Andrea nell’orribile vicenda Epstein.

Una vita pubblica, nella quale, pur in presenza di un’esposizione mediatica costante, a partire dalla trasmissione in diretta televisiva della cerimonia dell’incoronazione, il 2 giugno del 1953, mai nessun intervento è stato privo di discrezione e autorevolezza, nel rispetto rigoroso del principio “il re regna ma non governa”, tipico della monarchia costituzionale britannica. Un principio mai dimenticato per la memoria sempre presente della Gloriosa Rivoluzione che già nel XVII secolo aveva sanguinosamente posto fine all’assolutismo monarchico. Il primo capo del governo con il quale la giovane regina si dovette confrontare, Winston Churchill, ne era un orgoglioso sostenitore.

Nei 70 anni di regno di Elisabetta II nel Regno Unito si sono succeduti 15 premier, da Churchill, appunto, a Liz Tuss, con una ricorrente alternanza tra conservatori e laburisti.  Sono pochi in realtà per un intero settantennio, specie se paragonati a tutti quelli che si sono succeduti in Italia, a evidente riprova della stabilità del sistema politico-istituzionale inglese.

Dal punto di vista dell’evoluzione economica, sociale e culturale, Elisabetta II ha vissuto i grandi mutamenti che hanno investito il Regno Unito, dalla ricostruzione e dalla creazione, a partire dal Piano Beveridge, del più avanzato Welfare State, divenuto modello per molti paesi europei, alla perdita delle colonie africane e del Medio Oriente, negli anni Cinquanta e Sessanta, con il concludersi del processo di decolonizzazione. Realtà e mito dell’impero britannico, per il vero, si erano già infranti con l’indipendenza dell’India, guidata da Gandhi e, nei decenni successivi, solo molto parzialmente sono riproposti in forma democratica e consensuale con il Commonwealth delle Nazioni.

Negli anni Sessanta e Settanta la regina deve confrontarsi con la rivoluzione dei costumi e i movimenti della contestazione giovanile che hanno avuto proprio nel Regno Unito un terreno di sperimentazione e d’avanguardia, specie nel campo della musica e della moda. Elisabetta coraggiosamente intervenne perché non fossero solo condannati ed esorcizzati. È emblematico al riguardo il titolo di baronetti del quale furono insigniti i Beatles. Un film di Julian Jarrod, “Una notte con la regina”, ha ricostruito come l’ancora principessa Elisabetta, assieme alla sorella Margareth, il giorno della vittoria, nel maggio del 1945, in incognito, erano scese in strada, mescolandosi alla folla festante per la fine della guerra.

Nel lungo decennio del governo di Margareth Thatcher, verso la quale la regina sembrò non avere una particolare simpatia, il Regno Unito è investito dal fenomeno della deindustrializzazione e della chiusura delle miniere, accompagnato da un forte ridimensionamento del welfare, con proteste dure e violente di categorie simbolo della Working Class inglese. È una ferita ancora non rimarginata, con un lascito nel degrado urbano e sociale delle periferie urbane, anche per la presenza di insediamenti di immigrati e persistenti realtà di disoccupazione.

Negli ultimi decenni del regno di Elisabetta, infine, conclusa, o quanto meno sospesa la lunga vera e propria guerra civile dell’Irlanda del Nord, è esploso l’indipendentismo del Galles e, soprattutto, della Scozia, che rischiano di mettere in crisi l’idea stessa del Regno Unito. La controversa e contrastata, ma alla fine vincente, scelta del governo conservatore di Boris Johnson di uscire dall’Unione Europea ha dato ulteriore stimolo al movimento indipendentista, perché non solo la Scozia, ma la stessa Irlanda del Nord sono ostili alla Brexit.

Sono questioni aperte con le quali dovrà fare i conti il nuovo re Carlo III, salito al trono nella pienezza della sua età matura. Per evitare nuovi scandali nella famiglia reale allargata, che solo la vecchia regina ha saputo controllare, dovrà di essa ripensare i tanti privilegi e appannaggi, oltre a meditare se l’enorme patrimonio immobiliare e finanziario regale non costituisca un vero e proprio scandalo per l’intera impoverita società inglese.

A partire dalla sua sensibilità per i temi dell’ambiente e della pace, dovrebbe anche mandare dei segnali per contrastare le pulsioni belliciste dell’attuale nuovo governo, la cui premier, Liz Tuss si è dichiarata pronta persino a premere il pulsante delle armi atomiche a difesa delle libertà violate.