Cantatore: “Ecco come aiuto i ragazzi ‘difficili’ a vincere nella vita e sul ring”

Il Campione Mondiale ed Europeo di boxe, Vincenzo Cantatore, racconta a In Terris le attività sociali di cui si occupa grazie allo sport

Vincenzo Cantatore nella sua palestra romana in mezzo a due giovani allievi

Il Campione Mondiale ed Europeo di boxe, Vincenzo Cantatore, compirà domani 50 anni. E’ nato infatti il 22 febbraio 1971 a Bari e all’età di 5 anni si trasferisce a Roma che diviene la sua città di adozione.

La carriera da boxer di Cantatore

Si avvicina per la prima volta al pugilato a 13 anni, spinto dal padre. Da lì, dopo una lunga gavetta, arriva a toccare i podi più importanti della disciplina: nel 1998 scende nella categoria dei massimi leggeri e conquista il titolo mondiale WBU mandando al tappeto l’imbattuto campione in carica Andy Sample. Nel 2000 prova la scalata nella sigla WBC e sul ring allestito nel quartiere Piramide di Roma, conquista per la prima volta il titolo internazionale sbarazzandosi in tre minuti del brasiliano Rogerio Lobo. Nel dicembre 2004 Cantatore si ritrova primo nelle classifiche di merito EBU ed ottiene il diritto alla sfida per il titolo europeo, cintura all’epoca detenuta dall’italiano Pietro Aurino. Ma Aurino, prima del match, annuncia la propria volontà di lasciare vacante la cintura. Nel marzo del 2005 Cantatore conquista il titolo europeo vacante battendo ai punti Ismail Abdul. Si è ritirato dal pugilato professionistico il 31 dicembre 2007.

L’impegno nel sociale

Per i suoi “primi 50 anni” Cantatore si racconta in una lunga intervista a In Terris toccando vari temi – dallo sport al disagio giovanile – puntando l’attenzione sulle attività sociali di cui si occupa da tempo.

Dottor Cantatore, come hai vissuto e stai vivendo questo ultimo anno segnato della pandemia e dalla chiusura di molte attività, compresa la tua palestra sociale?
“L’ho vissuto e lo vivo con grande preoccupazione, non solo per l’aspetto salutare che è il principale, ma anche per quello economico: il settore sportivo, così come quello dell’intrattenimento, ha subito gravissime perdite perché noi siamo fermi dallo scorso marzo, ormai da un anno! Ora, con tutte le varianti Covid che ci sono in Italia e nel mondo, le preoccupazioni aumentano perché non si capisce quando usciremo dalle varie zone colorate e quando la vita tornerà alla sua normalità”.

Lei ha fondato la palestra “Top Rank” nel 2016. La palestra sociale che si trova all’interno dell’antico circolo bocciofilo di Roma, in via Flaminia 86, è diventata sia un luogo d’incontro per attori, calciatori e sportivi vari sia, e soprattutto, di ragazzi con un passato problematico e di persone affette dal Parkinson. Come è nata l’idea di avviare questa attività sociale?
“Io sono sempre stato molto attivo nel sociale, sin da giovane. Negli anni ’90 facevo volontariato nel carcere di Rebibbia; poi ho lavorato con i ragazzi con problemi di salute mentale. Insieme al prof. Santo Rullo [psichiatra, docente già Presidente della Società Italiana di Psichiatria Sociale, ndr] abbiamo messo su una squadra di calcio a 5, la Nazionale Italiana per pazienti psichiatrici. Rullo è un ex giocatore di calcio a cinque di serie A, io facevo il preparatore atletico. Abbiamo giocato i primi campionati mondiali a Osaka, in Giappone nel 2018, vincendo la medaglia di bronzo. Nel 2020, a Roma, abbiamo vinto il primo posto laureandoci campioni del mondo!”

Una grande soddisfazione…
“Sì, da quella avventura è stato prodotto un docufilm intitolato ‘Crazy for football’ che racconta della conquista del Mondiale in Giappone”.

Ha fatto altro nel mondo del volontariato, prima di aprire la palesar sociale?
“Sì, ho lavorato e lavoro tutt’ora – anche in palestra – con i malati di Parkinson. Insomma, poter dedicare una parte della propria vita ad aiutare gli altri è sempre stato un mio principio”.

Perché è così importante?
“Perché mi fa stare bene!”

Quanto lo sport aiuta i ragazzi con disagio sociale o psicologico?
“Più di quanto si possa pensare. Lo sport è davvero una delle principali medicine naturali che esistano. Questo anno segnato dalla pandemica e dalla chiusura dei circoli ricreativi e sportivi, ai momenti di socialità, provoca anche forti depressioni nelle persone comuni e particolarmente nei ragazzi che seguiamo. La depressione è una patologia da non sottovalutare: è definita la malattia del nuovo millennio perché è molto diffusa e può portare, se trascurata e non curata, anche ad esiti infausti. Per tale motivo, il detto latino Mens sana in corpore sano è ancora super attuale ed azzeccato”.

Oltre ai ragazzi con problematiche psichiatriche, segue anche ragazzi con disagi familiari?
“Sì, ho tanti giovani cosiddetti ‘figli di papà’, vale a dire ragazzi che vengono da famiglie bene, anche altolocate con yacht, villa al mare e in montagna, ma molto povere sul lato delle relazioni umane. Non è detto che il ragazzo problematico provenga sempre da famiglie svantaggiate, con – per esempio – i genitori alcolisti. Può accadere l’esatto inverso”.

In che senso?
“Spesso i figli vengono riempiti di soldi ma le banconote non possono colmare l’assenza dei genitori. Così, si sentono abbandonati, non sono seguiti nei loro interessi, su come vanno a scuola, se si fanno le canne…. In definitiva: non si sentono amati. E questo crea in loro molta rabbia che non sempre viene incanalata nel modo giusto”.

E’ dunque l’indifferenza uno dei mali principali di questa società?
“Nelle famiglie comuni, sì, l’indifferenza o la poca attenzione verso i propri figli è uno dei mali principali. Ma essere genitori e crescere un figlio è il lavoro più difficile che esista”.

Come lo sport aiuta i ragazzi svantaggiati nella vita?
“Nella mia palestra, la Top Rank Cantatore Boxe, si pratica non solo pugilato, ma anche attività di preparazione mentale oltre che fisica. Abbiamo cercato di diversificare puntando sul benessere totale della persona. Per questo, per aiutare i ragazzi problematici, bisogna in primis accoglierli in un luogo in cui si sentano a casa. Un posto dove si sentano protetti e consigliati nel migliore dei modi. Il secondo passo è quello di farli crescere nell’autostima in se stessi. Terzo: farli abituare al sacrificio in modo da poter reagire positivamente a qualunque ostacolo la vita ponga loro innanzi. Infine, una delle cose più importanti è quella di farli sentire realizzati”.

Quali sono i valori che lo sport veicola maggiormente?
“Educazione, rispetto, amicizia, aggregazione, porgere la mano a chi non ce la fa. Insomma, lo sport è un insieme di valori positivi che danno una formazione costruttiva ad un adolescente in via di sviluppo. Inoltre, anche per gli adulti, sostengo con forza che fare sport o qualsiasi altra attività fisica, non necessariamente in palestra, sia basilare e salutare. Dovrebbe quindi essere praticato da chiunque – in modo diverso a seconda dell’età – perché muoversi può far solo bene. Infatti, lo sport aiuta a far scaricare dal punto di vista psicofisico lo stress e l’ansia accumulata durante la giornata e a stare meglio con se stessi e con gli altri. Anche piacendosi di più…”

Cosa pensa di Papa Francesco?
“A me piace molto Papa Francesco perché è vicino ai poveri e dà grande attenzione ai bisogni sociali”.

Coltiva molte passioni: calcio, cucina, pesca subacquea e anche paracadutismo…
“Sì ho molte passioni. Nel calcio lavoro come preparatore atletico. Sul paracadutismo ho, però, messo una pietra sopra dopo la morte del mio amico Pietro Taricone. Fu lui a farmi lanciare per la prima volta con il paracadute. Fece lanciare me, mia moglie e mia figlia maggiore per la prima volta. Dopo la sua morte – avvenuta il 29 giugno 2010 proprio dopo un lancio col paracadute – decisi di smettere. Con lui avevamo cominciato, con lui finimmo”.

Che ricordo ha di Pietro a quasi undici anni dalla morte?
“Era un ragazzo solare, gioioso, amava la vita. Pietro era la persona del mondo dello spettacolo più bella che abbia mai conosciuto, perché era una persona vera. Era inoltre sempre molto disponibile, anche con i meno fortunati. Un ragazzo stupendo, insomma: una persona perbene!”.

Lei ha due figlie giovani, 21 e 26 anni, che cosa vorrebbe dire ai giovani di oggi, colpiti dalla doppia crisi: quella pandemia e quella economica?
“Ai ragazzi di oggi dico di rimboccarsi le maniche, nonostante le difficoltà. Dopo un acquazzone, esce sempre il sole: le crisi prima o poi finiranno e tornerà la vita. Inoltre, la figlia piccola mi ha fatto la grande sorpresa di aspettare un bambino: sarò nonno a soli 50 anni! Più voglia di ricominciare di così…”