Pulizie di partito

giacovazzoLa triste verità è che i nostri partiti non sono proprio capaci di fare pulizia al loro interno. A 23 anni da Tangentopoli l’unica medicina contro la corruzione, con tutti i suoi limiti, è ancora una volta la magistratura. Dagli errori non si è imparato nulla. Vale a destra come a sinistra e al centro. Lo stesso rottamatore non ha rottamato niente e nessuno, a parte lo Statuto dei Lavoratori, il posto fisso, mezza Costituzione e la buona scuola. Le mele marce sono rimaste e pesano come macigni sulla credibilità di tutto il sistema. Si è visto alle ultime elezioni con l’astensionismo oltre il 50% e con le affermazioni dei movimenti della cosiddetta “antipolitica”, il M5S e la Lega di Salvini. Anche se come antipolitica dovrebbe essere riconosciuto il cattivo esempio dei partiti tradizionali, che continuano da quarant’anni a mungere la cosa pubblica senza pietà. Mentre la vacca è diventata pelle e ossa.

Enrico Berlinguer fu l’unico ad aver posto la Questione Morale molto prima che arrivassero le manette di Di Pietro. Peccato che i suoi eredi lo abbiano rimosso ed oggi non si distinguano più dagli eredi di Craxi o Andreotti. Perchè per certa gente, i voti sono come i soldi: non hanno odore. Ma per far ripartire questo Paese la Questione Morale si deve mettere una buona volta al centro dell’agenda politica. Lo chiede anche il Presidente Mattarella.

Strano paese il nostro dove per guidare un autobus serve la fedina penale pulita, ma per guidare una regione, un comune o una commissione parlamentare no. De Luca docet. E il suo caso rischia di esplodere. Proclamato presidente della Campania giovedì scorso, De Luca non si fa vedere in giro e non va a lavorare. Latita. Ha paura della legge, la Severino, che impone la sua sospensione immediata. Il premier, proprio quello che dovrebbe applicare tale legge, preferisce tacere. Forse per dare a De Luca il tempo di nominare la giunta e soprattutto il suo vice. Evidentemente la legge è uguale per tutti ma non per chi prende i voti, proprio come ai tempi di Berlusconi. Un cul de sac quello dell’elezione dell’ex sindaco di Salerno che Renzi doveva capire ed evitare mesi fa, chiedendo a De Luca di non candidarsi. Ma ha preferito prendersela con la Bindi, che da Presidente della Commissione Antimafia ha solo applicato la legge sul codice etico, votata quasi all’unanimità, anche con i voti renziani.

Il PD paga anche per Mafia Capitale. Una pagina indecorosa che rischia di inghiottire Roma con il commissariamento davanti agli occhi del mondo proprio nell’anno del Giubileo. Non c’entra Renzi e non centra Marino. Ad  intrallazzare con le coop erano pezzi portanti della vecchia e della nuova amministrazione. Ma almeno da dicembre (lo scoppio dell’inchiesta) ad oggi il segretario del partito e il sindaco potevano e dovevano tracciare un segno netto di discontinuà col passato. Il che significa azzerare la giunta e il partito romano. Che ormai allontana i migliori e attrae solo chi cerca favori o rapide carriere, fosse pure con l’invezione di 5000 tessere per controllare le primarie e influenzare il congresso. Poi c’è il capitolo soldi sporchi, i finanziamenti che la banda di Buzzi e Carminati elargiva a destra e a sinistra. Soldi che andavano restituiti immediatamente o devoluti ai più bisognosi, come ha fatto qualcuno. Ma in troppi casi stanno ancora lì. Almeno fino all’arrivo della prossima inchiesta. Il rischio dei cappi e delle monetine del ’92 rimane dietro l’angolo.

Renzi paga anche la sua bulimia di potere, da Presidente del Consiglio e da segretario del partito, ruoli che non avevano mai coinciso nella storia del PD. Un atto di forza continuo, che rivela debolezza. E tutte le responsabilità si riconducono a lui, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nel 40% delle Europee e nel 25% delle ultime amministrative. Un milione di voti in meno. Il sindaco d’Italia ha perso il contatto con le realtà locali. Si è visto dalle sonore sconfitte rimediate dal PD in alcune roccaforti. Ma il Premier mette la faccia su tutto, tranne che sulle “non vittorie”. I candidati perdenti – dice – non li avrebbe scelti lui. Poi la scusa più fantasiosa, lo sdoppiamento della personalità tra Renzi 1 (il poliziotto cattivo) e Renzi 2 (il poliziotto troppo buono che fa perdere voti): più che una giustificazione, una chiara indicazione sullo stato del suo ego.

Probabilmente la luna di miele con gli elettori è finita perchè è venuta fuori la differenza tra il Renzi che promette e quello che non mantiene. Dopo un anno e mezzo di governo incontrastato i problemi rimangono. Come la politica sull’immigrazione, che non si fa sui divani dei talk show: si fa al largo delle coste libiche, tra i profughi ammassati nelle stazioni o sugli scogli al confine italo-francese. Ma soprattutto a Bruxelles, dove Renzi si è intrattenuto per sei mesi come presidente dell’Unione Europea senza lasciare una traccia tangibile, a parte i selfie.