Le priorità e le sfide che attendono Draghi

Fare i giusti passi per i settori strategici

In questi giorni abbiamo tutti seguito, con un po’ di sana apprensione, la nascita del nuovo governo guidato da Mario Draghi. Un governo che è, a tutti gli effetti, di unità nazionale. O almeno dovrebbe esserlo. Il che, date le ferite inferte dalla pandemia, era probabilmente la soluzione più auspicabile.

Al momento è bene non dare nulla per scontato, anche perché conosciamo bene la nostra capacità di farci del male da soli, e abbiamo ben presente la litigiosità della politica nostrana. Sarà bene dunque attenersi a un giudizio piuttosto pragmatico su quel che questo esecutivo metterà in campo, confidando sicuramente nella saggezza del Presidente Mattarella, e riconoscendo comunque che l’autorevolezza di Mario Draghi è stato già un segnale incoraggiante sotto diversi aspetti.

Ora che ha ottenuto la fiducia in Parlamento, il nuovo Governo si appresta a entrare nel merito delle scelte concrete. Tra le grandi priorità, ovviamente, c’è la gestione del Recovery Plan. Un insieme di risorse troppo spesso descritte come “soldi da spendere”, quando invece dovremmo parlare di “risorse da investire”. Non si tratta di un gioco di parole, ma di una differenza politica e culturale molto seria. È anche per questa differenza, se il governo Conte è giunto al capolinea. La mancanza di visione, che più volte avevamo denunciato, non era una critica leggera, non era infondata, non era ideologica. Era l’amara constatazione dei fatti.

Ci aspettiamo che il nuovo Governo si metta subito all’opera su alcune priorità. C’è da velocizzare il piano vaccinale, rispetto al quale anche noi abbiamo voluto contribuire, sensibilizzando la politica e i nostri lavoratori con la campagna “Fai il vaccino”. C’è da riformare la Pubblica Amministrazione, puntando soprattutto su meno precarietà e più digitalizzazione. Bisogna riformare il fisco, mantenendo il principio di progressività e spostando il peso dalle buste paga dei lavoratori alle rendite. Vanno aggiornati e implementati, se necessario, i protocolli di intesa per rafforzare la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro. Va rafforzato il sistema sanitario. Vanno confermati: il blocco dei licenziamenti, la proroga della Cassa Covid, i sostegni alle imprese, almeno fino a quando non avremo una riforma compiuta degli ammortizzatori sociali e un rilancio concreto delle politiche attive. Ci sono poi alcune priorità specifiche per sostenere donne e giovani, le persone più colpite dalla crisi. E infine c’è il grande tema dell’ambiente. Un tema che, come avevamo ampiamente previsto e sostenuto da tempo, anche con le nostre campagne, come “Fai Bella l’Italia”, non rappresenta un settore a sé, ma il bisogno di una visione strutturale che coinvolga in maniera trasversale tutti i comparti, tutte le categorie, l’intera economia globale. Auspichiamo dunque che la scelta di cambiare nome al Ministro dell’Ambiente, chiamandolo Ministro per la transizione ecologica, non sia solo un cambiamento di forma, ma di sostanza.

Nel suo discorso al Parlamento, Draghi lo ha detto con le parole giuste: “Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane”. Vengono alla mente le parole di Papa Francesco, saggiamente ricordate dallo stesso Draghi: “Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore”.

Se dunque serve un nuovo approccio, sarà bene che il nuovo Governo sappia ripartire proprio dal lavoro. Come sindacato agroalimentare e ambientale siamo pronti a dare il massimo contributo per riscrivere insieme tanti aspetti cruciali.

Proprio in questi giorni, ad esempio, stiamo rilanciando con il sindacato agroalimentare europeo  la battaglia per una PAC che includa i principi della condizionalità sociale: i finanziamenti non devono cadere a pioggia, ma andare a chi applica i contratti e rispetta i diritti dei lavoratori. Perché, sembrerà strano, ma mentre esistono condizionalità legate giustamente al benessere animale e ambientale, il rispetto dei diritti umani e l’applicazione dei contratti non hanno mai avuto voce in capitolo nei criteri con cui le risorse dei contribuenti europei, cioè i soldi di tutti noi, finanziano l’agricoltura.

Con conseguenze imprevedibili, come ad esempio il potenziale finanziamento anche di imprese che si servono di manodopera in nero o colluse con veri e propri fenomeni di caporalato. Fenomeno sul quale, tra l’altro, vogliamo sapere cosa è stato fatto ad un anno dal lancio del piano triennale interministeriale, che ci aveva visto molto favorevoli. Non vorremmo che la pandemia abbia congelato i buoni propositi di quel piano, anche perché non ha impedito a caporali e sfruttatori di continuare a svolgere le proprie attività criminali.

Rimane aperta, poi, la questione del bonus ristori, che mentre a marzo e aprile è stato riconosciuto anche ai lavoratori agricoli, negli ultimi provvedimenti li ha visti incomprensibilmente esclusi. È l’esito della logica delle mancette: si finisce per gratificare anche categorie che non hanno conosciuto crisi, mentre si nega una boccata d’ossigeno a chi ha basse e discontinue retribuzioni, con assunzioni fortemente vincolate alla stagionalità delle produzioni. Di questa indennità al momento non ne abbiamo notizia, anche perché alcune nuove risorse dovrebbero confluire nel Decreto Milleproroghe, ma i lavori parlamentari sono stati pressoché sospesi per la gestazione del nuovo governo. Di certo, i pasticci del precedente esecutivo hanno creato disparità importanti, come avevamo denunciato, e non dimentichiamo le 80 mila domande che abbiamo raccolto e inoltrato all’Inps, che a due giorni dalla chiusura della finestra per farne richiesta ci ha fatto sapere che i lavoratori agricoli erano esclusi da questo riconoscimento. Già mettere fine a certi deficit di chiarezza, sarebbe un primo buon traguardo per il governo Draghi.

Bisogna inoltre risolvere urgentemente la questione dei lavoratori contagiati dal Covid, che non maturano le giornate utili per accedere alla disoccupazione agricola. Idem per le calamità naturali e il bisogno di riconoscere, per il 2020, le stesse giornate lavorate nel 2019, offrendo così ai lavoratori agricoli la possibilità di accedere agli opportuni ammortizzatori sociali. Perché xylella, cimice asiatica, gelate invernali e primaverili, alluvioni, hanno fatto molto più male all’agricoltura di quanto non abbiano fatto il lockdown e la crisi della ristorazione, facendo perdere nel 2020 ben 2 milioni di giornate di lavoro rispetto al 2019.

E non se la passa meglio la pesca, che dopo il decreto del Mipaaf del 10 febbraio, sul fermo pesca 2021, va nella direzione di un’ulteriore riduzione delle giornate di lavoro, come dettato dalle direttive europee, mettendo a rischio la sostenibilità economica delle imprese e la tenuta dei livelli occupazionali. Per questo siamo impegnati nel chiedere la modifica di quel decreto, e nei prossimi giorni ricorderemo ai nuovi ministri anche l’urgenza di un ammortizzatore strutturale per i nostri pescatori, come segnaliamo da anni.

Ma è soprattutto sui settori della bonifica e della forestazione che il nuovo Governo potrà e dovrà dare un segnale di svolta. Mentre tutti parlano di ambiente, infatti, scontiamo ancora la miopia di un sistema Paese che non sa investire su queste professioni, che sono il vero baluardo della messa in sicurezza del territorio e della lotta a quella “fragilità idrogeologica” citata dallo stesso Presidente Draghi nel suo discorso. È anche in quest’ottica che abbiamo definito illusoria l’idea di ripartire con soli 1,8 miliardi di euro per l’agricoltura e 3,77 miliardi per la manutenzione idrogeologica, come previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza redatto dal precedente governo. Tra l’altro, che gli operai idraulico forestali siano privati del rinnovo contrattuale nazionale da 9 anni è uno scandalo tutto italiano, e anche su questo i ministeri competenti dovranno dare segnali concreti di innovazione e prospettiva.

Valuteremo l’operato del Governo in base a come gestirà questi ed altri temi di nostra competenza. Sono tutte problematiche che ci vedono impegnati in prima linea con un atteggiamento propositivo e disponibile al confronto, pronti a rilanciare agroalimentare e ambiente non rivendicando un ruolo assistenziale, ma attivo, partecipativo e virtuoso, per le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori. La cui stragrande maggioranza, essendo riconosciuti come operatori di settori essenziali, hanno continuato a produrre cibo e sicurezza ambientale per tutto il Paese, dimostrando grandi capacità di adattamento, spirito di sacrificio, desiderio di rinascere. Quelle stesse qualità che il Presidente Draghi ha ricordato in chiusura del suo discorso, e che ci auguriamo possano caratterizzare anche l’operato di tutta la nostra classe dirigente.