Infantilizzazione: cause, effetti e soluzioni

L’“infantilizzazione” è il processo con il quale alcuni genitori tendono a cristallizzare la vita dei figli, impedendogli di crescere, fisicamente e psicologicamente

L’“infantilizzazione” è il processo con il quale, alcuni genitori (soprattutto nel contemporaneo e opulento mondo occidentale), oppressi da paure esasperate, nel loro egoismo iperprotettivo, tendono a cristallizzare la vita dei figli, impedendogli di crescere, fisicamente e psicologicamente. Questi genitori favoriscono e assecondano comportamenti che non sviluppano l’autonomia mentale e fisica; a esempio, preferiscono che i figli non escano da casa e che trascorrano più tempo davanti alla tv o allo schermo del telefono cellulare; ne controllano, inoltre, con molta attenzione, le relazioni sociali e sentimentali. Le decisioni non sono individuali bensì per “procura”, assunte dai “grandi”.

Infantilizzazione, quindi, significa trattare un adulto (e un ragazzo) come se fosse un bambino, come se fosse più piccolo della sua età anagrafica. È normale che un genitore auspichi il meglio per un figlio, è patologico desiderare la perfezione.

Il “manuale del perfetto genitore” ancora non è stato scritto; tuttavia, l’attenzione costante che i genitori nutrono nei primi mesi e anni di vita del figlio, dovrebbe gradualmente allentarsi nel corso del tempo. L’assenza di autonomia del piccolo, nei primi giorni di vita, diminuisce sempre di più, in modo anche visibile e, proporzionalmente, dovrebbe ridursi la presenza degli adulti.

L’iperprotezione si concretizza, paradossalmente, in un messaggio che trasmette insicurezza e sensazione di incapacità di poter svolgere il proprio ruolo, riducendo il livello di autostima.

La sicurezza del bambino non è frutto del controllo adulto bensì è l’armonica costruzione del sé e dell’autostima attraverso esperienze autonome di vita, di benessere emotivo, di dialogo e confronto con l’alterità coetanea. Il genitore deve rendersi conto che non rientra nel “gruppo dei pari” del rampollo, neanche se discorre affabulando e mostrando un codice linguistico forzatamente adeguato.

La politica dell’essere amici dei propri pargoli non funziona, anzi. Nella società “liquida”, la confusione dei ruoli è palese: genitori e figli vivono nello stesso modo, alternano compiti e scarico di responsabilità. Le famiglie, stravolte, ridimensionate, atomizzate, non puntellano gli individui che ne fanno parte.

Non esistono indicatori né parametri scientifici che possano certificare il reale passaggio a una vita adulta e quantificarne la fedele permanenza. L’errore di fondo alla base della confusione tra infantilizzazione e adultizzazione, potrebbe essere sintetizzato nel concetto di “spensieratezza”. Questo, infatti, potrebbe essere il confine in cui il voler vivere sereni da parte degli adulti (come appagamento di una vita ritenuta travagliata), finisce per tracimare in un abbandono delle responsabilità.

Le parole di San Giovanni Paolo II nel 1997: “Sono prima di tutto i genitori ad avere il diritto e il dovere di educare i loro figli, in sintonia con le proprie convinzioni. Non cedete questo diritto alle istituzioni, che possono trasmettere ai bambini e ai giovani la scienza indispensabile, ma non sono in grado di dar loro la testimonianza della sollecitudine e dell’amore dei genitori. Non lasciatevi illudere dalla tentazione di assicurare alla vostra prole le migliori condizioni materiali a prezzo del vostro tempo e della vostra attenzione, di cui essa ha bisogno per crescere ‘in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini’ (Lc 2,52). Se volete difendere i vostri figli contro la demoralizzazione e il vuoto spirituale, proposti dal mondo con i vari mezzi e, a volte, perfino nei programmi scolastici, circondateli del calore del vostro amore paterno e materno e date loro l’esempio di una vita cristiana”.

L’Istat nel “Rapporto annuale 2022-La situazione del Paese” offre diversi dati interessanti. I matrimoni, ad aprile 2020, rispetto al 2019, sono calati dell’88,5%; nel periodo gennaio-marzo 2022, dopo la fase più acuta della pandemia, sono cresciuti dell’11,1%. Per i nuovi nati, nel 2020 c’è stato un calo del 3,6% rispetto al 2019 e, considerando il periodo tra marzo 2022 e marzo 2021, un -11,9%. L’età media del parto, nel 2020, era a 32,2 anni. I figli nati fuori dal matrimonio rappresentano il 39% del totale.

Nel 2020/21, rispetto al 2000/2001, aumenta il numero delle famiglie (arrivato a 25,6 milioni), diminuisce il numero medio dei partecipanti (2,3). Crescita dal 12,3% al 20,6% delle persone single non vedove tra 2020/21 e 2000/2001.

Importanti anche le proiezioni rivolte al 2040, anno in cui il numero delle famiglie (dai 25,2 milioni del 2021) arriverà a 26,2 milioni. Le persone sole saliranno da 8,4 milioni a 10,1; le coppie senza figli da 5 milioni a 5,6; le coppie con figli da 8,2 milioni a 6,4. Nel 2020, nella fascia di età dei 18-34enni, 7 su 10 sono stati quelli conviventi in casa con i genitori.

“La genitorialità consapevole” è il titolo del volume della scrittrice Susanna Sartori, pubblicato nel maggio dello scorso anno da “Pathos Edizioni”. Il testo approfondisce le complesse tematiche dei due ruoli, spesso contrapposti ma che possono mantenere la giusta funzione nel dialogo consapevole e aperto.

Il rapporto e la considerazione nei confronti della tecnologia e degli smartphone, possono essere di due tipi. Esiste, infatti, la tipologia dei genitori che vedono la “salvezza” del pargolo nel trascorrere il tempo sul web, soprattutto se supervisionato, evitando, così, pericolose esperienze fuori le mura domestiche (quella socialità che, invece, andrebbe, di diritto, vissuta). L’altro rischio, opposto, in cui si può cadere è quello del proibire l’utilizzo dei telefoni cellulari, considerati troppo nocivi e devianti. La verità è, ovviamente, nel mezzo e nel corretto uso, in qualità e quantità, del dispositivo. Dovrebbe essere il figlio, autonomo e responsabile, a quantificare quale debba essere il giusto rapporto con il web e i social, senza l’intervento e il controllo di altri.

Il compito educativo si sfalda nell’assecondare il volere dei figli, pur di assicurarsene la benevolenza e il plauso. L’obiettivo educativo, purtroppo, non è riferibile a elementi sul piano della crescita individuale, sociale, culturale, affettiva ma ripiega su un’ossessionante ricerca della felicità del ragazzo, indipendentemente dalle cause e dall’eticità che ne sono alla base. Non tutto ciò che rende felici, tuttavia, è corretto ed educativo.

Il ritornello che impera “l’importante è che sia felice” dovrebbe essere approfondito e non perseguito come un dogma senza valutare il costo, individuale e sociale. È necessario considerare se tale gioia sia spontanea, vera, condivisa, autonoma e non effimera, diseducativa, godereccia del momento ed egoistica.

La valenza di un “no” può essere più elevata rispetto a una risposta sempre assertiva. La crescita (non solo fisica) è un affare “da grandi”, non è uno scherzo. Nel rapporto scombinato fra le parti, a quella più giovane (anche 30enne) può risultare comodo, a volte, lo sgravio di responsabilità e l’ingerenza di chi pensa a tutto. Il dialogo sballato, fra le due generazioni, non è sempre frutto e colpa di quella più adulta ma, a volte, può scaturire anche da una compartecipazione di quella più giovane.

È fondamentale che, soprattutto nelle relazioni familiari, non sia presente, nelle parti coinvolte, un atteggiamento prevenuto. Un monito per entrambe le parti: i social, i videogiochi e il loro smodato utilizzo, rischiano di creare automi senza età, individui asettici e indistinguibili, senza più un ruolo definito.

La dipendenza è il peggior “regalo”, la più amara eredità che si possa lasciare a un figlio. L’“esempio”, come pagina aperta, su cui scrivere le proprie note, aggiustamenti e correzioni personali: questa è la donazione più importante.

Il dono deve esser reciproco e concretizzarsi nel perdono, anch’esso vicendevole. Perdono del figlio nel caso in cui si fosse verificata eccessiva autorità (o, al contrario, permissivismo) da parte del genitore e capacità di questi di poter sorvolare su alcune mancanze e incomprensioni poi capite e colmate.