La corruzione si estirpa con l’istruzione

Foto di Fathromi Ramdlon da Pixabay

La via della legalità inizia sui banchi di scuola perché se c’è un termine contrario alla parola “corruzione”, è la parola “cultura”. Occorre quindi una “svolta culturale” che metta fine alla “normalizzazione” della corruzione e alla diffusa assuefazione nei confronti del fenomeno corruttivo. Il fenomeno corruttivo non è soltanto un reato contro la pubblica amministrazione, ma è uno dei più gravi reati contro l’economia. Infatti, come delineato fin dagli anni Ottanta dal magistrato Rosario Livatino il sistema della corruzione si fonda sull’intreccio tra mafia e affari e costituisce, quindi, un male endemico, un problema culturale che genera una ferita alla democrazia, inquina l’economia, l’ambiente, ruba il futuro e genera povertà.

La corruzione avvilisce la dignità della persona e con l’illusione di guadagni rapidi e facili ruba il futuro alle giovani generazioni che diventano vittime incolpevoli di un fenomeno spesso frettolosamente etichettato come “lo fanno tutti”. Come più volte evidenziato dal Presidente Mattarella la corruzione è un furto di democrazia che crea sfiducia, inquina le istituzioni, altera ogni principio di equità, penalizza il sistema economico, allontana gli investitori e impedisce la valorizzazione dei talenti.

Falcone diceva “Si può sempre fare qualcosa”, e questo deve sicuramente valere anche per la corruzione. La corruzione è un delitto di calcolo dove corrotto e corruttore quantificano costi e benefici della loro azione: ad un aumento delle pene può quindi corrispondere un aumento della tangente richiesta. Perciò la politica repressiva non risulta sufficiente e deve essere accompagnata da misure preventive che rendano almeno altamente probabile l’individuazione del malaffare.

Il populismo penale ha dimostrato la sua inadeguatezza ed il suo conseguente tramonto come ricorda anche Papa Francesco nel discorso alla delegazione dell’associazione internazionale di diritto penale “negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale”.

Orbene, il contrasto al fenomeno corruttivo non può che sostanziarsi nella prevenzione affiancata dalla cultura, dall’istruzione e dal merito. Come ricorda sempre Francesco, in occasione dell’udienza alla Commissione antimafia, è indispensabile la costruzione di “una nuova coscienza civile, la sola che può portare a una vera liberazione dalle mafie. Serve davvero ededucarsi a costante vigilanza su sé stessi e sul contesto in cui si vive, accrescendo una percezione più puntuale dei fenomeni di corruzione e lavorando per un modo nuovo di essere cittadini, che comprenda la cura e la responsabilità per gli altri e per il bene comune».

Occorre sviluppare onesti e trasparenti processi decisionali, poiché se tutti possono vedere come le risorse pubbliche vengono utilizzate vi è un disincentivo ad abusarne.

In tale ottica il legislatore italiano è intervenuto, dapprima con la struttura fondamentale del nuovo impianto preventivo di contrasto alla corruzione quale la legge “Severino” (e i correlati decreti legislativi) e quest’anno con il con il nuovo codice dei contratti pubblici che, seguendo la strada tracciata dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) di semplificare e velocizzare le procedure delle commesse pubbliche, persegue l’obiettivo della digitalizzazione  delle trasparenza dei contratti pubblici, quale concreta ed efficace misura di prevenzione della corruzione.

Tuttavia, bisogna aggiungere – prendendo in prestito, ancora una volta, le parole di Papa Francesco nella lettera enciclica“Laudato si’” – che “i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando mancano le grandi mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di significato, capaci di conferire ad ogni società un orientamento nobile e generoso».

Da qui la necessità e l’importanza dell’insegnamento; di “insegnare a partire dall’infanzia quanto la corruzione assuma quasi i contorni di una colpa nei riguardi della società che si danneggia. Occorre far comprendere che il peccato della corruzione va estirpato con l’insegnamento; nell’agire in difetto di onestà non si è più furbi, ma semplicemente più colpevoli” come evidenziato dalla Professoressa Paola Severino.

Ai giovani che hanno appena ripreso le attività scolastiche ricordiamolo: lo studio non è solo un dovere ma anche un diritto ed è la sola via che porta al merito. L’istruzione e le competenze acquisite sui banchi di scuola sono l’antidoto all’illegalità; impegnarsi con profitto nello studio consente la realizzazione professionale senza intraprendere scorciatoie e soprattutto consente di non cadere nella tentazione d’illegalità che, spesso percepita come una scorciatoia per ottenere risultati più rapidi, si rivela, invece, una falsa meta, che distrugge la vita per avere violato la legge, aprendo spesso le porte del carcere. Agli insegnanti spetta, invece, il compito di preservare il senso innato di giustizia con cui ogni bambino nasce.